18 Febbraio 2025

Rigettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 380-bis c.p.c. per violazione dell’art. 24 Costituzione

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 9 gennaio 2025, n. 511, Pres. Frasca, Est. Tassone

[1] Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi ex art. 380-bis c.p.c. – Pluralità di ricorsi avverso la medesima sentenza – Proposta di definizione del giudizio ex art. 380-bis c.p.c. per entrambi – Istanza di decisione proposta dal solo ricorrente principale – Conseguenze.

Massima: “In tema di procedimento per la decisione accelerata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in caso di pluralità di ricorsi avverso la medesima sentenza, ove la proposta di decisione riguardi sia il ricorso principale che quello successivo e l’istanza di decisione sia depositata da una sola delle parti, l’impugnazione non coltivata – pur dovendo essere trattata in adunanza camerale unitamente all’altra, previa riunione ex art. 335 c.p.c. – va considerata rinunciata, con conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio e inapplicabilità, alla parte non richiedente la decisione, dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c. e del raddoppio del contributo unificato”.

CASO

[1] Due medici convenivano, dinanzi al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, lamentando il mancato tempestivo recepimento delle Direttive CEE n. 75/363 del 16.6.1975 e n. 82/76 del 26.1.1982 e la mancata fruizione della borsa di studio ex D.Lgs. n. 257/1991.

La domanda veniva rigettata dal Tribunale di Roma per intervenuta prescrizione delle pretese attoree, con decisione confermata dalla Corte d’appello romana all’esito del giudizio di secondo grado.

Avverso tale sentenza, gli attori soccombenti proponevano ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo. Proponevano altresì ricorso per cassazione successivo, affidato a un unico motivo, altri medici.

In relazione ai due ricorsi il consigliere delegato ha formulato, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., proposta di decisione accelerata nel senso della inammissibilità degli stessi ex art. 360-bis, n. 1), c.p.c., per avere la Corte di merito deciso le questioni rimesse al suo esame in modo conforme alla consolidata giurisprudenza della Cassazione, e per non offrire, l’esame degli argomenti di critica – tutti sovrapponibili ai vari profili di censura già reiteratamente esaminati e confutati dalla corposa mole di pronunce già intervenuta in argomento – elementi per confermare o mutare tale orientamento.

Il difensore degli originari attori, munito di procura speciale, ha richiesto la decisione del ricorso principale, ed ha altresì sollevato, nella richiesta, questione di legittimità costituzionale dell’art. 380-bis c.p.c., in quanto lesivo del diritto di difesa, assumendo che il 3°co. della norma, “nel prevedere che la mancata accettazione della proposta di definizione del giudizio in cassazione, con la pronuncia di inammissibilità o infondatezza, sia sanzionata mediante l’applicazione dell’art. 96 c.p.c., minacc(erebbe) la tutela di diritti costituzionali di difesa in giudizio e di libera espressione del proprio pensiero, codificando un’ipotesi legislativa di abuso del processo, senza possibilità che sia provato il contrario”.

Il difensore dei ricorrenti successivi non ha formulato richiesta di decisione.

È stata conseguentemente fissata la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 360-bis.1 c.p.c.; i ricorrenti successivi hanno depositato memoria limitandosi a rappresentare di avere tacitamente rinunciato al giudizio non avendo chiesto la decisione.

SOLUZIONE

[1] In via preliminare, la Cassazione rileva che, a norma dell’art. 335 c.p.c., la trattazione del ricorso successivo deve avvenire unitamente a quello principale, previa riunione a questo.

Ciò premesso, la Suprema Corte osserva che la questione di costituzionalità prospettata dai ricorrenti, nel senso del contrasto dell’art. 380-bis c.p.c. con gli artt. 24 e 21 Cost., è manifestamente infondata.

L’arresto di Cass., sez. un., 13 ottobre 2023, n. 28540, infatti, ha già avuto modo di affermare che “In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, 3°co., c.p.c. – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del 3° e 4°co. dell’art. 96 c.p.c. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi a una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente”.

Ciò posto, dichiarata l’estinzione del giudizio di cassazione a norma dell’art. 391 c.p.c., nonché il beneficio della non applicazione del raddoppio del contributo unificato in relazione al ricorso incidentale rinunciato, la Cassazione dichiara inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1), c.p.c., il ricorso principale, in maniera integralmente conforme a quanto rilevato nella proposta di decisione accelerata, con condanna dei ricorrenti principali, ai sensi dell’art. 96, 3° e 4°co., c.p.c., al pagamento in solido, a favore delle Amministrazioni controricorrenti, di una somma equitativamente determinata.

