21 Novembre 2023

I rimedi esperibili avverso l’ordinanza ex art. 612 c.p.c. che determini la portata del titolo esecutivo

di Silvia Romanò, Dottoranda in Scienze giuridiche europee e internazionali presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cassazione civile, Sez. II, Sentenza 24/07/2023, n. 22010. Pres. Lombardo, Estensore Fortunato

Esecuzione forzata – opposizione all’esecuzione – obblighi di fare – esecuzione degli obblighi di non fare – interesse all’esecuzione – ordinanza ex art. 612 c.p.c. – natura decisoria dell’ordinanza

Massima: “In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo e all’ammissibilità dell’azione esecutiva non è appellabile, ma reclamabile al collegio ex art. 624 c.p.c. ove tale decisione sia stata presa solo in vista della mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell’esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell’art. 617 c.p.c. ove abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo, con esclusione, in ogni caso, della proponibilità dell’appello”.

CASO

Con sentenza non definitiva resa nel 1975, il Tribunale di Avellino, in accoglimento della domanda presentata da Tizio, condannava Alpha S.r.l. a demolire svariate costruzioni illegittime. La sentenza veniva confermata in appello e passava in giudicato.

Con ricorso introdotto nel 1977 ex art. 612 c.p.c. innanzi al Pretore di Avellino, Tizio chiedeva di determinare le modalità con le strutture abusive sarebbero state demolite e con le quali sarebbe stata lasciata libera l’area indicata in sentenza. Le modalità venivano determinate l’anno successivo mediante ordinanza, poi sospese e differite più volte negli anni per i tentativi di definire transattivamente la lite. Nelle more Tizio decedeva, e interveniva quindi nell’esecuzione il suo erede Sempronio.

La società Alpha, con istanza del 2015, chiedeva di dichiarare l’estinzione della procedura esecutiva per sopravvenuta carenza di interesse, evidenziando che il Tribunale di Avellino, con sentenza definitiva dell’anno precedente, aveva liquidato il risarcimento dei danni spettanti alle parti procedenti per le violazioni oggetto di causa; istanza accolta nel 2015 dal giudice dell’esecuzione con conseguente improseguibilità dell’esecuzione, in quanto riteneva il risarcimento sostitutivo rispetto alla condanna alla rimessione in pristino.

In grado di appello, l’ordinanza veniva riformata dalla Corte d’appello partenopea, la quale chiariva che il provvedimento del giudice dell’esecuzione avesse natura di sentenza, avendo statuito definitivamente sul diritto di procedere all’esecuzione forzata, e che, per l’effetto, la procedura esecutiva non potesse ritenersi esaurita, in quanto il titolo esecutivo era costituito dalla sentenza parziale passata in giudicato e che la successiva sentenza definitiva del 2014 aveva statuito solo sulle restanti domande, ma non era idonea a fare venire meno l’interesse alla demolizione dei manufatti abusivi.

Ricorreva per cassazione Alpha S.r.l.

SOLUZIONE

Ribadendo un orientamento sopravvenuto e ormai consolidatosi, la Corte di cassazione precisa che in nessun caso può essere appellata l’ordinanza resa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. che determina le modalità dell’esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare; detta ordinanza può essere reclamata oppure impugnata con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p., qualora abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo.

QUESTIONI

Il motivo principale di ricorso consiste nella censura della pronuncia resa dalla Corte d’appello di Napoli per aver ritenuto che l’ordinanza del giudice dell’esecuzione con la quale veniva dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse avesse natura di sentenza impugnabile in appello: secondo il ricorso, la decisione del giudice, avendo pronunciato esclusivamente sull’improseguibilità dell’esecuzione, avrebbe potuto essere impugnata soltanto con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., trattandosi di provvedimento atipico di estinzione dell’esecuzione forzata.

La Corte di cassazione accoglie il motivo: l’ordinanza ex art. 612 c.p.c., con la quale il giudice dell’esecuzione determina le modalità dell’esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare, si esprime soltanto sulle modalità dell’esecuzione, ma non tocca il diritto della parte di procedere all’esecuzione, e va quindi censurata con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi per vizi formali.

Qualora, invece, il giudice, esorbitando dalle finalità proprie del provvedimento, si fosse espresso anche sul diritto all’esecuzione, la questione si faceva più complicata: prima delle modifiche all’art. 616 e ss. c.p.c. introdotte dal D.Lgs. n. 52/2006 – che ha scisso il giudizio di opposizione in una fase sommaria, destinata a concludersi con il rigetto o il diniego di sospensione dell’esecuzione, ed una successiva fase di merito, definita con la pronuncia sulla regolarità degli atti esecutivi o sul diritto a procedere all’esecuzione – si riteneva che la decisione, ancorché versata in una ordinanza, avesse natura di sentenza e potesse essere come tale impugnata. Dopo il 2006, si era esclusa l’appellabilità dell’ordinanza resa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. che non contenesse la regolazione delle spese processuali, mentre valore di sentenza impugnabile era attribuita alla decisione con cui il giudice dell’esecuzione, oltre a pronunciare sul diritto a procedere all’esecuzione, avesse statuito sulle spese. L’orientamento consolidatosi da un certo momento in poi afferma, invece, che l’ordinanza resa ai sensi dell’art. 612 c.p.c. non potrebbe considerarsi in alcun caso come una sentenza volta a definire un’opposizione, consistendo sempre nel provvedimento definitivo della fase sommaria dell’opposizione medesima (cfr. Cass. 8640/2016; Cass. 7402/2017; Cass. 15015/2016; Cass. 15606/2017; Cass. 10846/2018: per una sintesi v. TEDOLDI, Esecuzione forzata, II ed., Pisa, 2023, 359 s.).

Tale indirizzo è seguito anche dalla sentenza di legittimità in commento, nella quale la Corte di cassazione precisa che l’ordinanza che, nell’ambito di un processo di esecuzione per obblighi di fare o non fare, decida sulla portata sostanziale del titolo esecutivo e sull’ammissibilità dell’azione esecutiva deve ritenersi reclamabile laddove lo abbia fatto solo in vista di una mera sospensione della procedura, mentre è opponibile ai sensi dell’art. 617 c.p.c., laddove abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo; in nessun caso è, invece, appellabile, come invece è stato appellato il provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione nel 2015.

Segue la cassazione senza rinvio della sentenza in relazione al motivo accolto, poiché, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., l’appello non poteva esser proposto, e la compensazione integrale delle spese di secondo grado e quelle del giudizio di legittimità.

Vero è che – incredibile dictu – l’esecuzione in forma specifica de quo si era trascinata dal 1977 sino al 2015 per quasi cinquant’anni: sicché il Tribunale aveva finalmente rinvenuto la “via di fuga”, chiudendola definitivamente. E la Cassazione, nel 2023 (quasi mezzo secolo dopo l’inizio dell’esecuzione e l’emanazione della sentenza di condanna, risalente al 1975!), dopo la “(ri)apertura dei sepolcri” conseguente alla pronuncia della Corte d’appello di Napoli (che seguiva il pregresso indirizzo della Suprema Corte), ha posto termine a questa infinita odissea giudiziaria, durata cinque volte più del tempo che impiegò il leggendario eroe omerico per tornare a Itaca… salvo ripartirne assai presto – leggenda vuole – per varcare le colonne d’Ercole e inabissarsi per sempre nell’Inferno dantesco… pari soltanto alle italiche vie della giustizia…

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