29 Ottobre 2024

Responsabilità civile derivante dallo svolgimento di attività sanitaria tramite la telemedicina

di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDF

Abstract: Il contributo analizza i principali profili della responsabilità civile alla quale possono andare incontro i medici e le strutture sanitarie nell’esercizio della telemedicina, ovverosia nell’attività di erogazione di prestazioni diagnostiche o terapeutiche a distanza tramite l’utilizzo delle tecnologie dell’informatica e della comunicazione.

La telemedicina può essere definita come la prestazione di assistenza sanitaria a distanza, ovverosia in situazioni in cui il paziente e un professionista (o due o più professionisti) non si trovano nello stesso luogo, tramite l’utilizzo delle tecnologie dell’informatica e della comunicazione. Non si tratta di una specialità medica autonoma e separata rispetto alle altre, bensì di uno strumento di erogazione delle prestazioni sanitarie che estende le medesime oltre gli spazi fisici tradizionali: a seconda dei contesti si parla, quindi, di telecardiologia, teleradiologia, teleneurologia, teleriabilitazione, teledermatologia, ecc.

Viene da tempo messo in evidenza che uno dei principali ostacoli alla concreta diffusione di questa modalità di erogazione delle cure è costituto dalle scarse conoscenze relative ai profili giuridici della telemedicina, in particolare delle responsabilità cui possono andare incontro i medici e le strutture sanitarie che la praticano. In realtà, non vi è dubbio che la telemedicina rientra a tutti gli effetti nell’ambito dell’attività sanitaria ed è quindi sottoposta alle disposizioni legislative (nonché deontologiche) che riguardano quest’ultima, da quelle generali contenute nel Codice civile fino a quelle specificamente dettate per i professionisti sanitari dalla legge n. 24/2017 (c.d. Gelli-Bianco). La questione è capire se e fino a che punto tali disposizioni, finora studiate e sperimentate nei tribunali con esclusivo riguardo alla medicina tradizionale, si possano adattare al nuovo fenomeno.

Iniziando l’analisi dalla responsabilità individuale del professionista sanitario, è innanzitutto necessario chiedersi se in questo ambito si debba parlare di prestazioni di mezzi o, piuttosto, di prestazioni di risultato. Se è vero, infatti, che la prestazione sanitaria viene tradizionalmente considerata, insieme a quella dell’avvocato, l’esempio paradigmatico del primo tipo di obbligazioni, non mancano ipotesi, anche di non scarsa rilevanza, nelle quali la giurisprudenza ritiene che vi siano gli estremi per ricostruire in capo al medico un’obbligazione di risultato, o comunque fa uso di regole operazionali (per es. facilitazioni probatorie per il paziente) che nella sostanza finiscono per avere esiti applicativi del tutto simili.

In realtà occorre riconoscere che, per quanto la telemedicina possa incrementare l’accuratezza e l’efficacia del suo intervento, anche in questo ambito dovrebbe rimanere ferma la tradizionale concezione che considera l’obbligazione del medico un’obbligazione di mezzi e non di risultato, quindi un’obbligazione che non impegna il medico a garantire gli obiettivi di guarigione/miglioramento della salute del paziente, ma soltanto a porre in essere un’attività adeguata a raggiungerli in quanto conforme al parametro della diligenza professionale enunciato dall’art. 1176, comma 2, cod. civ. e alle c.d. linee guida e buone pratiche clinico-assistenziali menzionate dall’art. 5 della legge Gelli-Bianco.

Sotto un secondo punto di vista, è necessario chiarire se l’impiego della telemedicina comporti il ricorrere di quei «problemi tecnici di speciale difficoltà» in presenza dei quali l’art. 2236 cod. civ. limita ai soli casi di dolo o colpa grave la responsabilità del prestatore d’opera professionale. Se una risposta positiva al quesito potrebbe desumersi dalla considerazione della complessità, dell’innovatività e della sofisticatezza delle tecnologie utilizzate in telemedicina, dev’essere rilevato che, secondo la nostra giurisprudenza, il presupposto di applicazione della norma in esame dev’essere sempre effettivamente riscontrato nel caso concreto, non essendo sufficiente, per il suo operare, la potenziale prospettabilità di problemi di speciale difficoltà desunta da categorie astratte e predefinite: ciò significa, ripudiando ogni automatismo, che le prestazioni sanitarie eseguite con la telemedicina potranno o meno comportare l’applicazione dell’art. 2236 cod. civ. a seconda delle caratteristiche del caso concreto.