QUESTIONI

[1] La Suprema Corte affronta la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti in relazione all’art. 380-bis c.p.c., denunciando il contrasto della norma con gli artt. 24 e 21 Cost.

L’art. 380-bis c.p.c., sostituito dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia), e rubricato «Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati», disciplina la possibilità, per il presidente di sezione o un giudice da questo delegato, di formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio quando ravvisi l’inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto.

La proposta è comunicata ai difensori delle parti, le quali, entro i successivi quaranta giorni, possono chiedere la decisione, pena rinuncia del ricorso e decisione resa ai sensi dell’art. 391 c.p.c.; nel caso in cui la parte insista per la decisione del ricorso, laddove lo stesso sia deciso in conformità alla proposta trovano applicazione il 3° e il 4°co. dell’art. 96 c.p.c.

In altri termini, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, la norma introduce una valutazione legale tipica, operata del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, 3°co.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad Euro 500,00 e non superiore ad Euro 5.000,00 (art. 96, 4°co.), così codificando – come affermato dal provvedimento che si commenta – una ipotesi di abuso del processo, da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale, istituto della cui conformità a Costituzione, secondo la Cassazione, non vi sarebbe dubbio alcuno.

La ratio perseguita dallo strumento è ovviamente quella di offrire nell’immediato uno strumento di agevole e rapida definizione dei ricorsi che si palesino inammissibili, improcedibili ovvero manifestamente infondati, consentendo alla Suprema Corte di concentrarsi su quelli che invece si presentino meritevoli di un intervento nomofilattico o che all’inverso meritino un attento esame.

Di converso, la situazione di condivisione della proposta che spinga il ricorrente in cassazione a non chiedere la decisione collegiale – essendo il provvedimento di chiusura del processo un decreto ai sensi dell’art. 391 c.p.c. – implica il vantaggio della possibilità che il decreto possa non disporre sulle spese, premiando l’atteggiamento del ricorrente.

La sanzione prevista dalla norma – che ha rappresentato il fulcro delle doglianze esposte dal ricorrente – è ricollegata, secondo il provvedimento che si commenta, “a una forma di abuso del processo che si concretizza allorquando si chieda la definizione del giudizio di cassazione infondatamente dissentendo dall’opinamento della proposta di definizione, che venga poi confermato dalla decisione collegiale. È questa la situazione che fa scattare l’automatismo delle sanzioni previste dal 3°co. dell’art. 380-bis, che, invece, non sussiste qualora il giudizio venga definito con esito infausto per il ricorrente con una motivazione diversa da quella esposta nella proposta di definizione. Potendo, semmai, in questo caso sussistere la possibilità per il Collegio di applicare, ricorrendone i presupposti e dunque, con una valutazione specifica e in concreto il 3° e il 4°co. dell’art. 96 c.p.c. in via diretta, cioè come accadrebbe nel giudizio di cassazione definito senza previa proposta di c.d. definizione accelerata”.

Su tali aspetti già si erano pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione (Cass., sez. un., 22 settembre 2023, n. 27195), precisando che “L’art. 380-bis c.p.c. configura uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (D.Lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa. Richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, 3° e 4°co., c.p.c., l’art. 380-bis c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata”.

Tali fattori di dissuasione – così si esprime Cass., sez. un., n. 27195/2023 – sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, per cui risulta giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo.

In relazione all’art. 380-bis c.p.c. – di cui, in definitiva, il provvedimento in commento conferma la legittimità costituzionale -, è possibile, in conclusione, ricordare la modifica operata dal d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 (c.d. decreto integrativo e correttivo della riforma Cartabia), il quale, incidendo sul 2°co. della norma, ha soppresso l’inciso «munito di nuova procura speciale» originariamente riferito al difensore legittimato a insistere per la decisione del ricorso.

La soppressione dell’onere del difensore di munirsi di una nuova procura speciale per chiedere la decisione a seguito della proposta di definizione del giudizio è volta, secondo la Relazione illustrativa, a risparmiare alla parte e al suo difensore ulteriori incombenti formali: il difensore, dunque, potrà sollecitare la decisione del Collegio avvalendosi dei poteri conferitigli in virtù della originaria procura speciale.

Da ultimo, è opportuno ricordare che la pronuncia di Cass., sez. un., 10 aprile 2024, n. 9611 (in Riv. dir. proc., 2024, 1399 ss., con nota di F. Nicolai, Sulla tassatività delle ipotesi di astensione obbligatoria quali disposizioni a tutela dell’accettabilità del risultato della giurisdizione), ha chiarito che “Nel procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., come disciplinato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4) e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva; né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e controllo sulla proposta stessa”.

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