I requisiti di accesso del condominio-consumatore alla procedura di sovraindebitamento
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Roma, sezione XIV civile, Sentenza del 26.04.2024, Giudice Dott.ssa Angela Coluccio
“Per accedere alla procedura di sovraindebitamento la parte istante (il Condominio ndr.) avrebbe dovuto dimostrare lo stato di sovraindebitamento, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera c) del D.lgs 14/2019, dei singoli condomini, in relazione al debito comune per la quota di propria spettanza”.
Il Condominio Alfa in persona dell’Amministratore pro tempore presentava ricorso per ristrutturazione dei debiti del consumatore ex art. 67 D. Lgs. n. 14/2019 avanti il Tribunale capitolino competente.
Il Giudice rilevava che l’istante non dimostrava di versare in stato di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c) del D. Lgs. 14/2019, ovverosia la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio liquidabile per farvi fronte, nonché riguardo la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; requisiti ineludibili per l’apertura del procedimento.
È opportuno premettere come secondo consolidata giurisprudenza, il condominio, anche a fronte della riforma dell’istituto condominiale di cui alla L. n. 220 del 2012 risulta privo di personalità giuridica[1].
Esso, pertanto, non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, ma può considerarsi alla stregua di ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei condomini senza interferire nei diritti autonomi di ciascuno di essi; in altri termini anche l’originaria indicazione giurisprudenziale dell’istituto del condominio, per l’appunto con la predetta qualifica, è rimasta intaccata dalla riforma del condominio.
Nonostante alcune recenti aperture giurisprudenziali in ordine alla possibilità di aggredire il patrimonio del condominio attraverso il pignoramento del conto corrente condominiale e le audaci interpretazioni riguardanti la c.d. “autonomia imperfetta”, ancora oggi il soggetto condominio rimane identificabile con i singoli suoi partecipanti: i condomini.
Orbene, le procedure contro il sovraindebitamento sono rivolte ai consumatori – i quali ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. a) del Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005) sono le persone fisiche che abbiano assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta – ovvero ad altri soggetti come professionisti, imprese minori o agricole.
A questo punto ciò che bisogna chiedersi è se il condominio possa essere considerato un consumatore.
La questione è stata sottoposta alla Corte di Giustizia Europea a seguito di un giudizio avanti il Tribunale di Milano ove un Condominio si opponeva a un atto di precetto notificato da un’impresa fornitrice del servizio di riscaldamento, la quale richiedeva, in virtù di una clausola contrattuale, il pagamento degli interessi di mora maturati a seguito di ritardati pagamenti del servizio erogato in misura superiore a quella legale prevista in contratto.
Il Condominio in particolare si opponeva all’intimazione ritenendo tale clausola nulla poiché abusiva ai sensi della direttiva 93/13/CEE.
Sul tema la Suprema Corte si è pronunciata a Sezioni Unite ritenendo come “al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l’amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale”[2].
Invero, anche se per consumatore si intende la persona fisica del soggetto giuridico interessato, nondimeno, il fatto di escludere l’applicabilità della direttiva 93/13/CEE per il solo motivo che la persona interessata non è né una persona fisica ma neanche una persona giuridica rischierebbe di privare di protezione di soggetti di diritto che si trovano in una situazione di inferiorità rispetto al professionista.
A tal riguardo, la Corte di Giustizia dell’UE adita dal Tribunale milanese richiamava il considerando 13 della direttiva 2011/83/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13 e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2011, L 304, pag. 64), il quale enuncia che “gli Stati membri possono decidere di estendere l’applicazione delle norme della presente direttiva alle persone giuridiche o alle persone fisiche che non sono “consumatori” ai sensi della presente direttiva, quali le organizzazioni non governative, le start-up o le piccole e medie imprese”[3].
I giudici di Lussemburgo, in particolare, premettevano quanto disposto dall’art. 169, paragrafo 4, TFUE, secondo il quale gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure di tutela dei consumatori più rigorose, a condizione che esse siano compatibili con i trattati.
Inoltre, secondo il considerando 12 della direttiva 93/13/CEE, quest’ultima procede solo ad un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive, lasciando agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle contenute nella medesima direttiva. Ai sensi dell’art. 8 della suddetta direttiva, poi, gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore da essa disciplinato, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore.
Infine, come enunciato dal succitato considerando 13 della direttiva 2011/83/UE, gli Stati membri dovrebbero restare competenti, conformemente al diritto dell’Unione, per l’applicazione delle disposizioni di tale direttiva ai settori che non rientrano nel suo ambito di applicazione. Gli Stati membri possono, in particolare, decidere di estendere l’applicazione delle norme della suddetta direttiva alle persone giuridiche o fisiche che non siano consumatori ai sensi di quest’ultima.
La Corte europea riteneva, pertanto, che, nonostante al condominio non possa riconoscersi la natura di persona fisica, “l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva”.
