21 Dicembre 2021

Responsabilità da cose in custodia e condotta incauta della vittima

di Martina Mazzei, Avvocato

Cass. civ., sez. VI-3, 2 dicembre 2021, n. 38025 – Pres. Amendola – Rel. Tatangelo

[1] Responsabilità civile da cose in custodia – Risarcimento del danno – Accertamento del nesso causale tra cosa ed evento – Prova liberatoria – Caso fortuito – Condotta incauta – Imprudenza

 (Cod. civ. artt. 1227; 2043; 2051).

[1] “Il criterio di imputazione della responsabilità fondato sul rapporto di custodia di cui all’art. 2051 c.c. opera in termini rigorosamente oggettivi; il danneggiato ha il solo onere di provare il nesso di causa tra la cosa in custodia (a prescindere dalla sua pericolosità o dalle sue caratteristiche intrinseche) ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo del fatto del terzo e della condotta incauta della vittima; in particolare, il caso fortuito è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode.” 

CASO

[1] Tizio conveniva in giudizio il Comune di Ruvo di Puglia per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un infortunio riportato per essere inciampato e caduto sul marciapiede sconnesso di una strada comunale. La domanda veniva rigettata dal Giudice di Pace di Trani. Il Tribunale di Trani, successivamente adito in sede di appello, confermava la decisione di primo grado avverso la quale il danneggiato ricorreva per cassazione dolendosi, ex art. 360 n. 3 c.p.c, della violazione della disciplina di cui all’art. 2051 e 2043 c.c.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte, con l’ordinanza in epigrafe, ha rigettato il ricorso ritenendo le motivazioni del ricorrente in parte manifestamente infondate e in parte inammissibili. Per la sesta sezione, infatti, la decisione impugnata è conforme ai principi di diritto in tema di responsabilità da cose in custodia costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità. Tali principi – diversamente da quanto sostenuto nel ricorso – sono stati correttamente applicati nella fattispecie oggetto di scrutinio: i giudici di merito, infatti, sulla base degli elementi istruttori acquisiti (e, in particolare, della documentazione fotografica del luogo del sinistro), hanno accertato che l’incidente era avvenuto esclusivamente a causa della condotta incauta della vittima, la quale, pur essendo evidente che il ciglio del marciapiede della strada comunale che stava percorrendo era caratterizzato da sconnessioni, rimarchevoli imperfezioni e disomogeneità, anziché transitare sulla restante parte dello stesso, lo aveva ugualmente impegnato, senza osservare la particolare prudenza in tal caso necessaria, secondo la comune diligenza, al fine di evitare di inciampare.

QUESTIONI

[1] La decisione in commento offre lo spunto per analizzare la disciplina in tema di responsabilità da cose in custodia.

L’art. 2051 c.c. rubricato «Danno cagionato da cosa in custodia» stabilisce che «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito». L’art. 2051 c.c., in altre parole, pone a carico del custode l’obbligo di risarcire i danni cagionati a terzi dalla res custodita salvo il caso fortuito.

Elementi essenziali di questa ipotesi di responsabilità sono la cosa, il custode e il danno da prodotto dalla cosa (o perché questa sia per intrinseca natura suscettibile di produrlo ovvero perché siano insorti agenti dannosi).

In passato la giurisprudenza tendeva ad escludere l’applicabilità della norma nei casi di beni, facenti parte del demanio pubblico (tra cui rientra il demanio stradale), rispetto ai quali, a causa dell’estensione e dell’uso generalizzato e diretto da parte dei terzi, non fosse possibile svolgere i doveri di vigilanza posti a carico del custode (Cass. civ. SS.UU. 5 settembre 1997 n. 8588). Tale orientamento si basava sulla considerazione che la predetta categoria di beni non potesse essere sottoposta ad una idonea custodia della P.A.  Di conseguenza si poteva applicare l’art. 2051 soltanto se l’estensione dei beni demaniali era tale da consentire l’esercizio di un continuo ed efficace controllo volto ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi (Cass. civ. 23 gennaio 2009 n. 1691). Si riteneva, quindi, applicabile l’art. 2051 nei confronti della P.A. per i beni demaniali – quali le strade pubbliche – solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne era possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza tale da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cass. civ. 26 settembre 2006 n. 20827).

