Responsabilità sanitaria e concorso di colpa del paziente danneggiato
di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, ord. 22 settembre 2023, n. 27151 – Pres. Travaglino
Parole chiave: Responsabilità sanitaria – onere della prova – concorso di colpa – configurabilità.
Massima: “In applicazione dell’art. 1227 c.c., va diminuito il risarcimento del danno subito del paziente che, con la propria condotta negligente, abbia contribuito al verificarsi dell’evento pregiudizievole in concomitanza con la scorretta esecuzione della prestazione sanitaria”.
[Massima non ufficiale].
Disposizioni applicate: Art. 1227 c.c.
CASO
Dopo essere stata sottoposta ad intervento chirurgico di artroprotesi totale di anca non cementata e avendo ricevuto, all’atto delle dimissioni, la prescrizione di sedute di fisiokinesiterapia, una paziente si rivolge ad uno studio medico, con il quale si accorda per l’effettuazione presso il proprio domicilio del ciclo prescritto tramite una fisioterapista inviata dalla controparte. Nonostante le prescrizioni dei sanitari dell’ospedale dove era stata svolta l’operazione indicassero che la posizione ortostatica e la deambulazione dovevano effettuarsi con l’uso di un girello deambulatore, da procurarsi da parte della stessa paziente, quest’ultima decideva di utilizzare, al posto del presidio sanitario, una sedia da cucina. Ciò determinava la effettuazione di movimenti abnormi a carico dell’anca e il conseguente prodursi, oltre che di un prolungamento del periodo di invalidità temporanea, di un danno biologico permanente, per il risarcimento del quale ella conveniva in giudizio lo studio medico.
Mentre il giudice di prime cure riconosceva l’esclusiva responsabilità di quest’ultimo nella causazione dell’evento lesivo, la Corte d’appello riscontrava il concorso di colpa della paziente ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. e conseguentemente decurtava della metà il risarcimento del danno alla medesima spettante. Quest’ultima ricorreva allora in Cassazione, affidando le proprie censure ai seguenti motivi di ricorso. Innanzitutto, la Corte d’appello avrebbe violato i principi materia di riparto dell’onere probatorio, ritenendo che fosse compito della paziente procurarsi il girello e, di conseguenza, attribuendo alla stessa l’onere di provare di aver noleggiato un deambulatore/girello, mentre si sarebbe dovuto attribuire allo studio medico l’onere di provare che la fornitura del girello non costituiva oggetto del contratto. In secondo luogo, incombeva alla struttura sanitaria l’obbligo di accertamento delle proprie condizioni, che risultavano dal certificato di dimissione dell’ospedale, prima di utilizzare la sedia per l’esecuzione della fisiokinesiterapia che aveva determinato la rifrattura e il conseguente aggravamento dello stato patologico a carico dell’arto inferiore sinistro. Da ultimo, la Corte territoriale avrebbe omesso l’esame della CTU che aveva accertato l’aggravamento dello stato patologico a carico dell’arto inferiore sinistro, riportato dalla stessa a causa della fisiokinesiterapia domiciliare eseguita dalla fisioterapista dipendente dello studio medico senza il girello prescritto dai medici dell’ospedale, ma con una sedia.
SOLUZIONE
Esaminando congiuntamente, in quanto connessi, i motivi di ricorso sopra illustrati, la Suprema Corte conferma la pronuncia di secondo grado e respinge il gravame, facendo applicazioni dei principi consolidatisi in tema di riparto dell’onere della prova nella responsabilità sanitaria.
Sulla scorta di tali principi, si ritiene che, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione medica, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione; con la precisazione che l’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari. Questo perché, nelle fattispecie di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni professionali, è configurabile un evento di danno, consistente nella lesione dell’interesse finale perseguito dal creditore (la vittoria della causa nel contratto concluso con l’avvocato; la guarigione dalla malattia nel contratto concluso con il medico), distinto dalla lesione dell’interesse strumentale di cui all’art. 1174 c.c. (interesse all’esecuzione della prestazione professionale secondo le leges artis), e viene dunque in chiara evidenza la questione del nesso di causalità materiale, che rientra nel tema di prova di spettanza del creditore, mentre il debitore, ove il primo abbia assolto il proprio onere, resta gravato da quello di dimostrare la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.
La Corte territoriale ha, quindi, correttamente motivato nel senso che, dall’istruttoria svolta, è emerso incontrovertibilmente, come prescritto dal presidio ospedaliero all’atto delle dimissioni, che era compito della paziente procurarsi il girello deambulatore e che dette prescrizioni non erano state rispettate dalla stessa. Inoltre, l’uso improprio di una sedia per deambulare in luogo dell’apposito girello era stato posto in autonomia dalla stessa paziente. Sulla base di tali emergenze probatorie, la Corte territoriale ha ravvisato un concorso di colpa della danneggiata, che ha ritenuto congruo stimare nella misura del 50%.
