Rinuncia all’azione di regresso verso il figlio/debitore e donazione indiretta: rapporti con l’istituto della collazione
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFCass., Sez. II Civ., 18 settembre 2019, ordinanza n. 23260
Pagamento di debito altrui- Surrogazione legale-Azione di Regresso- Rinuncia all’azione di regresso- Donazione indiretta- Collazione
(art. 737 c.c.; art. 769 c.c.; art. 809 c.c.; art 1236 c.c.)
Ai fini della collazione, il pagamento di un debito eseguito dal “de cuius” nei confronti di uno dei figli origina verso di lui un credito di pari importo; la rinuncia ad agire in regresso verso lo stesso costituisce una fattispecie di donazione indiretta.
CASO
Il figlio del de cuius, quale socio accomandatario, rispondeva illimitatamente dei debiti della società.
Il de cuius pagava un debito della società del figlio dell’importo di Lire 280.000.000 e successivamente rinunciava ad agire in regresso nei confronti del figlio/debitore stesso.
In sede di divisione ereditaria (a seguito della dichiarazione di nullità di un testamento olografo datato 10 marzo 1996 e relativa disposizione di scioglimento della comunione ereditaria secondo le norme sulla successione legittima) i coeredi chiedevano che venisse imputata ai fini della collazione ai sensi dell’articolo 737 c.c. la suddetta somma.
Secondo il giudizio di primo grado la somma pagata dal de cuius non sarebbe stata suscettibile di essere considerata ai fini della collazione.
Allo stesso modo si pronuncia la Corte d’Appello, secondo la quale il pagamento da parte del padre in favore del figlio fosse avvenuto a titolo di garanzia e non di liberalità, poichè rispondeva ad un interesse proprio anche del padre, il quale era coobbligato in solido col figlio per i debiti della società, al fine di evitare l’incremento degli interessi moratori e l’escussione coattiva del proprio patrimonio.
La Corte di Cassazione stabilisce che il pagamento effettuato dal padre rientra nella fattispecie delle donazioni indirette e, pertanto, è oggetto di collazione.
SOLUZIONE
La Suprema Corte, con ordinanza n. 23260 del 18 settembre 2019, ribalta completamente quanto sostenuto nei precedenti gradi di giudizio.
Come si evince dall’ordinanza oggetto della presente disamina, infatti, la fattispecie riguarda un caso di donazione indiretta.
Più precisamente il padre risulta, in forza del pagamento del debito della società di cui è socio il figlio in veste di accomandatario, creditore (anche) di quest’ultimo.
Tuttavia la rinuncia all’azione di regresso rappresenta una liberalità indiretta nei confronti del figlio e, in quanto tale, rientra nel meccanismo della collazione.
Detta volontà del de cuius è, del resto, confermata da una disposizione contenuta in un testamento pubblico – datato 9 maggio 1992 – nel quale è inequivocabile la volontà che l’importo pagato venga computato nella quota ereditaria del figlio.
Come stabilito dalla Suprema Corte, la liberalità indiretta può derivare dalla combinazione di più negozi giuridici che hanno, come fine ultimo, quello di prefigurare un’attribuzione patrimoniale a titolo gratuito.
Il fine prevale sui mezzi: per raggiungere un determinato scopo le parti possono porre in essere i più disparati negozi giuridici, purché agiscano nei limiti di quanto consentito nel nostro ordinamento giuridico (Cass. nn. 3134/12 E 5333/04).
La Corte di Cassazione, pertanto, critica l’orientamento dei precedenti giudici, i quali, soffermandosi sull’aspetto formalistico, sembrano voler affermare la possibilità di compiere una donazione indiretta esclusivamente attraverso un unico actu.
Nel caso di specie il trasferimento di ricchezza nei confronti del figlio da parte del padre viene compiuto attraverso il pagamento materiale nei confronti dei creditori e altresì attraverso la mancata surrogazione ovvero il mancato regresso nei confronti del figlio.
