19 Maggio 2020

Rispetto dei limiti di legge e giudizio di intollerabilità delle immissioni sonore

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione Civile, Sesta sezione, ordinanza 6.02.2020 n.2757 (Presidente L.G. Lombardo, relatore Dott. Milena Falaschi).

“In materia di immissioni sonore, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalla normativa rilevante in materia, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art 844 c.c.. Invero, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa a tutela di interessi della collettività, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, devono perciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 cc, e, pertanto, illecite, anche, sotto il profilo civilistico.”

La domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, ben potendo egli ordinare l’attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare la situazione pregiudizievole, senza essere vincolato dal petitum…Tanto più quando debbono contemperarsi le ragioni della proprietà a quelle della produzione[1]”.

CASO

A causa delle immissioni rumorose provenienti da un locale commerciale adibito all’esercizio di bar/ristorante, il proprietario di un appartamento proponeva azione cautelare avanti al Tribunale di Venezia, rivolta alla cessazione del rumore ed al contenimento dello stesso, attraverso l’adozione di una serie di misure di adeguamento atte a limitare l’intollerabile disturbo.

Il Tribunale accoglieva il ricorso e pronunciava ordinanza cautelare, poi confermata con sentenza, condannando il proprietario del locale ad una serie di adempimenti, al fine di cessare le immissioni rumorose ed aggiungendo l’obbligo di impedire agli avventori del locale, l’accesso alla zona coperta dalla pergola a partire dalle ore 24.

Il soccombente impugnava la sentenza di primo grado avanti la corte della “serenissima”, asserendo, che il superamento dei decibel era stato misurato nel 2011 e che, in seguito a tale data ed al ricevimento dell’ordinanza cautelare, erano stati posti in essere interventi di limitazione delle immissioni rumorose, i quali avevano ricondotto – a suo dire – il livello alla soglia limite della tollerabilità.

Tuttavia, anche la corte d’appello di Venezia rigettava l’impugnazione ed il giudizio perveniva, sempre su istanza del “pervicace ricorrente”, avanti la suprema corte di Cassazione.

SOLUZIONE

Il soccombente si affidava a quattro distinte censure; la Corte ritenendo che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis cpc e 375, comma 1, cpc, fissava udienza camerale.

QUESTIONI

Nel rigetto del primo motivo di ricorso, la Corte richiama i suoi precedenti consolidati orientamenti, statuendo che fermo restando l’illiceità del superamento dei limiti delle immissioni sonore, stabiliti dalla normativa in materia, non è sufficiente il loro rispetto a determinarne la liceità, poiché  il giudizio sulla tollerabilità delle stesse andrà formulato ai sensi dell’art 844 c.c.

In caso di superamento delle soglie legali stabilite a tutela della collettività, determinando nocumento nella proprietà dei vicini, le immissioni sonore saranno illecite anche dal punto di vista civilistico ed a prescindere dalle differenziazioni amministrative, anche a seguito del DL n.208 del 2008.

Il giudizio sulla tollerabilità delle immissioni deve essere formulato caso per caso, in base al criterio comparativo, ossia confrontando il livello medio del rumore di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo soggetto alle immissioni, potendosi cosi verificare la tollerabilità dall’incremento del livello medio di rumorosità.

In particolare si avrà cura di considerare le caratteristiche della zona di interesse, con riguardo alla situazione ambientale, alle abitudini di chi vi abita e al complesso dei rumori del fondo a cui si sono aggiunte le immissioni definite “abnormi”.

I mezzi di prova idonei all’accertamento della liceità delle immissioni sonore dovranno essere di natura tecnica, ricorrendo anche alla prova testimoniale qualora necessario.

La stessa Corte d’Appello, basandosi sulle deposizioni di testimoni (oltre che sulla CTU), che avevano confermato l’intollerabilità delle costanti immissioni notturne provenienti dall’attività in esame, aveva ritenuto di dover procedere a confermare le prescrizioni del Tribunale di Venezia.

La Corte Suprema rigetta anche il secondo motivo di gravame, sostenendo che le decisioni relative all’adozione di misure di contenimento delle immissioni sonore non devono essere vincolate al petitum: il Giudice attraverso un ponderato bilanciamento delle risultanze di causa può decidere in autonomia la soluzione più congeniale (cfr. Cass. 5 Agosto 2011 n.17051; Cass. 17 Gennaio 2011 n.887; Cass. 21 Novembre 1973, n. 3138).

A fronte della censura fondata sulla relazione del c.t.u., la quale aveva sostenuto che la decisione formulata in secondo grado fosse basata su immissioni rilevate in una situazione ambientale nella quale le stesse già per sé stesse erano da sempre superiori alla normalità, la Corte ha precisato che la logica sottesa alla scelta decisoria ha tenuto conto dell’entità delle immissioni rumorose a partire dall’apertura dell’attività di ristorazione, le quali hanno sicuramente superato quelle normalmente verificabili giornalmente con particolare riferimento alla fase notturna.

Le misure limitative adottate dalla Corte territoriale sono dunque congrue e non necessitano di revisione, in quanto frutto di un bilanciamento tra le esigenze di tipo ricreativo ed economico del locale e dei suoi avventori e quelle di tranquillità degli occupanti della vicina abitazione.

Sullo stesso piano si pongono le ragioni di rigetto del terzo e quarto motivo di impugnazione, fondati sulla sollecitazione di un’applicazione normativa invocata in termini differenti rispetto alle decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello.

Il Giudice di prime cure, confermano gli ermellini, può ordinare ogni accorgimento che risulti idoneo ad eliminare il pregiudizio senza essere in nessun modo vincolato.

La Suprema Corte, dunque, cristallizza il principio della normale tollerabilità, il quale può prescindere dai limiti previsti dalla normativa rilevante in materia: per la Cassazione, infatti, anche se le emissioni acustiche rientrano nei limiti normativi, possono comunque risultare intollerabili per le proprietà vicine.

La decisione di chiusura dell’area esterna a partire dalle ore 24 muove proprio dalla natura delle stesse immissioni, per loro conformazione difficilmente verificabili e riproducibili nella stessa misura, in quanto discontinue.

La loro tollerabilità dovrà essere valutata con riferimento alla loro discontinuità e alla misura in cui incidono sul disturbo della quiete pubblica, maggiormente nella fase notturna, ad orari che sono destinati al riposo degli occupanti delle vicine abitazioni.

Si è dunque cercato un bilanciamento tra l’utilizzo degli spazi esterni al locale ad orari non destinati al riposo ed esigenze di tranquillità degli occupanti, le quali possono per giuste ragioni cedere alle differenti necessità ricreative.

In materia di immissioni, l’orientamento giurisprudenziale prevalente, pur rispettando le prescrizioni previste ex art 844 cc., prevede che le esigenze di produzione non possano essere ritenute prevalenti rispetto al mantenimento di una normale qualità della vita, nel momento in cui derivino da un’attività produttiva.

E’ dunque importante garantire il diritto alla salute, oltre che il diritto di usufruire della proprietà privata in ottemperanza al diritto/dovere di produzione, il quale dovrà soccombere qualora produca uno squilibrio dei diritti della persona a vantaggio dell’attività economico-produttiva.

[1] Cass. civ. 5 agosto 1977 n.3547.