28 Gennaio 2025

Revocabilità dei pagamenti eseguiti sulla base di un contratto di factoring

di Ludovica Carrioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. I, 9 dicembre 2024, n. 31652 

Massima: “In tema di factoring, l’esenzione da revocatoria prevista dall’art. 6, comma 1, della legge n. 52/1991, riguarda solo i pagamenti ordinari compiuti dal debitore ceduto al cessionario nell’ambito del contratto, ai sensi dell’art. 67, comma 2, L. fall., e non anche gli atti solutori anomali, di cui al primo comma, n. 2), dello stesso art. 67.” (massima ufficiale) 

Disposizioni applicate: art. 67 l.fall. – art. 6 l. 52/1991

Parole chiave: revocatoria concorsuale – mezzo anormale di pagamento – factoring – esenzione – limiti

CASO

La Corte d’appello di Ancona ha accolto la domanda ex art. 67, comma 1, n. 2, l.fall. proposta dalla Curatela di un fallimento contro un istituto bancario, dichiarando inefficaci gli atti estintivi di debiti verso quest’ultimo, realizzati attraverso un’operazione finanziaria (una combinazione di due contratti di factoring e una delegazione di pagamento con interposizione di una società estera debitrice della Società in bonis nonché una filiale estera del medesimo istituto) e condannando la Banca alla restituzione.

In particolare, la Corte d’Appello di Ancona ha ritenuto non operativa l’esenzione da revocatoria ex art. 6, legge n. 52 del 1991, riguardando quest’ultima solo i pagamenti eseguiti con mezzi normali, di cui all’art. 67, comma 2, l.fall., e non anche quelli effettuati con mezzi anormali, come avvenuto nel caso di specie. Infatti, nella fattispecie sub iudice i pagamenti erano stati sì eseguiti nel contesto di un rapporto di factoring, ma attraverso una “complessa operazione di pagamento posta in essere dal factor e dal debitore ceduto, a sua volta delegante del pagamento ad , società infragruppo propria debitrice», finalizzata «a estinguere in maniera preferenziale il credito vantato dal factor», poiché «in tal modo ha controllato il flusso delle rimesse derivanti dalle cessioni, ed ha eliminato l’esposizione della confronti, sostituendo i crediti vantati verso la nei suoi , in stato di difficoltà finanziaria, con i crediti, dotati di maggiore affidabilità, vantati verso i clienti della »”. Dunque, la finalità perseguita col complesso meccanismo satisfattivo avrebbe esorbitato quella di un semplice contratto di factoring, nell’ambito del quale l’esenzione da revocatoria si giustifica con la volontà del legislatore di consentire alla società in difficoltà finanziaria il pronto reperimento di liquidità.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha condiviso il percorso argomentativo della Corte d’Appello di Ancona, affermando l’anormalità dei pagamenti e, dunque, la loro revocabilità anche se avvenuti nell’ambito di un contratto di factoring.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

La sentenza in commento prende in analisi e definisce il perimetro applicativo dell’art. 6 della l. n. 52/1991 a norma della quale “1. Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario non è soggetto alla revocatoria prevista dall’articolo 67 del testo delle disposizioni sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Tuttavia, tale azione può essere proposta nei confronti del cedente qualora il curatore provi che egli conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento al cessionario. 2. È fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario che abbia rinunciato alla garanzia prevista dall’articolo 4”.

La citata disposizione, come ribadito dalla Corte di legittimità, esenta da revocatoria i “pagamenti” che sono avvenuti nella cornice di un regolare contratto di factoring, al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 1, co. 1, della predetta legge, vale a dire quando “a) il cedente è un imprenditore; b) i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa; c) il cessionario è una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia emanato ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge 19 febbraio 1992, n. 142, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti d’impresa o un soggetto, costituito in forma di società di capitali, che svolge l’attività di acquisto di crediti, vantati nei confronti di terzi, da soggetti del gruppo di appartenenza che non siano intermediari finanziari oppure di crediti vantati da terzi nei confronti di soggetti del gruppo di appartenenza, ferme restando le riserve di attività previste ai sensi del citato testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”.

Quanto alla ratio della norma, l’esenzione è volta a tutelare i soggetti che svolgono professionalmente l’attività di acquisto dei crediti in sofferenza, eliminando il rischio di dover subire la revocatoria dei pagamenti ricevuti in caso di fallimento del debitore ceduto, e al tempo stesso mira a non disincentivare il ricorso al factoring a vantaggio degli imprenditori cedenti, parimenti esposti all’insolvenza di quel debitore, come testualmente ricordato dalla Corte di Cassazione nel precedente in commento.

La questione affrontata della Corte di legittimità attiene alla portata applicativa dell’esenzione di cui all’art. 6 cit., in rapporto all’art. 67 l.fall. (e, quindi, anche all’art. 166 CCII), dovendosi escludere – come ricordato dagli ermellini – che la norma sia volta ad affermare una indiscriminata esenzione dal regime revocatorio di tutte le operazioni che avvengano sotto l’egida di un contratto di factoring.

