Rilevabilità d’ufficio della nullità della delibera di ripartizione delle spese. Le norme del Codice del Consumo si applicano anche al condominio
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. 2^, 23.07.2019 n.19832, estensore dott.ssa E. Picarioni
Decreto ingiuntivo per la riscossione di oneri condominiali- Opposizione- Rilevabilità d’ufficio delle sottostanti delibere – Ammissibilità’
“In sede di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, non operava pertanto il limite alla rilevabilità anche officiosa dell’invalidità della sottostante delibera, trattandosi di elemento costitutivo della domanda…”[1].
“E’ stato affermato più volte da questa Corte regolatrice che le norme del Codice del consumo sono applicabili alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall’originario unico proprietario dell’edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale da quello svolta, e sempre che il condomino acquirente dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore…”[2]
CASO
La fattispecie perviene sino all’attenzione della Suprema Corte, per il profili squisitamente giuridici che involgono il caso e che – come si legge, in sentenza, nelle conclusioni del Procuratore generale si evocava l’intervento delle Sezioni Unite – investono il tema del rilievo d’ufficio della nullità della delibera e quello ad esso correlato, nella questione sottoposta alla Corte, del profilo sull’estensione del Codice del consumo, al condomino non imprenditore.
Per effetto di una delibera condominiale che a maggioranza approvava una ripartizione di spese in contrasto con il regolamento di condominio, la società costruttrice – proprietaria di alcune unità, rimaste invendute nel fabbricato condominiale – opponeva il decreto promosso dal Condominio avanti al Giudice di Pace e si vedeva accogliere l’opposizione.
Il Condominio appellava avanti al Tribunale la sentenza del Giudice di Pace ed a seguito dell’ulteriore soccombenza, anche in tale grado di giudizio, ricorreva avanti la Suprema Corte, sulla base di due specifiche censure:
- Violazione e falsa applicazione degli articoli 1136 e 1137 c.c., per contestare l’ammissibilità dell’opposizione, carente del presupposto di impugnazione della delibera dell’ingiunto e sulla quale il decreto ingiuntivo era fondato.
- Violazione falsa applicazione degli articoli 33 Dpr n.206 del 2005 e 1123, comma primo cc, per vessatorietà della clausola di esonero della società costruttrice dal pagamento delle spese condominiali, in ragione della durata indefinita dell’esonero e della qualifica di consumatore da attribuirsi al Condominio.
SOLUZIONE
La Suprema Corte di Cassazione – senza rimettere la questione all’attenzione delle Sezioni Unite – decidendo in pubblica udienza, Sottosezione Sesta, rigettava il ricorso proposto dal Condominio, ritenendo infondate entrambe le doglianze prospettate.
QUESTIONI
Costituisce tema ricorrente all’attenzione dei giudizi di merito, la questione sulla mancata impugnazione della delibera di approvazione delle spese, da parte del condomino ingiunto, a fronte di decreto ingiuntivo proposto dal Condominio, ex articolo 63 disp. att. cc., per mancato pagamento degli oneri.
Si controverte se sia o meno necessario, prima di opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dal Condominio, opporre la delibera di approvazione della spesa, che per l’appunto costituisce prova scritta e fondamento del credito ingiunto.
Nella fattispecie in esame, la Corte chiarisce che anche laddove non sia stata impugnata la delibera di approvazione della spesa da parte del condomino ingiunto, ma essa delibera fosse comunque nulla per violazione di legge, il rilievo di nullità, può essere eccepito d’ufficio dal giudice, in quanto elemento costituivo della domanda di accertamento del credito opposto.
Nel caso di specie la delibera condominiale modificava a maggioranza e non all’unanimità un criterio convenzionale di ripartizione degli oneri, prescritto all’interno di un regolamento contrattuale, quindi assumendo poteri in eccesso rispetto alle normali attribuzioni consentite all’organo collegiale.
L’intervento della Corte è risolutivo, in quanto consente eliminare tout court ogni questione di merito, in ordine all’impossibilità dell’assemblea di invadere campi non consentiti, in violazione delle norme di legge e/o di quelle regolamentari, atteso che la delibera risulterebbe inficiata da nullità, per impossibilità dell’oggetto, sinanche in assenza di una specifica eccezione di parte, poiché è consentito il rilievo ex officio.
La seconda questione controversa involge la circostanza che parrebbe intaccare latu sensu, un principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), poiché il Condominio lamenta che una clausola di esonero dal pagamento di oneri condominiali a beneficio della società costruttrice e sino alla completa vendita di tutte le unità immobiliari, sarebbe vessatoria, in quanto violerebbe il principio di cui all’articolo 1123 c.c., con un significativo squilibrio a favore di uno soltanto di essi (la società costruttrice), per un tempo indeterminato e con conseguente indebito arricchimento, rispetto alla proporzionalità del valore delle unità immobiliari e all’onere di pagamento degli oneri condominiali.
Su tale questione, la Corte chiarisce come le norme del codice dei consumatori siano applicabili anche alle ripartizioni delle spese condominiali predisposte dal costruttore o dall’originario unico proprietario dell’edificio, purchè da una parte venga rispettato il requisito dello svolgimento di attività imprenditoriale o professionale e dall’altra che il condomino acquirente l’unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore.
D’altro canto, nonostante non vi sia uniformità da parte delle Corti di merito sull’applicabilità al condominio, della normativa in materia di consumo (rectius: Codice del consumatore) [3], la Cassazione ha più volte rimarcato l’estensione della predetta disciplina, connotata dalla circostanza che il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti e, pertanto, quando l’amministratore agisce in rappresentanza dei medesimi, essi devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale.[4]
Ciò nondimeno, la Cassazione ugualmente rigetta la censura, ritenendo l’assenza di vessatorietà della clausola di esonero delle spese nei confronti dell’ingiunta – soggetto beneficiario dell’esonero -ma differente rispetto dall’originario dante causa venditore degli immobili, pertanto, costituendo questione nuova la prospettazione dell’indebito arricchimento, rispetto alle precedenti domande trattate avanti al giudice di merito, in ragione del principio di autosufficienza del ricorso e dell’impossibilità di estendere l’esame delle censure di legittimità a questioni non prospettate dal ricorrente nel giudizio d’appello.[5]
[1] Cass. 10.01.2019 n.470; Cass. 20/12/2018 n.33039; Cass. 12/9/2018 n.22157; Cass. 12/01/2016 n.305.
[2] Ex plurimis, Cass. 07/07/2016 n.16321; Cass. 24/06/2001 n.10086.
[3] Tribunale di Bergamo,16.01.2019, in banca dati sole 24 h: “La nozione di consumatore di cui all’art. 6 comma 2, lett. b) della L. 27 gennaio 2012 n. 3, infatti, fa riferimento solo al debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni, non soddisfatte al momento della proposta di piano, per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria”.
[4] Cass. 28/05/2019 n.14475; Cass. 22/05/2015 n.10679; Cass. 24/07/2001 n.10086.
[5] Cass. 13/06/18 n.15430; Cass 18/10/2013 n.23675.