Revocatoria ex art. 67 L.F. del pagamento ottenuto dalla escussione di pegno
di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDFParole chiave: Pegno; Revocatoria Fallimentare; Atto dispositivo
Massima:
Connotato essenziale del pegno irregolare è l’attribuzione al creditore garantito della facoltà di disposizione del bene oggetto di pegno – o, nel caso si tratti di titolo di credito o documento di legittimazione, del relativo diritto – per soddisfare i propri crediti.
In caso di pegno regolare postulandosi l’altruità delle cose date in pegno, il creditore garantito dovrà soddisfarsi secondo il meccanismo previsto dagli art.2796 e 2798 .c.c: ne consegue che l’incameramento della somma conseguente all’escussione del pegno rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 67 L.F. ed è assoggettabile a revocatoria.
Riferimenti normativi: art. 67, co. 2 L.F., art. 67, co. 3, lett. b), L.F; art. 1851 c.c., artt. 2796 e 2798 c.c.;
CASO
Con atto di citazione, il Fallimento della società Alfa ha convenuto in giudizio l’istituto bancario Beta per sentir, tra l’altro, dichiarare revocato ai sensi dell’art. 67 co.2 L.F. il pagamento di €.99.244,21 incassato in forza della illegittima escussione del pegno a favore della Banca ed ottenuto a mezzo di compensazione dovendosi configurare il pegno come regolare.
Si costituiva l’Istituto Bancario Beta chiedendo il rigetto della domanda promossa dalla curatela e sostenendo la natura irregolare del pegno in questione e l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 67 co.3 lett.b).
SOLUZIONE
Con la sentenza in commento, il Tribunale di Venezia ha accolto la domanda promossa dal patrocinio del Fallimento con declaratoria di inefficacia dell’incameramento della somma ottenuta dall’escussione del pegno regolare accredita sul conto corrente e poi portata in compensazione con l’esposizione della debitorea della correntista già annotata sullo stesso conto corrente
Dopo aver identificato gli elementi che differenziano il pegno regolare da quello irregolare, il Tribunale di Venezia ha declinato la lettera di pegno prodotta in causa quale pegno regolare in considerazione delle clausole ivi contenute e del costante orientamento della Corte di Cassazione.
Ritenuta quindi la sussistenza del requisito oggettivo e soggettivo di cui all’art. 67 co.2 LF, il Tribunale ha quindi dichiarato l’inefficacia dell’atto solutorio.
QUESTIONI
La vicenda in questione trae origine dall’intervenuto incasso da parte della Banca Alfa di un importo a seguito dell’escussione da parte della Banca medesima di una polizza oggetto del contratto di pegno sottoscritto diversi anni prima con la società dichiarata poi fallita
L’escussione del pegno era avvenuta nel periodo sospetto, in un momento temporale successivo all’intervenuto recesso da parte della Banca dagli affidamenti, alla conseguente richiesta di immediato rientro della esposizione debitorea di conto nonché alla intimazione con la quale la Banca avvertiva la società poi fallita che avrebbe proceduto alla escussione della garanzia.
Con percorso tanto chiaro quanto logico, il giudice veneziano ha sottolineato la necessità preliminare di analizzare il contratto di pegno al fine di attribuire allo stesso natura regolare o irregolare, derivandone effetti differenti nella procedura concorsuale.
Secondo il Tribunale, l’elemento distintivo determinante la diversa configurazione del pegno è da individuarsi nell’attribuzione (o meno) al creditore garantito del potere di disporre sin da subito del diritto relativo al bene vincolato a garanzia.
Il pegno irregolare, infatti, richiede necessariamente che il bene oggetto di pegno passi immediatamente in proprietà del creditore così che il creditore garantito ha la facoltà di disporre del relativo diritto.
Nel pegno regolare, al contrario il creditore non acquisisce la proprietà del bene né la facoltà di disporre del bene oggetto così che egli dovrà soddisfarsi utilizzando il meccanismo predisposto dagli art.2796 – 2798 Cc: per conseguire quanto a lui dovuto il creditore, quindi, dovrà far vendere la cosa ricevuto in pegno – previa intimazione – ovvero richiederne al Giudice l’assegnazione.
Come correttamente rilevato dal giudice nella sentenza in commento, dalla differente natura del pegno derivano conseguenze sulla procedura concorsuale assi tra loro diverse.
In caso di pegno irregolare, infatti, il creditore potrà soddisfarsi direttamente sulla cosa al fuori del concorso con gli altri creditori poiché è già stato acquisito dal creditore sin da subito il bene o comunque il diritto di disporne.
Al contrario, in caso di pegno regolare, il meccanismo disegnato dagli art. 2796-2798 cc. presuppone che la cosa sia rimasta nella proprietà del debitore con la conseguenza che il creditore pignoratizio è tenuto ad insinuarsi nel passivo del fallimento ai sensi dell’art. 53 LF “al pari di ogni altro creditore munito di pegno regolare e nel rispetto della par conditio creditorum”.
