Responsabilità del precettore per fatto illecito dello studente maggiorenne e maggiore età come “presunzione di caso fortuito”
di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2334, ord.– Pres. Spirito – Rel. Graziosi
Responsabilità civile – Precettori e maestri (insegnanti) – Prova liberatoria – Danno cagionato al soggetto sottoposto alla vigilanza dell’insegnante – Presunzione di colpa per inosservanza dell’obbligo di sorveglianza – Prova liberatoria – Condizioni e limiti – Fattispecie.
(art. 2048, co. 2°e 3°, c.c.)
[1] In tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori per fatto illecito dell’allievo, il raggiungimento della maggiore età (o di un’età ad essa prossima) da parte di quest’ultimo, seppure di per sé inidoneo a rendere inapplicabile la responsabilità ex art. 2048, comma 2, c.c., incide sul contenuto della prova liberatoria a carico dell’insegnante, nel senso che l’età maggiorenne deve ritenersi ordinariamente sufficiente ad integrare il caso fortuito, per essere stato l’evento posto in essere da persona che non necessita – quantomeno per attività materiali non specificamente correlate ad un insegnamento tecnico – di vigilanza alcuna, poiché munita di completa capacità di discernimento, tale da far presumere la non prevedibilità della condotta dannosa posta in essere, salva prova contraria da fornirsi da parte del soggetto danneggiato.
[2] Posto che il precettore risponde per culpa in vigilando dell’illecito compiuto dagli allievi a lui affidati, anche se maggiorenni, la condotta posta in essere da persona dotata di completa capacità di discernimento o comunque vicina alla maggiore età comporta presunzione del caso fortuito, salva la possibilità, per la parte danneggiata, di dimostrare la prevedibilità della condotta dannosa o l’inadempienza dell’insegnante a uno specifico obbligo di vigilanza.
CASO
[1] [2] Una studentessa maggiorenne, nell’uscire dalla palestra dell’istituto scolastico, dopo l’ora di educazione fisica, riportava lesioni a causa di una caduta provocata da accalcamenti e spinte da parte dei compagni di classe, tutti maggiorenni. Pertanto, la danneggiata citava in giudizio il MIUR, l’Istituto scolastico e l’insegnante di educazione fisica, onde ottenerne la condanna al risarcimento del danno subìto.
Il Giudice di prime cure riconosceva la responsabilità dell’insegnante e condannava il Ministero dell’Istruzione al risarcimento del danno, mentre nel successivo giudizio di secondo grado la corte d’appello competente ribaltava la sentenza del Tribunale, negando la responsabilità ex art. 2048, co. 2°, c.c. del Ministero e ritenendo responsabili la danneggiata stessa ed i compagni di classe in quanto tutti maggiorenni, sul presupposto che l’art. 2048, co. 2°, c.c. riguardi solo i fatti illeciti commessi da soggetti minorenni.
La danneggiata proponeva ricorso in Cassazione, denunciando, tra l’altro, violazione e falsa applicazione dell’art. 2048, co. 2°, c.c., sostenendo che l’evento si era verificato durante l’orario scolastico – e quindi attribuibile alla condotta omissiva dell’insegnante – e che la norma anzidetta non menzionando “minori”, a differenza del primo comma, disciplinerebbe anche una responsabilità che riguarda la condotta di alunni maggiorenni.
SOLUZIONE
[1] [2]La Suprema Corte con la sentenza in commento fa leva sulla diversità ontologica tra le due tipologie di responsabilità contenute nei primi due commi dell’art. 2048 c.c., affermando che il compimento del diciottesimo anno di età non estingue di per sé l’obbligo di vigilanza gravante sul precettore, giacché la maggiore età non comporta che il soggetto affidato cessi di essere allievo, e sostenendo che l’attività di vigilanza, teleologicamente intesa, si pone come necessaria per l’attività di insegnamento. Cionondimeno, il raggiungimento della maggiore età incide nella determinazione del contenuto dell’obbligo di vigilanza e quindi sull’onere probatorio che incombe sull’insegnante, alleggerendolo, in quanto “la dimostrazione, da parte sua, della maggiore età dell’allievo deve ritenersi ordinariamente sufficiente per provare che l’evento dannoso ha costituito un caso fortuito, essendo stato posto in essere da persona non necessitante di vigilanza alcuna in quanto giunta ad una propria completa capacità di discernimento” e dunque da una persona che non era prevedibile che tenesse una tale condotta. Al danneggiato rimane solo la possibilità di vincere la “presunzione di caso fortuito” derivante dalla maggiore età con la dimostrazione della prevedibilità ed evitabilità della condotta dannosa da parte del soggetto che l’ha posta in essere.
