Per ricevere il mantenimento anche il figlio maggiorenne con disabilità non grave deve dimostrare di aver cercato un lavoro
di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile sez. I, sentenza dell’8 giugno 2022 n. 18451
Mantenimento figli maggiorenni non autosufficienti
(art. 337 septies c.c.)
Massima: “In tema di assegno di mantenimento di figli maggiorenni non autosufficienti, la disabilità non grave perché non rientrante nelle fattispecie di cui alla legge n. 104 del 1992, non esonera il figlio richiedente dall’onere di provare di avere diligentemente cercato una occupazione a lui confacente in grado di renderlo in tutto o in parte economicamente autosufficiente”.
CASO
Un padre agisce in giudizio per far dichiarare la cessazione del proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei due figli gemelli dell’età di trentasette anni.
I gemelli erano affetti da una patologia invalidante, con riduzione della capacità lavorativa ed invalidità pari al 34%, ma avevano conseguito una laurea triennale in disegno industriale.
Il padre sosteneva di aver tentato più volte di aiutarli a inserirsi nel mondo del lavoro ma che i figli erano sempre stati indifferenti riguardo alla ricerca di una occupazione.
Inoltre, era intervenuto il pensionamento del genitore, con conseguente riduzione reddituale.
In appello l’uomo aveva ottenuto una riduzione del contributo di mantenimento ma la Corte aveva ritenuto non assolto l’onere di dimostrare la raggiunta indipendenza economica dei figli o il rifiuto di occasioni lavorative concrete.
I due figli si erano costituiti in proprio e al giudizio non aveva partecipato la loro madre. I giudici di merito non avevano ritenuto fondata l’eccezione di non integrità del contradditorio e la richiesta di chiamata in causa dell’ex coniuge.
L’uomo ricorre in Cassazione sostenendo violazione e falsa applicazione dell’art. 316-bis c.c., perché entrambi i genitori sono tenuti al mantenimento in relazione alle loro capacità, e quindi il ricorrente aveva diritto di chiedere la chiamata in causa dell’altro genitore, per la determinazione del contributo.
Nel ricorso si sostiene inoltre violazione e falsa applicazione dell’art. 337-septies c.c., perché la Corte territoriale avrebbe errato nel:
- non accertare se l’invalidità dei ragazzi (che il ricorrente avrebbe appreso in corso di causa) fosse tale da giustificare una pensione o una facilitazione nel mondo del lavoro;
- non ritenere provata la circostanza secondo cui i figli non si fossero mai attivati nella ricerca di una occupazione;
- non valutare la capacità economica della madre divenuta nel tempo maggiorie di quella del padre.
Soluzione e percorso argomentativo
La Cassazione ha ritenuto il primo motivo non fondato ma ha accolto invece le richieste dell’uomo di riesame da parte del giudice di merito, circa il permanere del proprio obbligo contributivo.
Non sussiste il litisconsorzio necessario sostanziale, in quanto l’obbligazione fra i genitori non è solidale: il figlio può pretendere da ciascuno di essi il dovuto.
Individuata la misura dell’assegno di mantenimento cui il figlio maggiorenne ha diritto, il carico deve essere ripartito fra i genitori, in proporzione delle rispettive sostanze e possibilità.
E’ il giudice del merito che deve accertare, sia pure incidentalmente, i redditi di entrambi, per distribuire il peso dell’assegno a carico di ciascun genitore.
In merito alla cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni, seppur portatori di una parziale invalidità, la Corte di Appello non si sarebbe attenuta al principio di diritto, secondo cui è il figlio a dover dimostrare di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione (cfr. Cass. Civ. n. 17183/2020).
La Corte rammenta che questo principio è già stato ritenuto applicabile quanto al riconoscimento di un assegno di mantenimento per i figli maggiorenni portatori di handicap grave, la cui condizione giuridica è equiparata, sotto tale profilo, a quella dei figli minori ex art. 337 septies c.c., ma solo se sussiste il presupposto di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 3 comma 3.
QUESTIONI
La Cassazione si è espressa recentemente in un caso analogo a questo (Cass. Civ. 29 luglio 2021, n. 21819).
Il giudice di merito deve trattare differentemente le due possibilità:
- se il richiedente è affetto, ai sensi della L. n. 104 del 1992, da una minorazione che ha ridotto la sua autonomia personale, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la sua situazione giuridica sarà assimilabile a quella del figlio minorenne;
- se al contrario non sussiste tali tipo di menomazione, la sua condizione giuridica ai fini del diritto al mantenimento sarà quella del figlio maggiorenne.
Con la sentenza in esame la Cassazione ha infine evidenziato che nella società attuale, anche chi è affetto da handicap o disabilità ha la possibilità di essere inserito nel mondo del lavoro, nei limiti e secondo il contributo lavorativo che egli sia in grado di dare.
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