QUESTIONI
La disciplina sul concorso di colpa del danneggiato dettata dall’art. 1227 c.c., pur essendo senz’altro applicabile nel campo della responsabilità sanitaria, ha finora trovato scarso riscontro in giurisprudenza (in generale sull’argomento, v. Bortolotti – Verzeletti – Antonietti, Il concorso di colpa del paziente in ipotesi di responsabilità professionale medica, in Riv. it. med. leg., 2018, 1343 ss.).
Tra i pochi precedenti in materia, può essere segnalata Cass. civ., 26 maggio 2014, n. 11637, la quale ha riconosciuto la responsabilità concorrente del paziente nella causazione dell’evento lesivo, nella specie costituito dal decesso per sovradosaggio di un farmaco anticoagulante, rilevando come l’interessato si fosse sottoposto ai controlli clinici prescritti dal medico per il trattamento del suo disturbo ad intervalli temporali ben più ampi di quelli che gli erano stati indicati.
Un’altra pronuncia rinvenibile in materia è, poi, App. Roma, 11 marzo 2015 (in Nuova giur. civ. comm., 2015, 1157, con nota di Frenda, Quel che resta dell’accertamento del nesso causale), la quale ha ritenuto che il risarcimento dei pregiudizi derivanti da medical malpractice dovrebbe essere diminuito ai sensi dell’art. 1227 c.c. nell’ipotesi in cui il paziente, agendo con negligenza o distrazione, si sia procurato le lesioni personali che hanno reso necessario il trattamento sanitario scorrettamente eseguito: nella fattispecie, l’attrice era infatti ricorsa all’assistenza sanitaria dopo essersi procurata lo scuoiamento del quarto dito della mano sinistra impigliandosi con l’anello ad un cancello e dopo le cure aveva riportato una serie di danni, sia temporanei che permanenti, in conseguenza del negligente operato dei medici ospedalieri che si erano occupati del suo caso. Un ragionamento siffatto, però, non può essere in alcun modo condiviso, in quanto rappresenta un’applicazione dell’art. 1227 c.c. palesemente distorta e incompatibile tanto con la lettera della norma quanto con la duplice ratio dell’istituto del concorso di colpa, vale a dire la regola della causalità e il principio di autoresponsabilità (per queste considerazioni v., amplius, Frenda, op. cit., 1163 ss., nonché Caredda, Sulle oscillazioni applicative del concorso del fatto colposo del creditore, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1091 ss.).
Una più frequente applicazione dell’art. 1227 c.c. in ambito sanitario potrebbe peraltro profilarsi, in prospettiva futura, in virtù dell’evoluzione tecnologica, in particolare in seguito alla progressiva espansione della c.d. telemedicina, vale a dire la prestazione di assistenza sanitaria a distanza, in situazioni in cui il paziente e i sanitari non si trovano nello stesso luogo fisico tramite l’utilizzo delle tecnologie dell’informatica e della comunicazione. Rispetto alla medicina tradizionale, questa modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie infatti si caratterizza per prevedere, non di rado, una più intensa compartecipazione attiva del paziente, al quale potrebbe essere pertanto addebitata la corresponsabilità per il fallimento delle cure nelle ipotesi in cui, per esempio, egli abbia adoperato in maniera scorretta i dispositivi di telemonitoraggio collocati sul suo corpo e/o nella sua abitazione, oppure abbia trascurato la manutenzione dei suddetti dispositivi che gli era stata raccomandata, o, ancora, non abbia rispettato le istruzioni ricevute in merito all’utilizzo di apparecchiature impiegate in un’attività di televisita o teleassistenza (sul punto v., amplius, Faccioli, La responsabilità sanitaria in telemedicina, in Responsabilità civile e previdenza, 2021, 740 ss., ove in particolare si evidenzia che la telemedicina non costituisce una specialità medica autonoma e separata rispetto alle altre, ma rappresenta uno strumento di erogazione delle prestazioni sanitarie che consente di estendere le medesime oltre gli spazi fisici tradizionali, sicché, a seconda dei diversi contesti in cui viene impiegata, si parla più nel dettaglio di telecardiologia, teleradiologia, teleneurologia, telepsichiatria, teleriabilitazione, teledermatologia, e via dicendo).
Va inoltre sottolineato che il comportamento del paziente potrebbe anche arrivare ad escludere completamente la responsabilità del medico e della struttura sanitaria, ciò che deve ritersi possibile che accada, in applicazione dei principi generali della responsabilità civile, qualora il comportamento in discorso sia tale da escludere la rilevanza casuale della condotta dei sanitari nella produzione dell’evento lesivo subito dal malato.
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