Sul punto all’eccezione compiuta dalla Corte d’Appello in merito alla causa di garanzia sottostante il pagamento la Suprema Corte ribadisce quanto segue: pur volendo ammettere l’esistenza di un interesse proprio del padre al pagamento del debito (il quale agirebbe al fine di evitare l’incremento degli interessi moratori e l’escissione coattiva del patrimonio personale), l’atto di liberalità sarebbe comunque successivo al pagamento e, pertanto, si verificherebbe a prescindere dalla causa sottostante lo stesso.
QUESTIONI
[1] La collazione è in istituto tipico del diritto successorio che trova la sua disciplina negli artt. 737 e ss. c.c.; più precisamente essa è l’atto con il quale determinati soggetti (i figli e loro discendenti e il coniuge) conferiscono nell’asse ereditario quanto ricevuto in vita dal de cuius a titolo di donazione diretta e indiretta.
La collazione segue necessariamente all’accettazione dell’eredità ed è obbligatoria per legge salvo espressa dispensa, la quale opera comunque solo nei limiti della quota disponibile.
L’istituto è oggetto di un dibattito annoso in merito a due temi: il suo fondamento e la sua natura giuridica.
Quanto al fondamento, secondo parte della dottrina (Gazzarra, voce “Collazione” (diritto civile), in Enc. Dir., VII, Milano, 1970, 332) l’istituto in esame è volto a tutelare l’interesse superiore della famiglia. Tuttavia detta tesi è oggetto di critica in quanto una tale esigenza appare incompatibile con la derogabilità della normativa in tema di collazione. Secondo la giurisprudenza (Cass. Civ., II Sezione, 27 gennaio 1995, n. 989) e altra parte della dottrina (Forchielli, “La collazione”, Padova, 1958; C. M. Bianca “Diritto civile” II, Milano 2001,742; Capozzi, “Successioni e donazioni”, II, Milano, 2002; M. Bruno e L. Salomone, “La divisione ereditaria”, Piacenza, 2003) l’istituto della collazione trova il suo fondamento nella presunta volontà del legislatore di compiere anticipazioni di carattere patrimoniale sulla futura successione a favore dei suddetti soggetti; detta presunzione mira alla salvaguardia del principio di parità di trattamento tra i coeredi a fronte delle disparità create con le donazioni (dirette o indirette) come anticipazione di eredità.
Quanto, invece, alla natura giuridica, tra le varie teorie, appare preferibile e prevalente quella sostenuta in giurisprudenza già da tempo (Cass. 1 febbraio 1995, n. 1159) secondo la quale con la collazione si verifica un automatismo all’apertura della successione.
Da ciò consegue che i beni ricevuti per donazione, diretta o indiretta, devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, mentre chi eccepisce un fatto ostativo alla collazione ha l’onere di fornire la prova.
[2] La donazione indiretta ricorre ogniqualvolta le parti, senza rispettare alcun formalismo, determinano diminuzione patrimoniale per il disponente e arricchimento dell’avente causa; detto effetto corrisponde esattamente all’effetto tipico del contratto di donazione.
Pertanto, a tutte le ipotesi di donazione indiretta, devono essere applicate le norme del negozio fine e, dunque, della donazione (alla disciplina del negozio mezzo, invece, si fa riferimento per quanto riguarda la forma).
Ne consegue l’applicazione della disciplina della collazione, come del resto espressamente previsto dall’art.737 c.c. (Casulli, voce “Collazione delle donazioni”, in Nuoviss. Dig. It., III, Torino, 1959, 462).
In conclusione, e in coerenza con quanto sopra sostenuto, la Suprema Corte nella pronuncia in esame ravvisa la sussistenza di una liberalità indiretta non nel pagamento del debito (della società del) figlio, quanto nella espressa rinuncia alla facoltà di surrogazione e/o al regresso nei confronti del figlio debitore – elemento che si è perfezionato successivamente al pagamento e che costituisce un arricchimento del figlio e un detrimento patrimoniale del padre.
Ricorrendo un’ipotesi di liberalità indiretta, correttamente la Cassazione afferma che di tale liberalità si debba tenere conto ai fini della collazione in sede di divisione ereditaria.