Responsabilità precontrattuale, liquidazione del danno e perdita di chance
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 16 novembre 2020, n. 25874 – Pres. Vivaldi – Rel. Olivieri
Parole chiave: Responsabilità precontrattuale – Danno – Liquidazione – Interesse positivo – Insussistenza – Interesse negativo – Danno emergente e lucro cessante – Sussistenza
[1] Massima: Nel caso in cui venga affermata la sussistenza di una responsabilità precontrattuale, il risarcimento del danno va parametrato non già all’utile che il contraente avrebbe potuto ritrarre dall’esecuzione del rapporto, ma al cosiddetto interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente (ossia le spese inutilmente sostenute per dare corso alle trattative), sia il lucro cessante (da intendersi come mancato guadagno rispetto a eventuali altre occasioni di contratto che la parte alleghi di avere perduto).
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1223, 1337, 1338
CASO
Un ente previdenziale veniva indotto dall’amministrazione statale ad acquistare un immobile, avendo questa prospettato un’esigenza di carattere locativo.
Tuttavia, dopo la sottoscrizione del contratto di locazione e la sua trasmissione alla competente autorità di controllo per la necessaria approvazione, volta a conferirgli piena efficacia, l’amministrazione rimaneva inerte per un considerevole lasso di tempo e solo dopo cinque anni comunicava che il contratto non era stato approvato e non poteva, quindi, essere eseguito, frustrando, così, l’aspettativa dell’ente di trarre un reddito dal bene, anche perché, nel periodo intercorso, non aveva potuto impiegarlo in modo economicamente fruttuoso, stante il vincolo derivante dall’intervenuta sottoscrizione del contratto con l’amministrazione.
L’ente, pertanto, agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale (ravvisabile nella mancata esecuzione, da parte dell’amministrazione, delle attività dirette a rendere eseguibile il contratto di locazione), che, inizialmente, non venivano riconosciuti, avendo il tribunale adito ritenuto che non ne fosse stata fornita la prova; in secondo grado, tuttavia, la decisione veniva ribaltata e all’ente veniva liquidato, in via equitativa, un danno patrimoniale corrispondente all’importo dei canoni di locazione che non erano stati percepiti a partire dalla data di trasmissione del contratto di locazione all’amministrazione fino a quando la stessa aveva comunicato la sua mancata approvazione.
Avverso la sentenza della corte d’appello veniva proposto ricorso per cassazione, lamentandosi l’errore commesso dai giudici di merito nel liquidare il danno.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha accolto le doglianze articolate dall’amministrazione ricorrente, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità hanno reputato erronea l’identificazione del danno nella perdita economica corrispondente alla mancata percezione dei canoni di locazione che sarebbero maturati qualora il contratto fosse stato eseguito e nella sua liquidazione in misura corrispondente, a fronte dell’accertamento di una responsabilità di tipo precontrattuale, che postula la considerazione e la risarcibilità del cosiddetto interesse negativo.
QUESTIONI
La natura della responsabilità precontrattuale, pure espressamente prevista dall’art. 1337 c.c., è assai controversa, soprattutto in dottrina, discutendosi se vada inquadrata nell’ambito di quella contrattuale o se sia qualificabile come extracontrattuale.
La giurisprudenza, propendendo decisamente per la seconda opzione, ha precisato che la norma dell’art. 1337 c.c., al pari di quella di cui all’art. 1338 c.c. (che ne costituisce specificazione), mira a tutelare il contraente di buona fede che, nella fase delle trattative, venga ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, ovvero dall’ignoranza di una causa d’invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta.
La responsabilità precontrattuale, quindi, ha precipuamente per oggetto il comportamento delle parti antecedente alla conclusione di un contratto, mentre ogni condotta successiva a tale momento si situa, casomai, nell’alveo dell’inadempimento, dando origine a una responsabilità tipicamente contrattuale.
In disparte ogni considerazione sulla diversa natura dei due tipi di responsabilità, ciò che particolarmente rileva, in questa sede, sono le differenti conseguenze che discendono in punto di liquidazione del danno subito da chi sostenga di essere stato vittima, rispettivamente, di un comportamento scorretto nella fase delle trattative che dovevano condurre alla conclusione di un contratto in realtà mai perfezionatosi, o dell’inadempimento di una o più obbligazioni perpetrato dalla controparte: nel primo caso, infatti, come affermato anche nell’ordinanza che si annota, il danno dev’essere parametrato al cosiddetto interesse negativo, mentre solo nel secondo caso potrà farsi riferimento all’interesse positivo, inteso come quello che la parte avrebbe ritratto se il contratto fosse stato regolarmente adempiuto.
La peculiarità del caso di specie è rappresentata dal fatto che le parti avevano sottoscritto (e, dunque, concluso) un contratto di locazione, la cui efficacia, tuttavia, era subordinata – vista la natura di amministrazione statale del conduttore – all’approvazione della competente autorità di controllo: tale approvazione configura una condicio iuris dell’efficacia del negozio (regolarmente perfezionatosi con l’incontro dei consensi), che inibisce l’eseguibilità e l’esigibilità delle prestazioni fino a quando l’approvazione medesima non sia intervenuta.