Un altro aspetto problematico, conseguente alla partecipazione di una pluralità di operatori con diverse specializzazioni che la telemedicina frequentemente comporta, attiene alla individuazione e alla ripartizione delle responsabilità dei vari professionisti coinvolti. Esclusa l’attendibilità di una soluzione che facesse semplicisticamente ricadere l’intera responsabilità solamente sul medico che ha operato a contatto diretto con il paziente, può qui farsi utilmente riferimento alle regole elaborate con riguardo all’attività sanitaria svolta in équipe: in forza del c.d. principio di affidamento, quindi, ogni sanitario sarà di regola chiamato a rispondere solamente della propria condotta, con l’eccezione delle ipotesi in cui egli non ponga rimedio ad errori altrui evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, oppure rivesta, all’interno dell’équipe, un ruolo apicale comportante un dovere di controllo, direzione e coordinamento dell’operato dei colleghi. Qualora l’équipe sia composta di medici che operano a distanza insieme ad altri che operano alla presenza del paziente, tale ruolo dovrebbe comunque essere di principio riconosciuto a uno di questi ultimi.

Nelle ipotesi, poi, in cui il cattivo esito delle cure sia dovuto a inadeguatezza o malfunzionamento dei macchinari e/o dei servizi telematici impiegati nella telemedicina, un addebito di responsabilità potrà essere mosso, oltre che ai soggetti che hanno realizzato e fornito gli apparati e le tecnologie di cui si discute, anche in capo al medico che conosceva, o avrebbe potuto conoscere con una verifica eseguita secondo l’ordinaria diligenza professionale, il deficit dei mezzi tecnici a propria disposizione.

Un ultimo profilo di responsabilità individuale può, infine, insorgere in capo al sanitario che abbia deciso di fare ricorso alla telemedicina per approcciare un caso clinico nel quale sarebbe stato invece preferibile il trattamento tradizionale e, in conseguenza di tale scelta, abbia cagionato al paziente un pregiudizio che una prestazione erogata in presenza avrebbe consentito di evitare: in caso di dubbio fra le due alternative si dovrebbe, infatti, comunque prediligere quest’ultima ed evitare l’impiego della telemedicina, specialmente qualora si tratti di esaminare per la prima volta il malato al fine di formulare la diagnosi.

Così come nella medicina tradizionale, anche in telemedicina la responsabilità della struttura sanitaria si articola, poi, lungo due direttrici.

In virtù della prima, disciplinata nei primi due commi dell’art. 7 della legge Gelli-Bianco, la struttura risponde, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., della malpractice degli esercenti la professione sanitaria dei quali si è avvalsa per erogare prestazioni di telemedicina, anche se questi sono stati scelti dal paziente e sebbene non siano dipendenti della struttura stessa, e fatto sempre salvo l’assoggettamento del medico alle azioni di rivalsa e di responsabilità amministrativa per danno erariale previste dall’art. 9 della legge medesima.

Nel caso in cui il danno subito dal paziente sia riconducibile all’inadeguatezza o al malfunzionamento dei mezzi tecnici impiegati nell’esercizio della telemedicina, la struttura potrebbe poi andare incontro, oltre e anche a prescindere dalla responsabilità indiretta per le condotte del personale medico, ad una diretta e autonoma responsabilità per c.d. difetto di organizzazione discendente dall’inadempimento dell’obbligo, scaturente in capo al nosocomio dal contratto di spedalità intercorrente con i malati, di predisporre un contesto organizzativo di livello adeguato nel quale accogliere gli assistiti. In questo scenario, l’ente nosocomiale è tenuto a sottoporre il proprio equipaggiamento tecnico sia a generali procedure periodiche di controllo e di manutenzione sia a verifiche ad hoc prima di ogni concreto utilizzo, la sua responsabilità rimanendo esclusa soltanto per i danni dovuti a difetti di fabbricazione e funzionamento non rilevabili con un’ispezione diligente. Va sottolineato che, essendo i doveri organizzativi dell’ospedale inquadrabili nell’ambito delle obbligazioni di risultato, la responsabilità che consegue alla loro inosservanza è ricostruita impiegando, in luogo del criterio della colpa utilizzata per valutare la responsabilità individuale del medico, un più rigido parametro di natura oggettiva, incompatibile pure con l’art. 2236 cod. civ., che addossa all’ospedale il rischio dell’inadempimento derivante da tutte le anomalie che si possano verificare nell’ambito del proprio apparato organizzativo fino al limite dell’impossibilità sopravvenuta non imputabile.

Che si diriga nei confronti del medico piuttosto che della struttura sanitaria o di entrambi, la pretesa risarcitoria per eventi avversi ricollegati alla telemedicina dovrà pure confrontarsi, come tutte le azioni di responsabilità da medical malpractice, con le questioni relative al nesso eziologico.

