16 Maggio 2023

I rimedi esperibili contro l’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate presso il terzo

di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, Sez. III, sent. 12 aprile 2023, n. 9736, Pres. De Stefano, Est. Tatangelo

Pignoramento presso terzi – ordinanza di assegnazione – opposizione all’esecuzione – opposizione agli atti esecutivi (Cod. Proc. Civ. artt. 543, 553, 615, 617)

[I]  “Nei giudizi di opposizione esecutiva relativi a una espropriazione presso terzi ai sensi degli artt. 543 e ss. c.p.c. il terzo pignorato è sempre litisconsorte necessario” (massima redazionale)

[II]   “L’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati, in quanto atto che non necessita di attuazione, non è mai revocabile o modificabile dal giudice dell’esecuzione che l’ha emessa e, una volta che il procedimento di espropriazione presso terzi di crediti si sia concluso con l’ordinanza di cui all’art. 553 c.p.c., non è più ammissibile neanche una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. da parte del debitore, dovendo quest’ultimo, instaurare un ordinario processo di cognizione per fare eventualmente accertare che il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario del credito” (massima redazionale)

[III] “In ragione del carattere solo rescindente della sentenza emessa all’esito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., con la pronuncia che definisce un siffatto giudizio può solo essere dichiarata l’eventuale illegittimità, con la conseguente inefficacia, del provvedimento del giudice dell’esecuzione opposto non conforme alla legge: di regola sarà il giudice dell’esecuzione a dover prendere atto di tale pronuncia ed eventualmente emettere i conseguenti provvedimenti necessari per il proseguo del procedimento esecutivo” (massima redazionale)

CASO

In forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale (nella specie il provvedimento di riconoscimento di un assegno di mantenimento in esito ad un giudizio di separazione giudiziale dei coniugi), la creditrice procedeva al pignoramento, nelle forme dell’esecuzione presso terzi, dei crediti presenti e futuri vantati dal debitore nei confronti del proprio datore di lavoro, e, in esito al procedimento di esecuzione, il tribunale emetteva il provvedimento di assegnazione delle somme pignorate.

Successivamente, il titolo giudiziale sulla base del quale la creditrice aveva agito veniva parzialmente riformato nel quantum (nella specie, l’assegno di mantenimento veniva ridotto), sicché il debitore proponeva al tribunale una “istanza di revoca” del provvedimento di assegnazione a suo tempo pronunciato e il tribunale disponeva l’interruzione dei pagamenti da parte del terzo pignorato (il datore di lavoro).

Contro questo provvedimento di sospensione dei pagamenti la creditrice proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c., opposizione che veniva però rigettata dal tribunale.

Questa sentenza di rigetto veniva allora impugnata dalla creditrice ai sensi dell’art. 395 c.p.c. e il tribunale, accogliendo la revocazione, “e pronunciando in sede rescissoria, accoglieva l’opposizione della creditrice dichiarando nullo il provvedimento “di sospensione” de quo e, confermando la perdurante efficacia del provvedimento di assegnazione originariamente pronunciato, ordinava al terzo pignorato di riprendere i pagamenti (nei limiti dell’importo illo tempore assegnato).

Avverso questa pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione sia la creditrice che il debitore.

SOLUZIONE

La Suprema Corte non illustra i motivi di ricorso, ma, in esito, cassa la sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito sulla base di un unico motivo.

La Corte, premesso che, per costante giurisprudenza, “l’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati, in quanto atto che non necessita di attuazione, non è mai revocabile o modificabile dal giudice dell’esecuzionee che, una volta che il procedimento di espropriazione presso terzi di crediti si sia concluso con l’ordinanza di cui all’art. 553 c.p.c., non è più ammissibile neanche una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. da parte del debitore”, decide tuttavia in forza di una diversa questione: l’essersi il precedente giudizio di opposizione svoltosi senza la partecipazione del terzo pignorato.

I Supremi Giudice richiamano, infatti, un orientamento, ormai consolidato, in forza del quale “nei giudizi di opposizione esecutiva relativi ad una espropriazione presso terzi ai sensi degli artt. 543 e ss. c.p.c. il terzo pignorato è sempre litisconsorte necessario”.

Chiarito questo aspetto decisivo, la Suprema Corte, probabilmente a beneficio del giudice del rinvio, aggiunge alcune considerazioni.