Una volta divenuta incontestabile – perché coperta da giudicato – la statuizione che aveva ravvisato in capo all’amministrazione una responsabilità precontrattuale (aspetto che, di per sé, potrebbe apparire tutt’altro che scontato, in presenza di un contratto non ancora efficace, ma pur sempre concluso; in realtà, come ha precisato Cass. civ., sez. I, 4 marzo 1987, n. 2255, nei contratti della pubblica amministrazione, il campo di operatività della responsabilità precontrattuale deve reputarsi più ampio di quello fissato dall’art. 1337 c.c., estendendosi fino a ricomprendere anche il comportamento doloso o colposo che abbia impedito o frustrato l’attività di controllo successivamente alla conclusione del contratto), il danno alla libera autodeterminazione nella propria attività negoziale subito dall’ente previdenziale non poteva consistere nelle conseguenze pregiudizievoli che sarebbero derivate dall’inadempimento delle obbligazioni scaturite da un contratto pienamente valido ed efficace (vale a dire, dal mancato pagamento dei canoni pattuiti), ovvero nel mancato utile che sarebbe stato ritratto dall’esecuzione del rapporto fino alla sua naturale scadenza.
Di qui l’affermazione per cui doveva aversi riguardo al cosiddetto interesse negativo, pur sempre, peraltro, sotto il duplice profilo del danno emergente (rappresentato dalle spese inutilmente sostenute per prendere parte alle trattative non esitate nella conclusione di un contratto valido ed efficace) e del lucro cessante (potenzialmente ricavabile da altre occasioni negoziali perdute per avere fatto affidamento sulla conclusione del contratto), secondo quanto previsto dall’art. 1223 c.c.
I giudici di secondo grado, invece, avevano erroneamente liquidato il danno da lucro cessante facendo riferimento alla perdita dell’intera utilità economica che il locatore avrebbe ritratto dal contratto, se fosse stato regolarmente eseguito, nell’intero periodo in cui si è protratta la colpevole inerzia dell’amministrazione, incorrendo, così, in un errore di diritto che ha comportato la cassazione con rinvio della sentenza gravata.
La pronuncia che si annota contiene, altresì, un interessante spunto di riflessione quanto al cosiddetto danno da perdita di chance.
Nella fattispecie concreta, secondo i giudici di legittimità, la posizione dell’ente previdenziale era assimilabile a quella del contraente parte di un contratto sottoposto a condizione sospensiva, la cui pendenza – di per sé – non impedisce di condurre trattative con soggetti terzi, da portare a compimento con la conclusione di un nuovo contratto nel caso di mancato avveramento della condizione; in questi casi, la maggiore difficoltà di reperire nuove potenziali controparti e di collocare sul mercato l’immobile per sfruttarlo commercialmente ascrivibile allo stadio avanzato della vicenda negoziale già in corso, ovvero alla pendenza di una condizione che accede a un contratto già concluso, sebbene non costituisca prova del danno-conseguenza da lucro cessante, può comunque integrare un danno da perdita di chance se riguardata sotto il profilo della limitazione della stessa possibilità di procurarsi ulteriori occasioni per mettere a reddito il bene in virtù di eventuali trattative negoziali con soggetti potenzialmente interessati.
Come precisato dai giudici di legittimità, il danno da perdita di chance integra la perdita della mera possibilità di conseguire un vantaggio economico (per questo si parla di perdita potenziale e non effettiva), secondo una valutazione ex ante da ricondursi al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità, dovendosi in proposito distinguere:
- la perdita di un risultato probabile, che implica l’effettiva esistenza del danno-conseguenza, in quanto causalmente determinato dalla condotta illecita;
- la perdita della mera possibilità di conseguire tale risultato, che implica un danno-conseguenza anticipato, che rispecchia la stessa natura del danno finale che potrebbe effettivamente derivare dalla condotta illecita ma che, in realtà, non è accaduto, essendosi interrotto il dispiegarsi del danno-conseguenza per effetto della medesima condotta, che ha inciso negativamente a monte sulle potenziali condizioni richieste per il suo effettivo accadimento.
Proprio per questo, nella fattispecie esaminata, l’identificazione del pregiudizio subito dall’ente nell’impossibilità di condurre trattative con soggetti terzi in pendenza della condicio iuris rappresentata dall’approvazione del contratto (ossia nella limitazione delle astratte potenzialità di sfruttamento economico dell’immobile) avrebbe dovuto condurre i giudici di merito a qualificarlo in termini di danno da perdita di chance; a maggior ragione, dunque, il nocumento non poteva consistere nel valore economico del contratto non approvato, cioè nella perdita dell’utilità economica ritraibile dallo stesso, attesa l’ontologica differenza tra le due tipologie di danno. Anche da questo punto di vista, pertanto, la liquidazione in misura corrispondente all’importo dei canoni che sarebbero stati percepiti in costanza di rapporto non poteva considerarsi corretta.
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