Orbene, alla luce delle disposizioni richiamate, emerge che gli Stati membri dell’UE possiedono la facoltà di poter regolare autonomamente la materia della tutela del consumatore e delle clausole abusive anche in ragione di esigenze endogene ma sempre nel rispetto della normativa europea, così come chiarito ut supra.
Partendo da una tale posizione si potrebbe pensare di estendere, a livello giurisprudenziale, la qualifica di consumatore anche al condominio, consentendogli così di accedere alle procedure di sovraindebitamento, tuttavia la questione è ancora abbastanza controversa.
Nella sentenza in commento, il giudice capitolino richiamava la pronuncia a SS.UU. n. 9148 del 2008 ove gli Ermellini sottolineavano come il condominio non sia titolare di un patrimonio autonomo nonché di diritti e obbligazioni ma che la titolarità dei diritti sui beni, gli impianti e i servizi di uso comune fosse in capo ai singoli condomini, così come le obbligazioni contratte nell’interesse del condominio non si contraggono in favore dell’ente, ma nell’interesse dei singoli comproprietari.
In tal senso, pertanto, secondo i giudici di Piazza Cavour e di concerto anche secondo il Tribunale di Roma le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli previsti dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l’obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie[4].
Posto tale orientamento, per il giudice romano il Condominio istante qualora avesse voluto accedere alla procedura di sovraindebitamento avrebbe dovuto dimostrare, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera c) del D. Lgs. 14/2019, lo stato di sovraindebitamento dei singoli condomini per la quota da ognuno dovuta in relazione al debito comune.
Poiché, tuttavia, tale requisito non veniva né dimostrato né dedotto, il Tribunale rigettava l’istanza proposta, vanificando di fatto la richiesta del condominio.
In questa recentissima pronuncia il tribunale di Roma non ha considerato appieno una delle questioni di maggiore attualità, ossia la circostanza che in esito alla normativa di accesso ai bonus edilizi ed in specie di fronte alle problematiche insorte a seguito del c.d. “blocco della cessione dei crediti”, si sono venute a creare importanti situazioni di generale sovraindebitamento in capo ai condominii che non sono riusciti a portare a termine la misura incentivante del 110% Dlgs 34/20 e/o anche bonus edilizi minori.
L’impatto sociale della vicenda è assimilabile a quanto occorso nei tempi in cui è sorta la normativa di protezione sotto il codice della crisi e quindi di evidente rilievo sociale oltre che economico. Soltanto un monitoraggio programmato, un ruolo attivo degli advisor e degli Organismi di Composizione della crisi (OCC), oltre che un ruolo fattivo di dottrina e giurisprudenza consentiranno prevenire sul nascere quelle peculiari tragiche circostanze che hanno portato al moderno sviluppo della normativa di cui trattasi che tanto ha impattato socialmente nella visione del legislatore anche in esito ai successivi opportuni correttivi.
In altri termini nella sentenza in commento, l’estensore ha ritenuto rigidamente applicare i requisiti di ammissibilità alla procedura di sovraindebitamento in ragione del criterio della parziarietà delle obbligazioni e non della solidarietà, criterio legislativamente corretto in ragione dell’impatto della riforma e della giurisprudenza in materia condominiale (art. 63 disp. att. c.c.).
Ciò nondimeno ritenere che l’accesso alla procedura sia ammissibile soltanto allorquando lo stato di sovraindebitamento impatti sul debito comune per la quota di propria spettanza, significa di fatti escludere dalla protezione il Condominio, specie ove si pensi che raramente potrà verificarsi la situazione di generale e totale indebitamento per la quota comune di ciascuno, poiché è noto che a fronte della difficoltà di alcuni (c.d. condomini morosi) ve ne sono altri “virtuosi” che ottemperano diligentemente al pagamento degli oneri in questione, così come d’altra parte è corretto che sia
Ora posto che non è dato conoscere l’origine/la fonte del debito riguardante la fattispecie in esame, ma presumendo de iure condito che possa riguardare e che nel futuro di certo riguarderà le difficoltà di molti Condomini di rispettare le scadenze dei bonus edilizi, in ragione della definitiva cessazione della misura incentivante del 110% (31.12.2023) e dei cantieri abbandonati e con conclusi, i c.d.: “esodati del superbonus”, a giudizio di chi scrive occorrerà de iure condendo operare un generale ripensamento in ordine ai requisiti di ammissibilità della procedura e consentire de plano al Condominio, a tutti gli effetti equiparato al consumatore, l’accesso al piano di ristrutturazione del debito.
[1] Cass. SS. UU., Sent. n. 10934/2019. I giudici di legittimità sul punto richiamavano una sentenza precedente, Cass. SS. UU., Sent. n. 19663/2014, ove veniva ravvisata una “progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pure attenuata personalità giuridica”.
[2] Cass. civ., Sent. n. 10679/2015.
[3] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sent. 02.04.2020 C-329/19.
[4] Cass. SS.UU., Sent. n. 9148/2008.
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