La ricostruzione del profilo causale potrebbe peraltro presentarsi particolarmente complessa nella materia che ci occupa, essendo plausibile che emergano difficoltà di non poco momento nello stabilire se il danno subito dal paziente sia stato o meno cagionato da una inadeguatezza o da un malfunzionamento dei mezzi tecnici impiegati per le cure. Nella telemedicina, in altri termini, parrebbe potersi presentarsi anche con una certa frequenza il problema probatorio della c.d. causa ignota, argomento che costituisce uno dei profili della responsabilità sanitaria maggiormente approfonditi dalla dottrina e dalla giurisprudenza negli ultimi anni e che viene da quest’ultima risolto con il noto indirizzo secondo cui il paziente è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e l’evento dannoso, consistente nella lesione della salute o nell’aggravamento della situazione patologica o nell’insorgenza di una nuova malattia, mentre è onere della controparte, ove il paziente abbia dimostrato il suddetto nesso di causalità materiale, provare – di avere esattamente adempiuto, oppure – che l’inadempimento della prestazione sanitaria è dipeso da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile. Pertanto, se rimane ignota la causa del danno riportato dal paziente sarà quest’ultimo a subirne le conseguenze vedendo la propria azione respinta, mentre se rimane ignota la causa che ha impedito ai medici e al nosocomio la corretta esecuzione della prestazione sanitaria saranno questi ultimi a farne le spese, vedendosi condannati al risarcimento del danno.

Sempre sul piano del nesso causale, la responsabilità sanitaria in telemedicina potrebbe, poi, sollevare questioni attinenti al concorso di colpa del paziente rilevante ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. Rispetto alla medicina tradizionale, questa modalità di erogazione delle prestazioni mediche infatti si caratterizza per prevedere, non di rado, una più intensa compartecipazione attiva del paziente, al quale potrebbe essere pertanto addebitata la corresponsabilità per il fallimento delle cure nelle ipotesi in cui, per esempio, egli abbia adoperato in maniera scorretta i dispositivi di telemonitoraggio collocati sul suo corpo e/o nella sua abitazione, oppure abbia trascurato la manutenzione dei suddetti dispositivi che gli era stata raccomandata, o, ancora, non abbia rispettato le istruzioni ricevute in merito all’utilizzo di apparecchiature impiegate in un’attività di televisita o teleassistenza. Non è inoltre da escludere che, in applicazione dei principi generali, il comportamento del paziente possa anche arrivare a sollevare da ogni responsabilità il medico e la struttura impegnati nella telemedicina, ciò che dovrebbe per la precisione accadere qualora il suddetto comportamento sia tale da elidere la rilevanza casuale della condotta dei sanitari nella produzione dell’evento lesivo subito dal malato.

Come in tutte le forme di svolgimento dell’attività sanitaria, anche in telemedicina potrà infine configurarsi una responsabilità per lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente alla quale dovrebbero poter trovare applicazione i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità per violazione del consenso informato con riguardo alla medicina tradizionale.

Il consenso informato al trattamento eseguito tramite la telemedicina è peraltro connotato da alcune peculiarità che meritano di essere messe in rilievo.

Al riguardo si precisa, innanzitutto, che tale pratica va esplicitamente autorizzata dal paziente, al quale è riconosciuta la facoltà di rifiutarla, in favore della prestazione sanitaria tradizionale, con l’eccezione delle sole ipotesi in cui la seconda sia indisponibile a causa delle condizioni dei luoghi e dell’organizzazione dei servizi sanitari (si pensi, per esempio, ad un presidio di guardia medica collocato in un’isola o in un territorio montano temporaneamente irraggiungibili).

Al fine di poter esercitare consapevolmente la libertà di autodeterminazione terapeutica, il paziente ha diritto di ottenere tutte le informazioni previste dalla disciplina generale del consenso ai trattamenti sanitari contenuta nell’art. 1, comma 3, della legge n. 219/2017, fra le quali meritano di essere evidenziati i specifici rischi innescati dalla telemedicina, quali: la possibilità che il trattamento si interrompa o comunque non vada a buon fine a causa del malfunzionamento dei sistemi operativi; i limiti dell’indagine connessi alla mancanza del contatto fisico e dello sguardo clinico del medico; l’impossibilità di una visita completa e di un intervento immediato in caso di urgenza; l’eventuale presenza di carenze e inadeguatezze, anche solo temporanee, nell’apparato organizzativo e strumentale che verrà utilizzato per l’esecuzione del trattamento; e così via.

Anche nell’ambito della telemedicina dovrebbe, comunque, valere il generale orientamento che limita il contenuto dell’obbligo d’informazione gravante sul medico ai soli rischi prevedibili ed esclude che debbano essere comunicati al paziente gli esiti anormali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’id quod plerumque accidit e il timore dei quali potrebbe influire negativamente sulle capacità decisionali del malato, fino ad indurlo a rifiutare un trattamento caratterizzato da un grado di pericolosità molto ridotto rispetto ai benefici attesi.

In ogni caso rimane fermo anche per la telemedicina il principio, un tempo elaborato in via interpretativa ed oggi riconosciuto dall’art. 1, comma 6, della legge sopra menzionata, che nelle situazioni di emergenza o di urgenza non solo consente, ma anzi impone al medico di assicurare le cure necessarie all’individuo che non sia in grado di pronunciarsi al riguardo.

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Responsabilità civile in ambito sanitario