I rischi giuridici delle locazioni nella seconda ondata COVID: il quadro generale
di Donatella Marino, Avvocato Scarica in PDFMalgrado le dichiarazioni ufficiali escludano, ad oggi, un nuovo lockdown, il settore Real Estate si interroga sulle soluzioni in grado di garantire comunque una redditività agli immobili. Un’incognita legata anche agli interventi normativi e alle recenti posizioni giurisprudenziali che incidono con sistematicità nel settore ricettivo e locativo.
Le locazioni short term (c.d. “affitti brevi”)
I contratti di locazione breve – così definiti dalla disciplina fiscale ex art. 4 bis D-L del 24 aprile 2015, n. 50 (convertito con L. 21 giugno 2017, n. 96) – e con finalità turistica – ai sensi della L. 431/1998 e del D. Lgs. 79/2011- presentano oggi nuove criticità.
Si tratta di accordi locativi generalmente conclusi tramite il pulsante (del consenso virtuale) previsto da Airbnb, la nota piattaforma di intermediazione internazionale, ma anche da Booking (portale specificamente nato per l’intermediazione turistica: una OTA – on line travel agency -, dunque) o altri (sempre più frequenti) intermediari on line. Questi particolari contratti di locazione vengono solitamente riprodotti per iscritto all’arrivo del conduttore, per finalità di carattere essenzialmente probatorio (malgrado non manchino tesi anche autorevoli che ne negano la validità in assenza di forma scritta), generando spesso problemi di coordinamento con la disciplina contrattuale prevista dalle piattaforme.
Il Legislatore statale ha parzialmente attratto gli alloggi privati locati short term nell’alveo normativo del ricettivo-alberghiero: per le comunicazioni degli alloggiati o per l’imposta di soggiorno, per esempio. Ma analoga scelta è stata operata anche alcuni legislatori regionali, che hanno esteso parte degli adempimenti amministrativi previsti per le strutture turistiche anche a questa nuova tipologie di locazioni.
Il ricettivo non- alberghiero
Negli ultimi anni molti immobili con destinazione (urbanistica) abitativa sono stati riconvertiti in casa vacanza (CAV) o altra struttura ricettiva non alberghiera. Sono così stati attratti dall’impianto giuridico previsto per la ospitalità turistica: un comparto governato, sul piano amministrativo, da leggi regionali.
Quando gli accordi che legano il proprietario al gestore, all’intermediario e al conduttore/ospite sono ben redatti i vantaggi dello short term sono certamente vari: possibilità di fruizione parziale dell’alloggio da parte del proprietario, pagamenti sicuri e anticipati, liberazione quasi certa dei locali alla scadenza e una redditività ricostruita su base giornaliera e parametrata sull’alberghiero.
Le difficoltà dell’ospitalità short term
Frequenti però le problematiche. Per esempio, il locatore-persona fisica che opera da solo senza affidarsi a un gestore professionale rischia di essere riqualificato come “imprenditore” ex art. 2082 c.c., con relativi obblighi e conseguenze. Un problema che presenta anche risvolti fiscali. La recente posizione dell’Agenzia delle Entrate (Risposta n. 278 del 26 agosto 2020) chiarisce il trattamento delle persone fisiche proprietarie di più immobili locati con la formula delle locazioni brevi: in assenza di servizi aggiuntivi, si determina reddito fondiario ai sensi degli artt. 36 e 37 del d.p.R. 22 dicembre 1986 n.917 (TUIR) e non reddito d’impresa. Pertanto, per la configurazione di un soggetto come “imprenditore” ai sensi della normativa nazionale (civile e fiscale) non rileva in modo automatico il numero delle unità immobiliari locate, e questo a prescindere da ogni diversa previsione regionale.
Tuttavia, la linea di demarcazione tra l’offerta degli alloggi in locazione short term e le strutture ricettive non sempre è chiara, causando, tra l’altro, un elevato contenzioso nelle diverse sedi: non ultimi, Giudici di Pace e Tribunali civili, chiamati a decidere sulle sanzioni amministrative (di varie migliaia – talvolta decine di migliaia – di Euro) irrogate per violazione delle leggi regionali sul turismo.
Per di più l’emergenza Covid rallenta la crescita del settore, specialmente nelle città: alloggi vuoti, responsabilità di varia natura in caso di ospiti Covid positivi, senza contare i costi aggiuntivi per le sanificazioni previste dai decreti emergenziali.