Partendo dal rilievo per il quale il provvedimento che definisce un’opposizione ex art. 617 c.p.c. ha natura esclusivamente rescindente, limitandosi a porre nel nulla un provvedimento giudicato illegittimo e rimettendo, quindi, al giudice dell’esecuzione l’emissione dei “conseguenti provvedimenti necessari per il prosieguo del processo esecutivo”, la Corte evidenzia come, tuttavia, nel caso di specie “dovrà altresì sicuramente tenersi conto” del fatto che il procedimento esecutivo si è già chiuso con la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione, “onde il giudice dell’esecuzione aveva ormai definitivamente esaurito la sua funzione”.

In esito, comunque, sulla base della decisiva questione della non integrità del contraddittorio per la pretermissione del terzo pignorato, litisconsorte necessario, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.   

QUESTIONI

Il tema decisivo della pronuncia de qua, come poc’anzi riferito, attiene alla necessità che anche il terzo pignorato venga convenuto nei giudizi di opposizione che riguardano (come ovvio) le esecuzioni nella forma del pignoramento presso terzi. Il tema è noto e ormai pacifico.

Da ultimo, si segnala Cass. 5476/2023, che segue a ormai numerosissime pronunce conformi, le quali poggiano sulla considerazione per cui gli obblighi del terzo dipendono dall’esito del giudizio di opposizione e, in ogni caso, in capo al terzo deve essere riconosciuto un insopprimibile interesse a interloquire sulla fondatezza dell’opposizione esecutiva e ad essere reso direttamente partecipe degli esiti del giudizio.

Risulta tuttavia interessante anche l’altro problema toccato dalla Suprema Corte, sebbene in una sorta di obiter dictum, per vero accompagnato da uno scarsissimo, per non dire inesistente, resoconto dei motivi di doglianza spesi dalle parti (non è dato neppure sapere per quale motivo la creditrice ebbe ad esperire la revocazione ex art. 395 c.p.c.).

Come detto, con queste ulteriori osservazioni, ma anche con alcune delle premesse delle quali si è dato sopra conto, la Suprema Corte probabilmente fornisce alcune indicazioni al giudice del rinvio.

La Suprema Corte evidenzia, innanzitutto, come l’ordinanza di assegnazione di cui all’art. 553 c.p.c. non sia suscettibile, una volta pronunciata, di essere revocata o modificata, con ciò palesemente censurando il tribunale che, nel caso in oggetto, ha pronunciato un provvedimento di sospensione degli effetti che questa ordinanza stava producendo, sulla base di una mera istanza del debitore.

Pronuncia “di sospensione”, peraltro, e anche questo si trae dalla sentenza in commento, pronunciata da un giudice che “aveva ormai definitivamente esaurito la sua funzione”.

Del resto, dice sempre la Suprema Corte, una volta che l’ordinanza de qua è stata pronunciata, “non è più ammissibile neanche una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. da parte del debitore” che, precisa la Corte, deve invece “instaurare un ordinario processo di cognizione per fare eventualmente accertare che il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario del credito”.

L’ordinanza di assegnazione è invece impugnabile nelle forme e nei termini dell’art. 617 c.p.c., ma, come ovvio, solo per i vizi che possono fondare questa specifica opposizione (tra i quali non si possono annoverare eventuali fatti sopravvenuti che abbiamo modificato o estinto l’originario credito o il suo titolo).

In questo caso, tuttavia, la Corte precisa che viene a crearsi una situazione “peculiare”. Infatti, mentre nel caso in cui oggetto di impugnazione ex art. 617 c.p.c. siano atti esecutivi diversi da quello che conclude il procedimento, si dovrà tornare dal giudice dell’esecuzione per la riemissione di un nuovo provvedimento che permetta di riprendere il corso regolare della procedura esecutiva (non potendo essere il giudice dell’opposizione ad emettere un provvedimento “sostitutivo” di quello viziato), se quello che viene impugnato, con esito positivo dell’impugnazione ex art. 617 c.p.c., è invece l’atto conclusivo della procedura, si dovrà fare i conti, come già sopra evidenziato, con la “circostanza che, in realtà, il processo esecutivo era già stato chiuso e definito con l’originaria ordinanza di assegnazione (onde il giudice dell’esecuzione aveva ormai definitivamente esaurito la sua funzione)”.

La Corte non dà ulteriori indicazioni, ma in dottrina si osserva, in adesione al sistema, che “quando siano già avvenute l’aggiudicazione, anche provvisoria, o l’assegnazione o, maiori causa, la distribuzione del ricavato tra i creditori, gli effetti di queste rimarranno comunque intatti, in ossequio a quanto prescrive l’art. 2929 c.c. sulla stabilità delle vendite e dell’assegnazione forzata e del riparto” (A. Tedoldi, Esecuzione Forzata, ed. Pacini Giuridica, 2021, pag. 708).

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