Risarcimento del danno per violazione del diritto d’autore: la retroversione degli utili
di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 29 luglio 2021 n. 21833 – Pres. Genovese – Rel. Nazzicone
[1] Retroversione degli utili – Diritto d’autore – Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Liquidazione del danno
(Cod. civ. artt. 1223, 1226, 1227, 2056, 2059; L. n. 633/1941 art 158).
[1] “Il criterio della retroversione degli utili in tema di diritto d’autore, anche ove più favorevole al danneggiato, resta nondimeno ancorato alla regola della necessaria derivazione causale ex art. 1223 c.c. dal fatto illecito: pertanto la somma, così come accertata quale ricavo per lo sfruttamento dell’opera realizzato dal responsabile, deve essere depurata, da un lato, dei costi sopportati dal medesimo, e, dall’altro lato, dell’autonomo contributo al successo dell’opera, così come realizzata e diffusa sul mercato dall’autore dell’illecito, per quanto tale successo dipenda dal lancio, propiziato dalla notorietà dell’interprete e dalle concrete capacità esecutive ed evocative del medesimo, tali da suscitare l’interesse del pubblico.”
CASO
[1] Il caso origina da una sentenza non definitiva del Tribunale di Milano con cui veniva accertato il plagio del ritornello di un brano musicale oggetto e venivano condannati in solido, con riferimento allo sfruttamento dell’opera, i titolari dei diritti patrimoniali di utilizzazione economica, l’autore e il compositore.
La Corte territoriale riduceva l’importo risarcitorio sostenendo che il Tribunale avesse errato nell’applicazione del criterio della retroversione degli utili di cui all’art. 158 della legge sul diritto d’autore in quanto ometteva di calcolare i costi sostenuti dagli appellanti per la promozione dell’opera musicale, dovendo il suddetto criterio trovare applicazione attraverso l’utilizzo dell’art. 1226 c.c.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte, dopo un’accurata disamina dei criteri di risarcimento del danno per violazione del diritto d’autore ai sensi dell’art. 158 della L. n. 633/1941, ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione, affinchè, valutato il materiale istruttorio, essa possa procedere ad nuova liquidazione del danno tenuto conto dei principi di diritto in epigrafe.
QUESTIONI
[1] La Corte di Cassazione, con la decisione in epigrafe, ha colto l’occasione per fare il punto in tema di risarcimento del danno per violazione del diritto d’autore.
In via preliminare la Corte rammenta che l’art. 158 L. n. 633/1941 pone le seguenti regole speciali:
- il risarcimento del danno è liquidato nel rispetto degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.: la disposizione è pleonastica, servendo solo a manifestare espressamente l’esigenza del rispetto delle regole comuni di liquidazione del danno, quanto a nesso causale, potere di liquidazione equitativa e, ancora in tema di nesso causale, concorso del fatto dello stesso debitore;
- il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’art. 2056, comma 2, c.c., ossia «con equo apprezzamento delle circostanze del caso», dunque ancora una volta ex art. 1226 c.c., cui si aggiunge però l’indicazione dei parametri espliciti, relativi agli «utili realizzati in violazione del diritto» ed alla liquidazione «in via forfettaria sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto»;
- sono dovuti anche i danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.
Nucleo precettivo della disposizione sta soprattutto nel punto b). La norma, in particolare, prevede il duplice criterio della c.d. retroversione degli utili conseguiti e del c.d. prezzo del consenso, sempre nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. La legge non esprime un precetto rigido di preferenza per i due criteri suggeriti; sebbene l’espressione utilizzata («quanto meno») lasci, in verità, intendere che quello del c.d. prezzo del consenso costituisce l’indicativa liquidazione di una soglia solo minima della liquidazione. I due criteri, dunque, si pongono come cerchi concentrici, avendo il legislatore indicato come il secondo sia quello che permette una liquidazione c.d. minimale, mentre il primo, dall’intrinseco significato anche sanzionatorio, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l’eventuale “costo” riferibile all’acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, ma ulteriormente implementati dai ricavi conseguiti dal plagiario sul mercato.
Il primo criterio della c.d. retroversione, o reversione, degli utili, non estraneo ad altri settori dell’ordinamento (cfr. art. 125 d.lgs. n. 30 del 2005 e art. 2391, ult. co., c.c), consiste nell’uso, in sede di liquidazione giudiziale del danno, del parametro dei profitti che l’autore della violazione al diritto d’autore abbia conseguito, come immediata e diretta conseguenza dello sfruttamento economico dell’opera dell’ingegno altrui. Esso non era ignoto al diritto vivente in epoca anteriore al d.lgs. n. 30 del 2005 e al d.lgs. n. 140 del 2006, quando si era affermato il principio che valesse considerare, in tema di valutazione del danno subìto dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno, il beneficio tratto dall’attività vietata (Cass. civ. 10 marzo 2016, n. 4048).
