Sale and lease back e divieto di patto commissorio
di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDFIl sale and lease back (o locazione finanziaria di ritorno) è un contratto, di derivazione anglosassone, per mezzo del quale un impresa commerciale (lesee) aliena un bene, mobile o immobile, di natura strumentale all’esercizio della sua attività, ad una società finanziaria (lessor) che ne acquista la piena proprietà pagando un corrispettivo e, contestualmente, lo concede in locazione finanziaria alla stessa venditrice la quale potrà continuare a godere del bene produttivo, versando canoni periodici con l’opzione finale di riacquisto mediante versamento di un riscatto.
A differenza del leasing finanziario, che si caratterizza per trilateralità del rapporto negoziale in quanto involge il fornitore (proprietario originario del bene), la società di leasing (che acquista il bene per concederlo in godimento) e l’utilizzatore (il soggetto che riceve in godimento il bene a fronte del pagamento periodico di canoni); il contratto di sale and lease back, invece, ha carattere bilaterale atteso che la relazione negoziale si instaura tra due soli soggetti: il proprietario del bene che ne diviene il futuro utilizzatore (lessee) a titolo di leasing e la società di leasing (lessor) che acquista il bene per poi concederlo in godimento all’originario proprietario.
Il sale and lease back, infatti, è un’operazione economica complessa funzionale ad un’esigenza tipicamente ricorrente nell’attività imprenditoriale ossia quella del venditore-utilizzatore di ottenere con immediatezza liquidità mediante l’alienazione di un suo bene strumentale, conservandone l’uso, senza soluzione di continuità e con facoltà di acquistare la proprietà al termine del rapporto. È innegabile che, nella vita di un’impresa, tale esigenza possa fisiologicamente manifestarsi ove ricorra l’opportunità di smobilizzare precedenti investimenti sfruttando il valore di scambio degli strumenti di impresa per avvalersi della liquidità così ottenuta e finanziare riconversioni e acquisizioni di nuovi impianti tecnologici, continuando ad utilizzare, in leasing, il bene strumentalmente alienato, con i relativi benefici fiscali e riservando alla cessazione di rapporto la scelta tra il riacquisto del bene ovvero la restituzione.
La circostanza che il bene venduto rimanga, di regola, nella disponibilità del venditore, il quale continua ad usarlo corrispondendo canoni periodici di leasing e con la possibilità di acquisto al termine del contratto, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza ad interrogarsi circa la liceità dell’operazione di lease back date le somiglianze con le alienazioni a scopo di garanzia.
Il sale and lease back, infatti, in astratto, è un negozio socialmente tipico e lecito catalogabile nell’ambito dei contratti di impresa la cui causa, tuttavia, deve rientrare in uno scopo di leasing e non di garanzia. A tal fine occorre tenere in considerazione i seguenti requisiti: la qualità delle parti contraenti ossia imprenditore e istituto di credito autorizzato a concedere finanza; la natura strumentale del bene oggetto del contratto; la considerevole durata del rapporto e i criteri di determinazione del prezzo della vendita, dei canoni e del riscatto.
Data l’autonomia strutturale e funzionale e i caratteri peculiari di natura soggettiva e oggettiva, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, in linea di massima, astrattamente valido lo schema contrattuale del lease back, in quanto contratto di impresa socialmente tipico, ferma la necessità di verificare l’assenza di elementi patologici sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una vendita in funzione di garanzia, volta cioè ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto patto commissorio previsto dall’art. 2744 c.c. e, pertanto, sanzionabile, per illecita della causa, con la nullità ex art. 1344 c.c., in relazione all’art. 1418, co. 2, c.c.
La Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ. sent. n. 13305/2018), infatti, ha affermato che “il contratto di sale and lease back configura un contratto d’impresa socialmente tipico che, come tale, è in linea di massima astrattamente valido, ferma la necessità di verificare, caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita è stata posta in essere in funzione di garanzia ed è volta ad aggirare il divieto di patto commissorio”.
Per accertare il carattere fittizio di tale contratto, in particolare, devono riscontrarsi i seguenti elementi sintomatici:
- la presenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria concedente e l’impresa venditrice utilizzatrice, preesistente o contestuale alla vendita;
- le difficoltà economiche dell’impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza;
- la sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente.
Soltanto il concorso di tali elementi vale a fondare ragionevolmente la presunzione che il lease back, contratto di impresa di per sé lecito, sia stato, in concreto, impiegato per eludere il divieto di patto commissorio e sia, pertanto, nullo.
In ogni caso, pur ricorrendo uno dei suddetti indici di sospetto rilevatori di un intento di garanzia, l’eventuale inserimento nel contratto di clausole idonee a ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni delle parti renderebbe valido il contratto. Tali potrebbero essere, ad esempio, la clausola che preveda, al termine del rapporto, la stima del bene oggetto di garanzia al fine di confermarne il trasferimento, se il valore del bene sia equiparabile al valore del credito inadempiuto, ovvero di quantificare il maggior costo che dovrebbe sopportare il creditore per ottenere l’acquisizione del bene pagando un prezzo aggiuntivo al debitore; oppure la clausola che stabilisca, in caso di inadempimento, l’imputazione a credito dell’utilizzatore di quanto ricavato dalla vendita del bene (patto marciano).
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