La giurisprudenza oggi, invece, è orientata ad affermare un più pregnante dovere di custodia delle strade in capo alla P.A. (Cass. civ. 20 febbraio 2019 n. 4963).

Gli enti proprietari delle strade, ai sensi dell’art. 14, D.Lgs. 30.4.1992, n. 285, infatti, devono provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta. Trattasi di obbligo derivante dal mero fatto di essere proprietari il quale può concorrere con ulteriori obblighi (e, quindi, con ulteriori cause di responsabilità) del medesimo ente o di altri, derivanti da altre normative e, in particolare, dalla disciplina dettata dall’art. 2051 c.c. (Cass. civ. 22 aprile 2010 n. 9527).

Sussiste, quindi, la responsabilità della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, per violazione delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, ma anche ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. ad un facere giacché la domanda investe un’attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (Cass. civ. 4 aprile 2019 n. 9318).

In particolare in caso di sinistro a seguito di non corretta manutenzione del manto stradale da parte dell’ente preposto alla sua tutela quest’ultimo si presume responsabile ex art. 2051 c.c. per i danni causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze e siffatta responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, consistente nell’alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti neppure con l’uso dell’ordinaria diligenza.

La responsabilità è, inoltre, esclusa ove l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso ovvero diminuita, ai sensi dell’art. 1227, 1° co., qualora tale comportamento integri soltanto un concorso di colpa idoneo a ridimensionare, in proporzione dell’incidenza causale, la responsabilità della P.A.

Ai fini della responsabilità ex art. 2051 c.c., quindi, il comportamento colposo del pedone, in taluni casi, può qualificarsi come elemento interruttivo del nesso causale.

A tal fine, tuttavia, non è sufficiente qualsiasi comportamento negligente o imprudente, ma è onere del custode dimostrare l’esclusione di qualunque collegamento fra il modo di essere della cosa (il dissesto della strada come nel caso in esame) e l’evento dannoso (la caduta), così da individuare la causa esclusiva del danno nella condotta del danneggiato e da far recedere la condizione della cosa in custodia a mera occasione o “teatro” della vicenda produttiva di danno (Cass. civ. 1° febbraio 2018 n. 2479).

La valutazione dell’efficienza causale della condotta del danneggiato va effettuata tenendo conto di quanto la situazione di danno fosse prevedibile e superabile con l’adozione delle ordinarie cautele impiegabili in circostanze analoghe (Cass. sent. 2477, 2478, 2479, 2480, 2481, 2482 del 2018).

L’art. 2051 c.c., pertanto, impone un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità in capo al custode fondato sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare tuttavia, del pari, sussiste un equivalente dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa, in virtù del principio di solidarietà (art. 2 Cost.), che impone al soggetto di adottare «condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile».

Alla luce di tutte queste considerazioni la Suprema Corte ha più volte affermato che la condotta del danneggiato, che entra in interazione con la cosa, deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. Di conseguenza, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale (v. Cass. civ. 1° febbraio 2018, n. 2477, 2478, 2479, 2480, 2481 e 2482).

Ciò posto, la Suprema Corte, con l’ordinanza in epigrafe, ha rigettato il ricorso in quanto, come accertato dai giudici di merito sulla base delle risultanze istruttorie, l’incidente era avvenuto esclusivamente a causa della condotta incauta della vittima, la quale, pur essendo evidente che il ciglio del marciapiede della strada comunale che stava percorrendo era caratterizzato da disomogeneità, anziché transitare sulla restante parte dello stesso, lo aveva ugualmente impegnato, senza osservare la particolare prudenza in tal caso necessaria, secondo la comune diligenza, al fine di evitare di inciampare.

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