La ratio della norma indica che il profitto conseguito dal danneggiante è un indice presuntivo delle potenzialità di sfruttamento dell’opera sottratte all’autore e del cui depauperamento questi deve essere ristorato. Pertanto, nella liquidazione del danno ex art. 158 I. aut., il lucro cessante va valutato – come espressamente previsto dalla norma – ai sensi dell’art. 2056, comma 2, c.c., anche tenuto conto degli utili illegittimamente realizzati: il c.d. criterio della retroversione degli utili costituisce, quindi, uno dei parametri che il giudice del merito utilizza nella liquidazione del danno, che rimane equitativa.
Nel contempo, la norma esprime la necessità di calcolare i soli profitti che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, come si desume dall’espresso richiamo all’art. 1223 c.c., contenuto in esordio dell’art. 158, comma 2, I. aut. è il principio dei “fattori di moderazione” dei profitti restituibili calcolati secondo il criterio della retroversione degli utili, riguardato in funzione risarcitoria ai sensi dell’art. 158 I. aut., il quale richiede di “disaggregare” i ricavi conseguiti dall’autore dell’illecito, al fine di separare, al loro interno, sia i costi sostenuti, sia la frazione di utile derivante da fattori estranei.
A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha osservato che il giudice può utilizzare il metodo del beneficio ritratto dall’attività vietata «assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante», perché «correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo», pur sempre «nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto» (Cass. civ. 29 maggio 2015, n. 11225).
Onde è vero che va applicato il più vasto criterio della determinazione del danno, tenuto conto della lesione alle potenzialità di sfruttamento dell’opera che sarebbe potuto avvenire ed, in particolare, dei proventi che la stessa avrebbe prodotto, se sfruttata e diffusa dai suoi autori legittimi: e, tuttavia, occorre appunto individuare, con la migliore approssimazione possibile, tali proventi, in quanto il principio della retroversione degli utili è un mero strumento per pervenire alla determinazione equitativa del danno, non per attribuire in modo acritico e matematico tutti i proventi riscossi.
Ai sensi dell’art. 158, comma 2, I. aut., invero, la considerazione degli utili realizzati in violazione del diritto deve fermarsi al limite dato, il quale è costituito dalla percentuale dei guadagni eziologicamente derivata dall’operata contraffazione. Si tratta, cioè, di depurare il totale dei proventi riscossi, tenendo conto, da un lato, dei costi sopportati direttamente ricollegati allo sfruttamento illecito e, dall’altro lato, dei proventi esclusivamente dipendenti dall’autonomo contributo del plagiario. Si ricorda come, in particolare, sotto il secondo profilo, la necessità di depurare dal totale dei proventi riscossi quelli dipendenti dai fattori riconducibili al contributo reso dall’autore dell’illecito è già stata evidenziata da questa Corte (Cass. civ. 3 giugno 2015, n. 11464), condivisibilmente sottolineandosi, nel confermare ivi l’opinamento del giudice del merito, che il danno patito non può essere rapportato all’intero utile percepito, ma i proventi debbano essere depurati dalla quota percentuale dipendente da fattori riconducibili allo stesso utilizzatore terzo, per evitare di determinare, nel giudizio equitativo, un’attribuzione patrimoniale eccedente la correlazione causale con la ritenuta responsabilità.
Non sarebbe correttamente determinato, così, il quantum risarcitorio ex art. 158 I. aut., laddove fossero automaticamente attribuiti e riversati in favore del soggetto leso tutti i ricavi conseguiti, e ciò sotto un duplice profilo: perché dai ricavi devono essere detratti i costi, al fine di individuare ciò che costituisca il profitto o guadagno; perché dai ricavi va scomputato quanto non sia attribuibile tanto al valore dell’opera plagiata in sé, quanto, invece, alla autonoma capacità dei soggetti responsabili del plagio di condurla al successo, la quale non è un frutto dell’illecito. Una liquidazione che, al contrario, non tenesse conto di tali elementi violerebbe il disposto dell’art. 158 I. aut., il quale mira ad attribuire unicuique suum, non ad arricchire chi, per sorte, si trovi ad aver subìto un plagio; fermo restando che, sotto il profilo del danno morale d’autore, esso sarà autonomamente risarcito, indipendentemente dall’esistenza e dall’entità di un danno patrimoniale da sfruttamento dell’altrui opera dell’ingegno.
Occorre, dunque, ribadire come quello della retroversione degli utili in tema di diritto d’autore resti nondimeno criterio ancorato alla regola della necessaria derivazione causale ex art. 1223 c.c. dal fatto illecito: ciò vuol dire che la somma, così come accertata quale ricavo per le vendite dell’opera realizzato dal responsabile, deve essere depurata, da un lato, dei costi sopportati dal medesimo ai fini di quelle vendite, e, dall’altro lato, dell’autonomo contributo al successo dell’opera, così come realizzata e diffusa sul mercato dall’autore o dagli autori dell’illecito, per quanto tale successo dipenda dal lancio, propiziato dalla notorietà dell’interprete e dalle concrete capacità esecutive ed evocative del medesimo, tali da suscitare l’interesse del pubblico. In entrambi i casi, sono accertamenti e valutazioni in fatto, rimessi al prudente apprezzamento del giudice del merito, che devono, però, agganciarsi a criteri quanto più oggettivi ed alle prove offerte dalle parti.
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