Riconosciuto il mantenimento alla moglie che non riesce a trovare un lavoro a tempo pieno
di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile sez. VI, ordinanza del 10/05/2021, n. 12329
Assegno di mantenimento separazione – capacità lavorativa in concreto del coniuge
(Art. 156 c.c.)
La prova dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno grava sul coniuge che chiede il mantenimento. A fronte dell’accertamento positivo dei presupposti, compresa la mancanza di colpa del coniuge istante nel non riuscire a reperire un’occupazione adeguata, operata dal giudice di merito sulla base delle allegazioni e dei riscontri probatori offerti, ricade sulla parte che intende contestare tale ricostruzione, indicare nel ricorso per cassazione gli elementi di segno contrario allegati in sede di merito, e non valutati dal giudice dell’appello.
Caso
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, il Tribunale di Rovereto respingeva la domanda di addebito nei confronti della moglie, disponeva che ciascuno dei coniugi versasse direttamente ai due figli maggiorenni la somma di 250 euro mensili, e negava il riconoscimento dell’assegno di mantenimento per il coniuge. La donna ricorreva in appello, dove la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, le attribuiva un assegno mensile di 200 euro.
Secondo il marito la donna non avrebbe avuto diritto al contributo per il mantenimento poiché avrebbe potuto trasformare il rapporto di lavoro part-time in corso, in un rapporto full-time. Inoltre, la moglie avrebbe trascurato altre occasioni di lavoro.
Ebbene, secondo la Corte la dimostrazione di tali circostanze, sarebbe spettata al marito, trattandosi di circostanze impeditive o limitative al sorgere del diritto all’assegno di mantenimento.
L’uomo ricorre in Cassazione sostenendo la violazione dell’art. 156 c.c. e delle regole sull’onere probatorio.
Soluzione e percorso argomentativo seguito dalla Cassazione
Secondo il ricorrente il giudice di appello avrebbe compiuto un’illegittima inversione dell’onere della prova, ponendo a suo carico la dimostrazione dell’impossibilità per la moglie, di trasformare il rapporto di lavoro in corso, da rapporto a tempo determinato a rapporto a tempo indeterminato, e di avere trascurato più favorevoli occasioni di lavoro.
La legge prevede, infatti, che la prova della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno di separazione incombe sul coniuge che lo richiede.
La Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile e del tutto generico, poiché non è evidenziato alcun elemento di prova di segno contrario – non valutato in appello – circa un’ipotetica colpa della donna nel non essere riuscita ad ottenere una modifica del rapporto di lavoro, o nell’avere rifiutato proposte di lavoro più favorevoli.
In primis la Corte ha ribadito che l’assegno nella separazione ha una diversa valenza rispetto a quello divorzile. Secondo la giurisprudenza i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento in favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
A differenza del divorzio in cui in vincolo matrimoniale è sciolto, nella separazione permane il dovere di assistenza materiale, essendo sospesi soltanto gli obblighi di natura personale (fedeltà, convivenza e collaborazione).
In sintesi, l’assegno separativo ha un carattere diverso dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cfr. Cass. Civ. 16/05/2017, n. 12196 e Cass. Civ. 24/06/2019, n. 16809).
Quanto alla prova in giudizio, se il richiedente l’assegno ha provato l’esistenza dei presupposti di legge e il giudice ha accertato anche la mancanza di colpa del coniuge istante nel non riuscire a trovare un’occupazione idonea, ricade sui chi intende contestare tale ricostruzione, l’onere di indicare gli elementi di segno contrario allegati in sede di merito, e non valutati dal giudice di appello.
Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva accertato che la moglie aveva reperito nel 2012 un’attività part-time presso un ente privato, e che, “a causa dell’età (56 anni), della prolungata estromissione dall’attività produttiva e della ormai obsoleta formazione”, non era riuscita a trovare altre occasioni lavorative.
Rilevante è stata valutata anche l’effettiva differenza tra i redditi delle due parti, essendosi rivelati nettamente più alti quelli percepiti dall’uomo, dipendente della Guardia di Finanza.
Questioni
La sentenza appare in linea con l’orientamento giurisprudenziale attuale che distingue il mantenimento nella separazione e quello in sede di divorzio per la diversità dei presupposti.
Quanto all’elemento relativo all’attitudine del coniuge al lavoro, questa rileva solo se si accerti la concreta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni fattore individuale ed ambientale, e non in base a valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. Civ. n. 789/2017).