Responsabilità dell’amministratore: le scelte gestioni non sono insindacabili “in assoluto”
di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, Sezione II, Ordinanza n. 25260 del 20 settembre 2024.
Parole chiave: responsabilità – amministratore – società – business judgment rule – comportamenti illeciti – interesse sociale – obbligo di lealtà – obbligo di diligenza – mala gestio
Massima: “Qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano vietati dalla legge o dallo statuto, la condotta dell’amministratore è illegittima se omette di adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati; in tal caso l’attore ha l’onere di provare tutti gli elementi di fatto dai quali è possibile dedurre la violazione dell’obbligo di lealtà e di diligenza”.
CASO
La M. Srl ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano, con cui le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 31.775,66 in favore dell’ing. A.A. a titolo di compenso per l’attività di progettazione e di direzione dei lavori relativa a due immobili di proprietà della società attrice, chiedendo, in via riconvenzionale la condanna di A.A., a titolo di risarcimento dei danni per mala gestio, nella sua veste di amministratore della società.
Il Tribunale ha rigettato l’opposizione.
La Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, dichiarando infondata la domanda di accertamento della responsabilità dell’amministratore A.A. (per non aver messo a frutto gli immobili della società) in quanto sfornita di prova.
La M. Srl ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello sulla base di undici motivi.
Per quanto che rileva in questa sede, l’attrice ha dedotto (i) di aver allegato e provato l’inadempimento dell’amministratore, mentre A.A. non avrebbe provato di essersi attivato per mettere a frutto l’immobile, né avrebbe dimostrato di trovarsi nell’impossibilità di farlo, secondo la ripartizione della prova in materia contrattuale; e che (ii) l’inerzia dell’amministratore avrebbe causato un danno alla società, che aveva come oggetto sociale la gestione indiretta degli immobili.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha esposto quanto segue:
- all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste l’adempimento dei suo doveri sociali previsti dall’art. 2392 c.c. (Cass. 12.2.2013, n. 3409; Cass. 2.2.2015, n. 1783; Cass. 22.6.2017, n. 15470);
- l’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, il che comporta che la società ha l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro (Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n. 2975; Cass. 31.8.2016, n. 17441; Cass. 11.11.2010, n. 22911);
- sul tema dell’onere probatorio, ove i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà (coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati), l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso, l’onere della prova da parte della società non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore, ma investe una serie di elementi dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza. Il contenuto di siffatti obblighi di carattere generale può specificarsi solo con riferimento alle circostanze del caso concreto; pertanto, in relazione alla mancata osservanza, da parte dell’amministratore, dell’obbligo di diligenza, chi agisce in giudizio deve dare dimostrazione di una serie di indici dai quali è possibile inferire la violazione del predetto dovere, che è definito dall’art. 2932 c.c. (Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, n. 25056; Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n. 2975)
- recentemente, la Suprema Corte ha affermato che, in tema di responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati alla società amministrata, il principio della insindacabilità del merito delle scelte di gestione (cd. business judgement rule) non si applica in presenza di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà palese dell’iniziativa economica (Cassazione civile sez. I, 25/03/2024, n. 8069).
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello non si fosse uniformata a tali principi di diritto, limitandosi ad affermare l’insindacabilità delle scelte gestionali dell’amministratore, senza verificare se il non essersi attivato per concedere in locazione gli immobili della società, utilizzandoli gratuitamente, costituisse violazione del dovere di diligenza.
D’altra parta, la società attrice aveva allegato che A.A. era rimasto inerte e non aveva a messo a frutto gli immobili e che tale comportamento aveva arrecato un danno costituito dalla mancata percezione dei canoni di locazione, considerato che si trattava di una società immobiliare, il cui scopo sociale è la reddittività degli immobili.
A fronte di tale condotta inerte, era onere dell’amministratore dimostrare le ragioni di tale scelta gestionale, non essendo legittimo opporre una scelta arbitraria, che appare, prima facie, irrazionale ed implausibile rispetto all’oggetto sociale.
Avendo la Corte d’Appello errato non solo nella ripartizione dell’onere probatorio ma, altresì, nell’affermare l’assoluta insindacabilità delle scelte gestionali anche nell’ipotesi in cui siano contrarie a principi di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione per l’applicazione del seguente principio di diritto: “qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano vietati dalla legge o dallo statuto, la condotta dell’amministratore è illegittima se omette di adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati; in tal caso l’attore ha l’onere di provare tutti gli elementi di fatto dai quali è possibile dedurre la violazione dell’obbligo di lealtà e di diligenza”.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia