Rimessa alle Sezioni Unite la determinazione dell’efficacia probatoria dei verbali della commissione medico-ospedaliera
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. III, 31 ottobre 2022, n. 32077, Pres. Travaglino – Est. Graziosi
[1] Sommario (artt. 2043, 2700, 2735 e 2733 c.c. e art. 116 c.p.c.)
Occorre rimettere il ricorso al Primo Presidente perché valuti l’opportunità della sua rimessione alle Sezioni Unite perché si pronunci sulla seguente questione: se i verbali delle Commissioni Mediche Ospedaliere che accertano i danni da emotrasfusione sono vincolanti nel giudizio civile di risarcimento danni.
CASO
[1] Con atto di citazione un soggetto conveniva davanti al Tribunale di Roma il Ministero della Salute e una struttura privata convenzionata, esponendo di essere stato ricoverato presso quest’ultima, ove aveva ricevuto un intervento chirurgico in relazione al quale era stato sottoposto a emotrasfusione. Successivamente, avrebbe appreso di essere affetto dal virus HIV, conseguentemente richiedendo e ottenendo il riconoscimento del proprio stato invalidante, con verbale della Commissione Medica di I Istanza di Roma, sulla base del quale veniva presentata domanda di indennizzo, parimenti accolta dalla medesima Commissione.
Su tali basi, l’attore chiedeva che fosse accertato che egli aveva subito danni riconducibili a un comportamento colposo, solidale e/o individuale dei convenuti, con conseguente condanna, in via solidale e/o alternativa, al risarcimento di tali danni, patrimoniali e non patrimoniali.
Si costituiva il Ministero della Salute, resistendo e, tra l’altro, negando la sussistenza del nesso causale tra l’emotrasfusione e la patologia.
Si costituiva anche la struttura privata convenzionata, a sua volta resistendo e chiedendo altresì di essere manlevata dalla compagnia assicuratrice.
Durante l’istruttoria veniva disposta CTU, il cui esito escludeva la sussistenza di un nesso causale tra l’emotrasfusione e la patologia insorta.
Il Tribunale accertava la responsabilità del Ministero ex art. 2043 c.c., nella raccolta e distribuzione a scopo trasfusionale dell’unità di sangue somministrata al paziente produttiva del danno biologico irreversibile accertato e derivato dalla trasmissione del virus HIV, condannandolo a risarcire all’attore i danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali, e rigettava la domanda attorea nei confronti della struttura privata convenzionata, con assorbimento della domanda di questa nei confronti della chiamata compagnia assicuratrice.
Il Ministero proponeva appello principale, cui resisteva l’attore proponendo appello incidentale in relazione alla responsabilità della struttura privata convenzionata e a una superiore determinazione dell’importo risarcitorio. Si costituiva la struttura, resistendo all’appello incidentale e insistendo in subordine nella domanda di garanzia.
La Corte d’appello di Roma rigettava l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale nei confronti del Ministero, condannava quest’ultimo a corrispondere una somma risarcitoria superiore; dichiarava inammissibile l’appello incidentale nei confronti della struttura privata convenzionata.
Il Ministero presentava ricorso per cassazione denunciando, per quanto di interesse ai fini del presente commento, in riferimento all’art. 360, 1°co., n. 3), c.p.c., violazione degli artt. 2043, 2735 e 2733 c.c. e art. 116 c.p.c., dell’art. 2700 c.c., nonché dell’art. 4, l. n. 210/1992, in merito all’accertamento della commissione medica ospedaliera con inesatta attribuzione di valore di atto pubblico fidefacente, di prova legale e di confessione al relativo verbale.
In particolare, il ricorrente ritiene che il giudice d’appello abbia rigettato il suo motivo di gravame relativo all’assenza di prova del nesso causale tra la trasfusione e la malattia diagnosticata all’attore reputando che ciò contrastasse con il principio dettato da Cass. 15 giugno 2018, n. 15734, per cui, nel giudizio concernente il risarcimento del danno da emotrasfusioni promosso dal danneggiato avverso il Ministero della Salute, l’accertamento della riconducibilità del contagio a una emotrasfusione effettuato dalla Commissione di cui all’art. 4, l. n. 210/1992, e in base al quale è stato riconosciuto l’indennizzo previsto da tale legge, non può essere messo in discussione dal Ministero quanto alla riconducibilità del contagio all’emotrasfusione, sicché il giudice deve ritenere tale fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo detta Commissione organo dello Stato, l’accertamento è imputabile allo stesso Ministero. Il che, evidentemente, significa equiparare l’accertamento della Commissione, quanto alla sussistenza del nesso causale tra le emotrasfusioni e la patologia, a un atto confessorio e a un’attestazione pubblica fidefacente.
Tuttavia, osserva il ricorrente che tale arresto della Cassazione contrasterebbe con l’orientamento consolidato della Suprema Corte, espresso anche dalle Sezioni Unite, per cui la decisione della Commissione Medica Ospedaliera sulla corresponsione dell’indennizzo avrebbe un “valore meramente relativo”, non costituendo prova del nesso causale e non avendo valore confessorio.
Rileva, dunque, il ricorrente che la sentenza impugnata, laddove sulla dimostrazione del nesso causale dichiara di condividere la giurisprudenza di legittimità rappresentata da Cass., n. 15734/2018 per dichiarare l’infondatezza dell’appello, dovrebbe essere considerata errata, per aver ritenuto sussistente una responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione per danni non riconducibili eziologicamente a condotte del Ministero, sulla base di una erronea e illegittima applicazione delle norme sopra richiamate.
