30 Novembre 2015

Ritardato deposito della sentenza: la Cassazione precisa quando la condotta del magistrato è reiterata e sprovvista di giustificazione

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., 8 luglio 2015, n. 14268
Pres. ROVELLI – Est. DI IASI

Responsabilità disciplinare dei magistrati – Illecito – Deposito della sentenza – Ritardo – Reiterazione – Onere della prova (D. Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, artt. 1 e 2, comma 1, lett. q)

[1] L’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lett. q) del D. Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 è integrato se il ritardo nel deposito dei provvedimenti si sia verificato più di una volta e il magistrato, relativamente ai casi in cui l’adempimento sia avvenuto oltre l’anno dalla scadenza, non abbia fornito giustificazioni proporzionate all’ampiezza del ritardo.

IL CASO
Nel caso di specie il giudice disciplinare ravvisava l’illecito di cui al D.Lgs. 109/2006, art. 2, comma 1, lett. q) (“reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”) in capo ad un magistrato di tribunale il quale, mancando ai propri doveri di diligenza e laboriosità, aveva, in modo “reiterato, grave ed ingiustificato” ritardato il compimento di atti relativi alle proprie funzioni. Il magistrato impugnava la decisione lamentando il carattere “episodico” e l’omessa considerazione delle ragioni che egli aveva addotto nel procedimento disciplinare a giustificazione dei ritardi.

LA SOLUZIONE
La Cassazione chiarisce che il presupposto della reiterazione può ritenersi sussistente quando la condotta si sia verificata più di una volta e che le giustificazioni, la cui allegazione e la cui prova costituiscono onere del magistrato soggetto al procedimento disciplinare, devono essere tanto più “serie, specifiche, rigorose e pregnanti” quanto più il magistrato abbia tardato nell’adempimento dei propri compiti.

LE QUESTIONI
L’interpretazione delle generiche espressioni contenute nella norma citata (che punisce “il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni” e precisa che “si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”) ha dato adito ad un’ampia giurisprudenza.

Quanto al requisito della “reiterazione”, la sentenza in esame conferma l’orientamento che, sulla base del tenore letterale della disposizione, esclude la necessità di ritardi “abituali”, risultando astrattamente integrata la fattispecie già alla seconda mancanza: laddove il legislatore ha inteso riferirsi ad una maggiore frequenza statistica, infatti, lo ha fatto espressamente, come sub lett. d) e n) dello stesso art. 2 (così già anche Cass., S.U., 13 settembre 2011, n. 18696, in Corr. giur., 2012, 2, 204 ss., che ha ritenuto “certamente violativa di legge l’interpretazione data dalla sentenza disciplinare del termine ‘reiterato’, che non può significare ‘abituale’”).

Nella stessa decisione, a proposito del requisito negativo dell’assenza di giustificazioni per il ritardo, la Corte premette che costituisce onere del magistrato esporre e dimostrare i fatti che costituiscono le ragioni del ritardo (Cass., S.U., 12 aprile 2012, n. 5768, in C.E.D. Cass., rv. 622064; Cass., S.U., 14 aprile 2011, n. 8488, in Mass. Giur. it., 2011), dovendo questi integrare, come già affermato dalla Cassazione, cause di vera e propria “inesigibilità” di cui solo è in grado di indicare i presupposti (Cass., S.U., 17 gennaio 2012, n. 528, in Giur. it., 2012, I, 2614).

La fattispecie concreta – nella quale il magistrato soggetto al giudizio disciplinare aveva effettuato nel periodo in contestazione dodici depositi con ritardo superiore all’anno e, in un caso, ai due anni – ha offerto infine alla Corte l’occasione di puntualizzare che, non esistendo “ritardi in sé ingiustificabili”, neppure sono configurabili in materia surrettizie regole di responsabilità oggettiva decorrenti allo spirare di un anno dal termine per il deposito del provvedimento (regole che, d’altra parte, contraddirebbero la lettera della norma, la quale legittima in ogni caso il magistrato – e dunque anche per ritardi oltre l’anno – a provare che il ritardo era giustificato, e pone invece una presunzione legata all’estensione temporale del ritardo soltanto per il diverso requisito della “gravità”).

La protrazione del ritardo rileva però sul contenuto dell’onere di giustificazione, che, nei casi “eccedenti la ragionevolezza”, può dirsi assolto soltanto tramite dimostrazione di “circostanze assolutamente eccezionali”: queste ultime devono però aver materialmente impedito al giudice (il quale, nello “svolgimento e organizzazione del proprio lavoro”, non può “prescindere dalla consapevolezza del valore costituzionale del giusto processo, inteso anche come processo di ragionevole durata”) una diversa organizzazione del lavoro, idonea a ridurre “l’abnorme dilatazione” del ritardo nell’adempimento delle proprie funzioni. In altre parole, il magistrato deve dimostrare “una particolare condizione/situazione fattuale per cui il soggetto, per cause indipendenti dalla propria volontà, si trovi nella impossibilità, soggettiva od oggettiva, di ottemperare al precetto normativo” (Cass., 528/2012, cit.).

La sentenza si inserisce dunque nella recente tendenza delle Sezioni Unite ad accentuare la severità nel perseguire la condotta in oggetto.

Va tuttavia segnalato che l’effettività del precetto disciplinare è limitata da due fattori. Il primo consiste nell’espediente di fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni a distanza notevole dalla chiusura dell’istruttoria: benché l’accorgimento equivalga nella sostanza a ritardare il deposito della decisione, la giurisprudenza disciplinare non assimila le due condotte, finendo così per punire i magistrati meno “accorti” e non necessariamente quelli meno laboriosi. Il secondo – più sfumato – limite è dato dalla «soglia di tolleranza» oltre la quale il ritardo assume rilievo disciplinare: benché il D.Lgs. 109/2006, art. 2, comma 1, lett. q) la fissi nel «triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto» (dunque per le sentenze la tolleranza non dovrebbe eccedere i 90-180 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica) nei fatti l’organo disciplinare tende a non perseguire i ritardi inferiori all’anno – assumendo che questi, pur «gravi», siano facilmente giustificabili.

Sul giudizio disciplinare di cui al D.Lgs. 109/2006 e, in particolare, sull’illecito da ritardato deposito dei provvedimenti, v. in dottrina Di Amato, Ritardi e responsabilità disciplinare dei magistrati: l’onda della riforma giunge in Cassazione, in Cass. Pen., 2011, 3, 915; Mastroberardino, Dalla Cassazione nuovi principi in tema di ritardi dei magistrati, in Corr. Giur. 2012, 204 e in precedenza, ancora sulla corrispondente disposizione dell’art. 18, R. D. Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, Cappelletti, Giudici irresponsabili?, Milano, 1988, 67, ss.; Mele, La responsabilità disciplinare dei magistrati, Milano, 1987, 45 ss.; G. Zagrebelsky, La responsabilità disciplinare dei magistrati: alcuni aspetti generali, in Riv. Dir. Proc., 1975, 418.