Inoltre, la prima ondata Covid aveva fatto esplodere il numero di cancellazioni e disdette da parte dei portali di intermediazione che avevano restituito ai conduttori le caparre versate senza l’autorizzazione dei locatori. Situazione che ha generato un serio contenzioso, spesso risolto in sede transattiva. Tale spiacevole sorpresa, unitamente alle problematiche proprie del settore turistico, stanno spingendo i proprietari a cercare nuove soluzioni locative o ad affidarsi a operatori professionali in grado di gestire con soluzioni flessibili gli asset immobiliari.
Locazioni ad uso transitorio e per studenti universitari
Tra le soluzioni locative a uso residenziale più diffuse in tempi recenti si è imposto (specialmente in periodo ante-Covid) il contratto con studenti universitari. Non più e non solo lo student housing proposto dagli investitori istituzionali, ma anche una formula spesso scelta anche dei proprietari-persone fisiche, che si affidano in genere a questi fini ai gestori specializzati. A volte persino affrancandosi dalla rigida disciplina del ‘98 e del D.M. del 2017 prevista per i “contratti di locazione per soddisfare le esigenze abitative di studenti universitari” (art. 5 co 2 e 3 L. 431/98 e art. 3 D.M. 16 gennaio 2017) – così rinunciando ai relativi benefici in termini fiscali e di durata – a fronte di una completa libertà nei canoni. Gli alloggi vengono così proposti con canoni alti e accolti con interesse specialmente dagli studenti stranieri, attratti dai ranking universitari alti (e basse tasse scolastiche) dei nostri atenei. Ma con l’emergenza Covid, gli studenti stranieri sono scappati generando una varietà di problemi: canoni non pagati, situazioni rimaste sospese con sfratti ineseguibili e interi building ristrutturati ad hoc rimasti vuoti.
Sorte simile ha colpito molte locazioni stipulate per esigenze transitorie (art. 5 co1 L. 431/98 e art. 2 del D.M. 17 gennaio 2017) giustificate da trasferimenti temporanei per motivi di lavoro, contratti di apprendistato, o formazione professionale. L’attuale predilezione per lo smart-working, ribadita da ultimo dal DPCM del 13 ottobre 2020, consente di lavorare dal proprio domicilio e convince molti lavoratori occasionali ad abbandonare l’alloggio locato, incuranti degli accordi locativi vigenti.
Locazioni di medio e lungo periodo e rischi civilistici
Chi si è rivolto a formule locatizie più stabili è anche esposto ad altri rischi. Per esempio, le continue proroghe in materia di sfratti: l’art. 17 bis del Decreto Rilancio (convertito in L. 17 luglio 2020, n.77) sospende fino al 31 dicembre 2020 l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili sia a uso abitativo che ad uso diverso, con una formula ampia che si ritiene valga anche nel caso in cui il titolo sia uno sfratto per morosità.
Il D-L del 13 ottobre 2020 che impone le mascherine in ogni spazio condiviso osteggia invece le locazioni commerciali, specie di studi e uffici in open space. Da considerare tra l’altro la recente ordinanza del Tribunale di Roma (Ord. 27 agosto 2020) che impone l’obbligo di rinegoziazione dei canoni di locazione in conseguenza del Coronavirus.
Un favor verso il conduttore anche in tempi di Covid.
Crescono di conseguenza i problemi con l’inquilino moroso, protetto dal favor che il nostro ordinamento gli riserva considerandolo (spesso erroneamente) parte debole del rapporto. Favor ribadito anche dal Legislatore dell’emergenza che sembra invitare il giudice a tenere conto delle criticità generate al conduttore (specie se “commerciale”) dall’emergenza Covid spostando il peso delle conseguenze economiche sul locatore. Un’ipotesi in linea con il principio di conservazione del contratto (art. 1372 c.c.), ribadito spesso dalla giurisprudenza, nei contratti di lungo periodo: favorite, pertanto, le iniziative volte alla rinegoziazione dei canoni del rapporto locatizio per adeguarlo a circostanze sopravvenute.
Un principio recentemente ripreso anche dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (Relazione dell’8 luglio 2020), che ha tuttavia colto l’occasione per ribadire che la solidarietà contrattuale non può spingersi fino al punto di far subire a una sola parte “un apprezzabile sacrificio personale o economico”.