L’esegesi della disposizione (e, dunque, il tracciato del limite di operatività dell’esenzione di cui all’art. 6 cit.) non può prescindere dall’analisi del testo che, appunto, esenta dalla revocatoria di cui all’art. 67 l.fall. il solo “pagamento” effettuato dal debitore ceduto al cessionario.

Pur essendo vero che la norma fa un generico richiamo alla “revocatoria prevista dall’articolo 67” l.fall., è infatti altrettanto vero che il regime agevolativo è previsto per i soli pagamenti.

Dunque, proprio partendo dall’interpretazione testuale delle disposizioni su richiamate, la Corte afferma che la portata dell’esenzione deve essere limitata al solo comma 2 dell’art. 67 l.fall., in quanto è l’unica disposizione che disciplina i “pagamenti” (statuendo che “Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento”).

Diverso, infatti, è il caso dell’art. 67, co. 1, che, appunto, non contempla alcun “pagamento”, ma utilizza (e v. in particolare il n. 2) l’espressione “atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento”.

Pertanto, la norma di cui all’art. 6, secondo il percorso interpretativo offerto dalla Corte di Cassazione, mira ad escludere la sola revocabilità dei pagamenti ai sensi del comma 2 dell’art. 67 l.fall. e non dell’intera norma (circostanza che viene ulteriormente confermata dalla lettura della seconda parte del co. 1 dell’art. 6, “Tuttavia tale azione può essere proposta nei confronti del cedente qualora il curatore provi che egli conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento al cessionario” che, appunto, prende a riferimento il paradigma normativo del comma 2 dell’art. 67 l.fall. e non del primo, ove il requisito soggettivo è presunto e grava sul convenuto la prova della c.d. inscientia decoctionis).

Oltre al dato testuale, soccorrono anche ragioni sistematiche che confortano la lettura “restrittiva” dell’impianto normativo di cui all’art. 6 l. 52/1991.

E, infatti, l’esenzione si giustifica solo nell’ambito di una ordinaria operatività del contratto di factoring ove il factor incassa con mezzi normali di pagamenti i crediti di cui è cessionario, per tali dovendosi intendere quei mezzi comunemente accettati nella pratica commerciale, in un dato periodo temporale e rispetto ad una determinata zona di mercato (Cass. .Civ.  26241/2021 e Cass. Civ. 25725/2019).

Anche in considerazione di quella che è la ratio dell’esenzione, deve escludersi che l’art. 6 esenti da revocatoria anche le ipotesi in cui il factor sia compartecipe di operazioni anomale come quelle disciplinate dall’art. 67, co. 1, n. 2) l.fall. (tra cui la delegazione di pagamento, mezzo di pagamento ritenuto pacificamente anormale, v. fra tante: Cass. 14316/2022; Cass. 21585/2022), al solo fine di avvantaggiarsi del rientro nei crediti assunti verso il debitore fallito, trattandosi di pagamenti potenzialmente pregiudizievoli della massa dei creditori.

Una diversa interpretazione andrebbe a scontrarsi frontalmente a quella che è la ratio della disciplina fallimentare, in generale, e della revocatoria, in particolare, che punta alla tutela dell’integrità della garanzia patrimoniale generica del soggetto fallito e alla garanzia della par condicio creditorum.

Difatti, costituisce un portato ormai pacifico in dottrina e in giurisprudenza che, nell’ambito dell’azione revocatoria fallimentare, l’eventus damni è in re ipsa e consiste nella lesione della par condicio creditorum, ricollegabile per presunzione legale e assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione e che, basandosi sulla teoria redistributiva, la destinazione, anche integrale, del prezzo della vendita oggetto della domanda di revocatoria al pagamento di creditori privilegiati non può assumere valenza ostativa all’esercizio della suddetta azione (Cass. 10433/2024; Cass. 23072/2023; Cass. 11357/2023; Cass. 36029/2021, che ha chiarito che il presupposto indispensabile per l’utile esercizio dell’azione revocatoria, è costituito dal fatto che l’atto revocato abbia avuto un riflesso negativo sul patrimonio del debitore o abbia alterato le regole della par condicio a fronte dell’insolvenza del debitore).

La lettura che la Cassazione offre dell’esenzione da revocatoria di cui all’art. 6, l. 52/1991, è dunque non solo condivisibile ma anche sistematicamente corretta, posto che una diversa (e più ampia) deroga alle regole cardine del nostro ordinamento concorsuale non potrebbe essere giustificata neanche a fronte degli interessi che la disciplina sulla cessione dei crediti di impresa intende tutelare.

Conclusivamente, quindi, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto “In tema di factoring, l’esenzione da revocatoria stabilita dalla legge 21 febbraio 1991 n. 52, art. 6, primo comma, riguarda solo i pagamenti ordinari compiuti dal debitore ceduto al cessionario nell’ambito del contratto, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, legge fall., e non anche gli atti solutori anomali, di cui al primo comma, n. 2), dello stesso art. 67 legge fall.”.

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