Reversibilità e assegno divorzile
di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDFLa pensione di reversibilità è il beneficio previdenziale riconosciuto ai superstiti nel caso di morte del lavoratore assicurato o pensionato.
Il legislatore disconosceva il trattamento di reversibilità in capo al coniuge superstite quando fosse passata in giudicato la sentenza di separazione personale con addebito.
La Corte costituzionale intervenne con la sentenza n. 286 del 28 luglio 1987, dichiarando l’illegittimità costituzionale della disposizione.
In seguito si pronunciò anche la Cassazione riconoscendo, anche al coniuge separato con addebito, il diritto a percepire la pensione di reversibilità, originariamente solo nel caso in cui il coniuge fosse titolare di assegno alimentare.
In seguito, con una serie di pronunce (sentenza n. 6684 del 21 gennaio – 19 marzo 2009, e n. 4555 del 25 febbraio 2009) la Cassazione ha mutato orientamento, equiparando il coniuge separato con addebito al coniuge superstite (separato o non) ai fini della pensione di reversibilità a lui spettante (R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, come sostituito dalla legge n. 903 del 1965, art. 22.)
L’art. 9 comma 2° della legge sul Divorzio prevede che in caso di morte dell’ex coniuge (sempre che non ci sia un nuovo coniuge), sorge il diritto a percepire la pensione di reversibilità, se il rapporto pensionistico è anteriore alla sentenza di divorzio.
Il diritto spetta solo al coniuge titolare di assegno divorzile e non a chi ha percepito una corresponsione una tantum. Tale diritto cessa se il titolare sia passato a nuove nozze.
Un punto su cui si è pronunciata spesso la giurisprudenza riguarda l’accertamento della corresponsione di una somma una tantum ricevuta dall’ex coniuge, che esclude il diritto alla reversibilità.
Preliminarmente, l’espressione “sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5″, è stata in passato interpretata come riferita alla titolarità in astratto – cioè a una situazione di diritto da accertare giudizialmente – e non necessariamente al concreto godimento dell’assegno, basato su un provvedimento giudiziale.
Pertanto sarebbe sempre stato possibile ottenere la pensione di reversibilità, anche se l’assegno divorzile non fosse stato riconosciuto prima della morte del coniuge divorziato, ma successivamente attraverso un giudizio ex post.
Secondo un’opposta ma prevalente opinione, era invece necessario un provvedimento di riconoscimento dell’assegno di divorzio, prima della morte dell’ex coniuge.
Con la L. 28 dicembre 2005 n. 263, il legislatore ha specificato che “le disposizioni di cui al comma 2 dell’art. 9 legge n. 898/1970, si interpretano nel senso che per la titolarità dell’assegno ai sensi dell’art. 5, deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno stesso da parte del tribunale “.
Dopo l’interpretazione autentica, alcune pronunce della Cassazione avevano stabilito che il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, presuppone che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge, sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, non essendo sufficiente che egli si trovi nelle condizioni per ottenerlo in astratto (Cass. Civ. 18 novembre 2010, n. 23300; Cass. Civ. 29 settembre 2006, n. 21129).
Per quanto riguarda la valenza delle attribuzioni una tantum in sede divorzile, che definiscono la totalità dei rapporti economici tra i coniugi, la Corte di Cassazione, sezione lavoro – sentenza 5 maggio 2016, n. 9054 – ha emanato un principio di diritto esplicativo dei precedenti contrastanti indirizzi giurisprudenziali, in materia di diritto alla pensione di reversibilità per il coniuge divorziato.
Il caso. L’ex moglie aveva ottenuto ragione dal tribunale e dalla corte d’appello di Genova che avevano condannato l’INPS a riconoscerle il pagamento della pensione di reversibilità, su quella già in godimento all’ex marito, dal quale era divorziata.
L’Istituto sosteneva che in sede di scioglimento del matrimonio, era stato pattuito in favore del coniuge, un diritto di abitazione sull’appartamento di proprietà del de cuius e di comodato sui mobili esistenti, contestualmente alla rinuncia all’assegno di mantenimento già previsto in sede di separazione. Pertanto, in assenza di una previsione di assegno divorzile non ci sarebbero stati i presupposti per l’applicazione dell’art. 9 comma 2 L. n. 898/1970 per il riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità.
Sia il tribunale che la Corte territoriale si erano basati, tuttavia, su alcune pronunce della Cassazione secondo cui le attribuzioni patrimoniali concordate sono da considerare come alternative all’assegno di mantenimento del quale ne svolgono la funzione in astratto.
L’INPS ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo che la costituzione di un diritto di abitazione o l’erogazione di una somma una tantum, proprio perché non hanno il carattere della periodicità, non possono essere ritenuti equivalenti all’assegno di divorzio, in mancanza del quale non può sorgere il diritto alla pensione di reversibilità.
La Corte ha esaminato i passati contrapposti orientamenti giurisprudenziali.
La previsione secondo cui il beneficiario della somma una tantum non ha diritto di chiedere alcuna modifica rispetto a quanto percepito e perde il diritto all’assegno successorio, alla quota del TFR e alla pensione di reversibilità, ha come conseguenza che gli eventi sopravvenuti non possono modificare in aumento o in diminuzione, la misura di quanto già corrisposto.
Per quanto riguarda l’attribuzione diversa dal capitale in denaro, valgono le stesse considerazioni.
Tuttavia, una pronuncia della Corte (Cass. Civ. 28 maggio 2010 n. 13108) aveva riconosciuto che l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine alla costituzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, fosse idoneo a configurare la titolarità dell’assegno periodico.
Ciò, in base al principio della “riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede o a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto”.
Secondo questa decisione, la costituzione di usufrutto equivaleva alla titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge sul divorzio, ai fini dell’accesso alla pensione dl reversibilità.
Poco dopo, altre due sentenze della Cassazione (Cass. Civ. 8 marzo 2012 n. 3635 e Cass. Civ. 3 luglio 2012 n. 11088) hanno escluso che possa essere riconosciuto il diritto alla reversibilità se l’assegno di divorzio è corrisposto in unica soluzione.
Infatti, solo nel caso in cui il coniuge benefici di un’erogazione economica, al momento del decesso dell’ex coniuge si può configurare la sostituzione dell’assegno divorzile con quello di reversibilità, allo scopo di continuare ad assicurare il sostentamento economico.
Il coniuge che non godeva di alcun assegno, percependo la pensione di reversibilità, si troverebbe addirittura in condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l’ex coniuge era in vita.
In conclusione, la Cassazione, in adesione a quanto già ritenuto dalla sentenza n. 3635/2012, ha dato ragione all’INPS, ritenendo che indipendentemente dalla qualifica che gli ex coniugi abbiano dato alle loro pattuizioni, le attribuzioni di una determinata somma di denaro o altre utilità a definizione dei loro rapporti economici in un’unica soluzione, come ad esempio il diritto di abitazione e di uso dei mobili della casa, escludono il diritto di accedere alla pensione di reversibilità.
Solo nel caso in cui il coniuge benefici di un’erogazione economica periodica a carico dell’ex coniuge, al momento del suo decesso, nella stessa prospettiva solidaristico-assistenziale, si può configurare la sostituzione dell’assegno divorzile con quello della pensione di reversibilità.