QUESTIONI
[1] [2] I Giudici di legittimità hanno accolto il motivo di ricorso relativo all’ interpretazione dell’art. 2048, co. 2°, c.c., ritenendo erronea e restrittiva l’interpretazione fornita dalla corte territoriale, secondo la quale la norma presupporrebbe la minore età del soggetto vigilato “non apparendo dubitabile che la responsabilità dei precettori e degli insegnanti, al pari di quella dei genitori, cessi con il raggiungimento della maggiore età degli allievi”. Tale interpretazione è stata censurata dalla Suprema Corte, secondo cui le fattispecie di cui al comma primo e secondo della predetta norma non costituiscono due species di un unico genus di responsabilità, il cui discrimine sarebbe la maggiore età dell’autore dell’illecito. L’ontologica differenza tra le due tipologie di responsabilità si ricaverebbe – secondo la sentenza che si annota – dalla mera lettura dei due commi: il primo prevede la responsabilità per culpa in educando, senza tuttavia specificare quali siano i possibili comportamenti omissivi dei genitori generatori di responsabilità; il secondo comma, invece, disciplina la culpa in vigilando, indicando espressamente l’omissione dei genitori, ossia la vigilanza che questi avrebbero dovuto porre in essere. Sebbene la “vigilanza” costituisca onere gravante anche sui genitori dei figli minorenni (ex art.2048, co. 1°, c.c.), tuttavia quella prevista dal secondo comma è di contenuto specifico in quanto «si rapporta alla cognizione culturale e tecnica che viene trasferita dai responsabili ai loro “allievi e apprendisti”». Ciò è sufficiente secondo la Cassazione ad escludere che la maggiore età estingua di per sé l’onere della vigilanza, in quanto gli alunni continuano ad essere tali anche dopo il raggiungimento della maggiore età. La vigilanza sul comportamento degli studenti non è, dunque, legata alla minore o maggiore età degli stessi, ma è connessa all’attività di insegnamento.
Ciò posto, ad avviso della Suprema Corte l’unico elemento comune tra le due fattispecie di cui al primo e secondo comma dell’articolo in commento è il limite alla responsabilità previsto dal terzo comma e consistente nella prova liberatoria, vale a dire la prova di non aver potuto impedire il fatto. È pacifico, per costante dottrina e giurisprudenza, che, al di là della differente terminologia utilizzata dal legislatore nei due commi, in entrambe le ipotesi sussista un’inversione dell’onere della prova, per cui incombe sul soggetto tenuto alla vigilanza l’onere di provare il caso fortuito, vale a dire l’evento imprevedibile o inevitabile che esclude la colpa. La prova liberatoria si concreta nella dimostrazione di aver adottato in via preventiva tutte le misure disciplinari ed organizzative atte ad impedire il sorgere della situazione di pericolo, che si è ciononostante verificata, a causa della sua imprevedibilità e/o inevitabilità.
Il nodo interpretativo riguarda per l’appunto il rapporto tra la prova liberatoria, che l’insegnante deve fornire, e la maggiore età dell’allievo, autore del fatto illecito.
Sull’estensione del principio di presunzione di colpa previsto dall’art. 2048 c.c. al fatto commesso da studenti maggiorenni non vi è unanimità di consensi in dottrina.
Secondo la dottrina prevalente (FRANZONI, L’illecito, in Tr. resp. civ., p. 659), il raggiungimento della maggiore età farebbe venire meno l’obbligo di vigilanza e quindi il presupposto per l’applicazione dell’art. 2048, co. 2°, c.c.; questa posizione è stata recepita anche dalla giurisprudenza di legittimità, che, ex multis, con sentenza n. 7387 del 2001 ha affermato che: “la presunzione di colpa di cui all’art. 2048, comma 2, c.c. non può ritenersi applicabile …. nel caso in cui l’allievo sia persona maggiore di età, dovendosi presumere che, all’interno della stessa disposizione, il legislatore non abbia voluto riservare ai precettori e maestri d’arte un trattamento deteriore rispetto a quello dei genitori di cui al comma 1, dilatando la loro responsabilità oltre il limite temporale della minore età del danneggiante”.
Secondo parte minoritaria della dottrina (CORSARO, Sulla natura giuridica della responsabilità del precettore, in Riv. dir. comm.1967, 38), la disposizione di cui all’art. 2048, co. 2° c.c. si applicherebbe anche al fatto commesso dal maggiorenne, purché esso sia posto in essere in applicazione di precetti impartiti dal docente.
I Giudici di legittimità con la sentenza in commento hanno ribaltato l’interpretazione prevalente della norma, affermando che il raggiungimento della maggiore età non può costituire uno spartiacque, limitando la responsabilità dell’insegnante fino al giorno prima del compimento del diciottesimo anno. La responsabilità del docente – secondo la Corte – non cessa con la maggiore età dell’alunno: in altre parole, se il dovere di educare, che incombe sui genitori, va esercitato solo sui minorenni, invece il dovere di vigilare non incontra tale limite. A conferma di ciò è proprio quanto disposto dallo stesso comma secondo dell’art. 2048 c.c., che, nel prevedere la responsabilità di coloro che insegnano un mestiere, per i danni cagionati dai loro apprendisti, fa riferimento ad una situazione che, evidentemente, presuppone la maggiore età.
