23 Novembre 2021

Revocato il mantenimento al figlio ultra trentenne che non lavora

di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile sez. VI, 08/11/2021 n. 32406

Mantenimento figlio maggiorenne – principio di autoresponsabilità

(Art. 337 septies c.c.- art. 6 comma 6 L. n. 898/78)

In applicazione del principio di autoresponsabilità che impone al figlio di non abusare del diritto di essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, il figlio trentaduenne che ha lasciato gli studi all’età di sedici anni, ha frequentato corsi di formazione professionale, e ha avuto esperienze lavorative, in assenza di circostanze oggettive o soggettive che giustifichino la sua impossibilità di inserirsi nel mondo del lavoro, non ha più diritto a percepire il mantenimento dal genitore.

CASO

Un uomo chiede e ottiene la revoca del contributo di mantenimento del figlio maggiorenne e l’assegnazione della casa familiare all’ex moglie. Il figlio, convivente con la madre e ormai trentaduenne, aveva lasciato gli studi all’età di sedici anni, aveva frequentato corsi di formazione professionale e aveva avuto esperienze lavorative, anche se saltuarie.

Secondo i giudici di merito non sussistevano circostanze oggettive o soggettive tali da giustificare la sua impossibilità di inserirsi nel mondo del lavoro.

La donna ricorre in Cassazione sostenendo la violazione della norma di cui all’art. 337 septies c.c. poiché la Corte di merito non avrebbe accertato la condizione d’indipendenza economica del figlio e il godimento di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita. Quanto alla revoca dell’assegnazione della casa familiare, la sentenza non avrebbe tenuto conto delle complessive condizioni economiche delle parti, considerando anche che non le era stato riconosciuto un assegno divorzile.

SOLUZIONE

La Cassazione ha ritenuto inammissibili i motivi di ricorso, confermando la revoca del mantenimento al figlio e dell’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge. A parere della Corte le doglianze non seguono il percorso argomentativo della sentenza impugnata e mirano a una revisione nel merito, non consentita in sede di legittimità.

La sentenza ha comunque ribadito i principi in materia di cessazione dell’obbligo contributivo del genitore.

Quanto al primo motivo di ricorso la Cassazione ha ritenuto che correttamente sia stato applicato il principio dell’autoresponsabilità, che impone al figlio di non abusare del diritto di essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura.

La sentenza in esame richiama gli “indici di rilevanza” ai fini della sussistenza dell’obbligo di mantenimento del genitore nei confronti del figlio maggiorenne.

Con la sentenza n. 12952 del 22 giugno 2016, la Cassazione ha precisato che la cessazione del dovere di mantenimento per i figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto basato su quattro punti:

  • l’età;
  • l’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica;
  • l’impegno diretto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa;
  • la complessiva condotta personale tenuta dal figlio dal momento del raggiungimento della maggiore età.

L’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione. Inoltre la sussistenza dei requisiti per il mantenimento deve essere valutata dal giudice con rigore crescente con l’avanzare dell’età del figlio (Cass. Civ. n. 10207/2017).

Quanto al secondo motivo di ricorso, relativo alla revoca del diritto di abitare nell’ex casa coniugale, la Cassazione ha specificato che l’assegnazione della casa familiare non può assumere una funzione di perequazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi, ma ha la finalità di soddisfare le esigenze dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti. Pertanto tale diritto non può essere messo in relazione con il mantenimento dell’ex coniuge.

QUESTIONI

La ratio dell’art. 337 septies c.c. è ispirata al principio dell’autoresponsabilità economica, legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona.

Alcuni tribunali di merito, hanno individuato anche un limite generale di età di là del quale non si può nemmeno più parlare di mantenimento del figlio, ma di sostegno a una persona adulta.

Oltre la soglia dei trentaquattro anni, età a partire dalla quale lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, quest’ultimo può solo avanzare le stesse pretese riconosciute all’adulto, ossia, se ricorrono i presupposti, il diritto agli alimenti (Trib. Milano ord. 29 marzo 2016).

Secondo la recente pronuncia della Corte (Cass. Civ. n. 17183/2020), l’obbligo di mantenimento non può essere collegato solo al mancato reperimento di un’attività lavorativa. Il figlio deve attivarsi nella ricerca di un lavoro consono alle sue aspirazioni e al suo percorso formativo per assicurarsi il sostentamento, ma non può pretendere che il genitore si adatti, al suo posto, a qualsiasi lavoro pur di provvedere al suo mantenimento.

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