Ulteriore conseguenza è da ravvisarsi in materia di revocatoria ex art. 67 L.F.
Nel pegno irregolare, mancando l’atto dispositivo -in quanto, come detto, il creditore garantito acquisisce sin da subito la somma portata dal titolo e dal documento- sorge a carico del creditore pignoratizio un obbligo di restituzione in caso di adempimento o, in caso di inadempimento, un obbligo restitutorio per la parte che eccede l’ammontare del credito garantito. L’incameramento in via definitiva del denaro o delle altre cose fungibili ricevute in garanzia resterà quindi sottratto alla revocatoria fallimentare, operando la compensazione come modalità tipica di esercizio della prelazione, così come correttamente osservato dal Giudice Veneziano.
Al contrario, nel pegno regolare “l’acquisizione del realizzo da parte del creditore garantito dà luogo ad un «atto solutorio»” (Cass. 22 gennaio 2009, n. 1609) “suscettibile di revoca fallimentare, a differenza dell’acquisizione del controvalore del pegno irregolare, che consente la compensazione con il credito garantito”. Ne consegue che in caso di pegno regolare, atteso che “la banca garantita non acquisisce la somma portata dal saldo, né ha l’obbligo di restituire al debitore il ”tantundem”, difettano “i presupposti per la compensazione dell’esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della banca, l’incameramento della somma conseguente all’escussione del pegno rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 67 legge fall. ed è assoggettabile a revocatoria fallimentare” (Cass. 7 marzo 2018 n. 5481)
L’indagine sulla natura del pegno è da condursi necessariamente procedendo dall’analisi delle previsioni delle clausole contenute nel contratto di pegno. Laddove le stesse prevedano la possibilità di sostituzione del bene originariamente dato in pegno, ovvero che l’esazione del valore discenda esclusivamente in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite con preavviso dato in qualunque forma scritto, o, ancora il diritto del creditore a riscuotere quantunque importo o provento comunque del liquidato anche previso accredito in apposito conto soggetto a vincolo di pegno a proprio favore, è evidente che dette clausole identifichino un contratto di pegno regolare. Tali previsioni, infatti, non conferiscono sin da subito alcun potere di disporre del bene pignoratizio attribuendo al creditore un diritto a soddisfarsi sul bene tramite un successivo atto solutorio.
Diversamente, si dovrà concludere per la esistenza di un pegno irregolare ove dalle clausole risulti palese l’avvenuta immediata acquisizione alla sfera giuridica del creditore garantito del bene o del diritto di disporne nonché l’obbligo di restituzione in caso di adempimento del debitore.
Ritenuta la natura regolare del pegno nel caso in esame, il Tribunale ha proceduto quindi all’esame della ricorrenza dei requisiti per la revocatoria ex art. 67 LF.
E’ evidente che la prova del requisito oggettivo è acquisibile in via documentale derivante dall’annotazione dell’accredito annotato nel conto corrente nel periodo semestrale anteriore al fallimento.
Quanto al requisito soggettivo della prova della consapevolezza, il Tribunale ben pone in rilievo come lo stesso non possa dirsi raggiunto solo e unicamente in ragione della qualità di operatore economico qualificato quale è l’istituto bancario: è, infatti, necessario aver riguardo alla complessiva condotta del creditore, la quale dovrà denotare consapevolezza dello stato di decozione. La presenza di protesti, l’aver revocato gli affidamenti così come l’aver immediatamente congelato il conto corrente “considerati unitariamente, anche in relazione alla possibilità della banca di accesso ad informazioni privilegiate di operatore economico qualificato costituiscono gravi e previsi elementi indiziario da cui legittimamente desumere l’effettiva conoscenza della stato di decozione del correntista da parte dell’istituto di credito”, come osservato correttamente in sentenza dal Giudice Veneziano.
Da ultimo preme rilevare, come ben evidenziato dal patrocinio del fallimento che “la natura pignoratizia del credito della Banca non esclude di per sé l’interesse del Fallimento ad agire in revocatoria: ed invero, come statuito dalla Suprema Corte nella decisione 12 dicembre 2014 n. 26216 (con richiamo a Cass. SS.UU 7028/’06).:” Nell’azione revocatoria fallimentare, l'”eventus damni” è “in re ipsa” e consiste nella lesione della “par condicio creditorum” ricollegabile, per presunzione legale ed assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione. Ne consegue che il fatto che attraverso il negozio solutorio impugnato siano stati soddisfatti crediti aventi natura privilegiata non esclude la possibile lesione della “par condicio”, né fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell’attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che potrebbero in tesi insinuarsi al passivo anche successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria”.