SOLUZIONE
[1] L’adita Sezione Terza della Cassazione rileva la problematicità di riconoscere – sulla scorta dell’invocata pronuncia di Cass., n. 15734/2018 – alle commissioni mediche che intervengono ai fini della indennità di cui alla l. n. 210/1992 un ruolo che ordinariamente ad esse è negato, ossia oltrepassare l’ordinaria attività accertativa loro affidata per giungere a farle rappresentare giuridicamente il Ministero della Salute, così da elevare la propria valutazione tecnica a una stabilizzante esternazione di natura confessoria-dispositiva del Ministero stesso.
Il provvedimento in commento ritiene, altresì, che una siffatta interpretazione non sia compatibile con quanto dichiarato più volte dalle Sezioni Unite sulla natura dell’attività delle commissioni mediche: il che ha indotto il collegio a ricorrere nuovamente alle Sezioni Unite in forza dell’art. 374 c.p.c., essendo necessario, per dirimere la decisione del ricorso, sciogliere l’incertezza giurisprudenziale derivante dalla predetta “anomala” considerazione del ruolo delle commissioni mediche.
QUESTIONI
[1] La questione sottoposta alla Terza Sezione della Cassazione, e che ha innescato il meccanismo della rimessione alle Sezioni Unite, attiene alla determinazione dell’efficacia probatoria da riconoscere ai verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 4, l. 25 febbraio 1992, n. 210, in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la trasfusione e la malattia.
Con maggiore precisione, ai sensi di tale disposizione «il giudizio sanitario sul nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio e la menomazione dell’integrità psico-fisica o la morte è espresso dalla commissione medico-ospedaliera di cui al testo unico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 165».
Sul punto, l’ordinanza in commento – sulla scorta delle difese presentate dal ricorrente – rileva l’assenza di uniformità di orientamento interpretativo nella giurisprudenza di legittimità.
Il primo orientamento rinvenibile sul punto è rappresentato da Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, la quale ha affermato che “i verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 4, l. 25 febbraio 1992, n. 210 – istituita ai fini dell’indennizzo in favore di soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati – fanno piena prova, ai sensi dell’art. 2700 c.c., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenute costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova ma non può mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento”.
Per il successivo decennio la giurisprudenza delle sezioni semplici ha seguito senza particolari oscillazioni il dettato delle Sezioni Unite, in sostanza perimetrando entro il libero convincimento del giudice l’esito dell’accertamento effettuato dalla Commissione medico ospedaliera, in generale per ogni fattispecie in cui commissioni mediche espletano accertamenti nell’ambito di un procedimento amministrativo, quali atti strumentali all’adozione di un provvedimento.
Ciò è stato ribadito, ad esempio, da Cass., 9 giugno 2015 n. 11889, secondo la quale “per quanto concerne la valenza dei verbali delle Commissioni mediche sul piano probatorio”, si applica pienamente l’art. 2700 c.c., onde il giudice può valutarne “l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento definitivo ed indiscutibile”, considerato che le deliberazioni collegiali mediche difettano “di qualsiasi efficacia vincolante, di natura sostanziale e processuale, trattandosi di atti di natura non provvedimentale, in quanto meramente strumentali e preordinati all’adozione del provvedimento di attribuzione di una determinata prestazione previdenziale, in corrispondenza di funzioni di certazione costituenti esercizio di mera discrezionalità tecnica e non amministrativa, assegnate dalla legge alle suddette commissioni mediche”.
Nello stesso senso, peraltro, si è espressa anche la medesima Sezione Terza della Cassazione, con ordinanza del 20 marzo 2018 n. 6843, dove si è affermato che “il giudice deve raggiungere autonomamente la prova del nesso causale per poter pervenire ad un ragionevole convincimento della sua esistenza” e che “essendosi le commissioni mediche ospedaliere pronunciate per il riconoscimento del diritto all’indennizzo, il giudice aveva la disponibilità di elementi presuntivi per ritenere raggiunta la prova del nesso causale tra le trasfusioni e la patologia”.
Il conflitto interpretativo rilevato dal provvedimento in commento si è sviluppato proprio a partire dal 2018, in particolare con l’ordinanza del 15 giugno, n. 15734, con cui è stato affermato il seguente principio di diritto: “In tema di danni da emotrasfusioni, nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della salute, l’accertamento della riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, compiuto dalla Commissione di cui all’art. 4, l. n. 210/1992, in base al quale è stato riconosciuto l’indennizzo ai sensi di detta legge, non può essere messo in discussione dal Ministero, quanto alla riconducibilità del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative di esso, e il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la Commissione organo dello Stato, l’accertamento è da ritenere imputabile allo stesso Ministero”.
Tutta la struttura argomentativa di tale nuova impostazione si nutre, evidentemente, dell’asserto secondo cui la commissione medica costituisce una branca del Ministero, in essa radicalmente e solidamente inserita e tale da rappresentarlo appieno. La sua valutazione positiva del nesso causale diventa quindi, più che un accertamento, una confessione, che avvince il Ministero non solo per l’emissione di un provvedimento relativo all’attribuzione di una prestazione previdenziale, ma altresì in un giudizio civile ove è convenuto mediante un’azione risarcitoria imperniata proprio sul nesso causale tra emotrasfusione e patologia fonte di danni.
Tale precedente avrebbe, così aperto una strada diversa rispetto a quella inaugurata dalle Sezioni Unite dieci anni prima, e costantemente seguita dai successivi arresti delle sezioni semplici.
Spetterà alle Sezioni Unite, dunque, dirimere tale contrasto, al fine di chiarire se, al di là dell’efficacia ex art. 2700 c.c. propria del verbale della commissione medico ospedaliera, le valutazioni ivi contenute abbiano un valore confessorio, in quanto direttamente riconducibili al Ministero della Salute, ovvero restino assoggettate al libero convincimento del giudice.
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