Se quindi il raggiungimento del diciottesimo anno di età non priva il soggetto del supporto della vigilanza del docente e se non basta ad escludere tout court la responsabilità presunta dello stesso, tuttavia la Suprema Corte evidenzia che la circostanza non è priva di rilevanti effetti, incidendo sull’onere probatorio che grava sugli insegnanti, alleggerendolo.
Al riguardo, la sentenza che si annota richiama una corposa casistica giurisprudenziale.
Già nella sentenza n. 369 del 1980, la Suprema Corte aveva ritenuto il dovere di vigilanza ex art. 2048, comma 2, c.c. «non assoluto ma relativo, essendo il contenuto di detto obbligo inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni». Ed ancora che il dovere di vigilanza dell’insegnante presenta un’estensione che deve essere proporzionata all’età ed al grado di maturità raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto (Cass. civ., 26.04.2010, n. 9906; Cass. civ., 22.04.2009, n. 9542; Cass. civ., 19.01.2007, n. 1197; Cass. civ., 29.04.2006, n. 10030; Cass. civ., 04.02.2005, n. 2272). Anche nella pronuncia n. 9337 del 2016 si afferma che, per il superamento probatorio della presunzione di responsabilità per fatto illecito dell’allievo, l’insegnante deve provare di non essere stato in grado di intervenire per correggerne il comportamento o per reprimerlo e di aver adottato in via preventiva ogni misura disciplinare ed organizzativa, volta ad evitare l’insorgenza di una situazione di pericolo, «commisurate all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, dovendo la sorveglianza dei minori essere tanto più efficace e continuativa in quanto si tratti di fanciulli in tenera età».
Dopo aver ampiamente argomentato che il raggiungimento della maggiore età incide in maniera inversamente proporzionale sul grado di attenzione e vigilanza dell’insegnante, la sentenza in commento delinea una nuova presunzione di responsabilità del docente.
Mentre secondo l’opinione prevalente, l’art. 2048, co. 2°, c.c. prevede la presunzione di responsabilità dell’insegnante, salvo la prova liberatoria ex art. 2048, co. 3°, c.c., invece la Cassazione, ribaltando l’interpretazione prevalente, ha affermato che la maggiore età dell’allievo è condizione sufficiente a far presumere il caso fortuito. In altre parole, il raggiungimento della maggiore età dà luogo ad una presunzione di maturità e capacità di discernimento e di autogestione, in riferimento a quelle condotte che non necessitano di particolari conoscenze tecniche per essere compiute in modo corretto e privo di pericoli. La suddetta presunzione di autoresponsabilità, a sua volta, fa presumere che “l’evento dannoso ha costituito un caso fortuito”, vale a dire un evento imprevedibile ed inevitabile (valutato in base alla ripetitività e ricorrenza statistica, correlata all’ambiente in cui il fatto illecito è stato posto in essere: Cass. civ., 02.12.1996, n. 10723), su cui il docente non può intervenire con la predisposizione di misure adeguate, e quindi un evento atto a liberare l’insegnante medesimo dalla presunzione di responsabilità.
Ne deriva, quindi, un’inversione dell’onere della prova a carico del danneggiato, al quale rimane solo la possibilità di vincere la “presunzione di caso fortuito” derivante dalla maggiore età con la dimostrazione della prevedibilità ed evitabilità della condotta dannosa tenuta dall’autore dell’illecito ovvero di un particolare contenuto del dovere di vigilanza non assolto dal docente (ad es. se il maggiorenne ha manifestato elementi di asocialità o se si tratta di persona notoriamente ostile o vendicativa).
La Suprema Corte estende il predetto principio di autonomo discernimento anche ai discenti prossimi al raggiungimento della maggiore età, in quanto si ritiene che anch’essi abbiano raggiunto una maturità psicofisica completa. Va tuttavia osservato che tale estensione richiede una verifica in concreto, demandata al giudice di merito, circa la sussistenza oppure no della capacità di gestione e discernimento dell’allievo.
Costituiscono eccezione, secondo la Corte, al principio di presunzione di maturità e capacità di discernimento del maggiorenne le attività tecniche (es. attività sportive, artigianali, meccaniche, etc.), che costituiscono oggetto di insegnamento, con relativi compiti di controllo tecnico e disciplinare, per le quali l’onere di vigilanza non può attenuarsi.
Sulla base di quanto enunciato, i Giudici di legittimità, nel caso di specie, hanno accolto il primo motivo di ricorso (assorbiti gli ulteriori motivi), cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello competente, onde valutare se il comportamento degli studenti coinvolti, tutti maggiorenni o prossimi alla maggiore età, debba considerarsi prevedibile oppure integri il caso fortuito non prevenibile e/o evitabile dal docente.
La sentenza in commento ha introdotto un novum interpretativo che suscita perplessità e riserve, in quanto si pone in contrasto con il dato letterale dell’art. 2048 c.c., che prevede una presunzione di responsabilità dell’insegnante e non dell’alunno, e giacché introduce una “presunzione di caso fortuito” la cui configurabilità è, a dire il vero, discutibile, non essendo ipotizzabile che il caso fortuito, inteso come evento imprevedibile e/o inevitabile, possa costituire oggetto di una presunzione.