Reintegrazione nel posto di lavoro e sindacati
di Ginevra Ammassari Scarica in PDFCass., sez. lav., 3 luglio 2017, n. 16349
Lavoro e previdenza (controversie in tema di) – Licenziamento – Organizzazioni di tendenza – Reintegrazione nel posto di lavoro – Applicabilità (Cod. civ., art. 2082; l. 11 maggio 1990, n. 108, Disciplina dei licenziamenti individuali, art. 4; l. 20 maggio 1970, n. 300, Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18; l. 15 luglio 1966, n. 604, Norme sui licenziamenti individuali, art. 8).
[1] La deroga al regime della tutela reale disposta dall’art. 4, L. n. 108/1990 si applica altresì alle associazioni sindacali che svolgano, in assenza di una compiuta autonomia gestionale e finanziaria, attività di assistenza professionale in favore della sola categoria rappresentata, purché tale attività, ancorché svolta dietro corrispettivo, non rechi natura imprenditoriale.
CASO
[1] Nel caso di specie, il Tribunale di Firenze, investito del ricorso proposto da un dipendente dell’Unione Agricoltori – Sindacato Provinciale Proprietari Conduttori in economia di Firenze avverso il licenziamento intimatogli, dichiarava l’illegittimità di quest’ultimo e, in applicazione della deroga disposta dall’art. 4, l. n. 108/1990, condannava l’associazione sindacale al pagamento della sola indennità risarcitoria ex art. 8, l. n. 604/1966.
In sede di gravame, la Corte d’appello di Firenze, nel ritenere la natura imprenditoriale dell’attività di assistenza professionale svolta dall’associazione convenuta in favore dei propri iscritti dietro il pagamento di un corrispettivo che, in quanto tale, esulava dalla mera funzione di rappresentanza degli interessi di categoria, riformava la sentenza di primo grado e applicava la tutela reale prevista dal testo originario dell’art. 18 St. Lav. allora vigente ratione temporis.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’associazione sindacale, articolando molteplici motivi di censura.
SOLUZIONE
[1] Con la pronuncia in epigrafe, la sezione lavoro della Suprema Corte cassa con rinvio la decisione resa dalla Corte territoriale e afferma che la deroga disposta dall’art. 4, L. n. 108/1990 all’applicabilità della tutela reale opera anche nei confronti delle associazioni che gestiscano, dietro il pagamento di un corrispettivo ma senza margini di profitto, servizi di assistenza e consulenza professionale a tutela degli interessi non solo sindacali, ma anche economici dei propri iscritti.
QUESTIONI
[1] Ai sensi dell’art. 4, L. n. 108/1990, l’applicazione della tutela reale ex art. 18 St. Lav. è esclusa in ipotesi di licenziamento illegittimo dei lavoratori alle dipendenze delle organizzazioni di tendenza, nei confronti delle quali residua la sola tutela obbligatoria prevista dall’art. 8, l. n. 604/1966, con l’unica eccezione costituita dal licenziamento nullo in quanto discriminatorio (così Cass. 20 novembre 2007, n. 24043, in Riv. crit. dir. lav., 2008, 294, con nota di V. Civitelli e Riv. it. dir. lav., 2008, II, 653, con nota di D. Mugnaini).
Tale disciplina, volta a tutelare la libertà delle associazioni che, prive del carattere imprenditoriale e senza scopo di lucro, perseguano interessi di matrice ideologica, ha posto, sin dalla sua introduzione, numerose questioni interpretative.
In primo luogo, ai fini dell’applicazione della norma in esame, rileva l’insussistenza della natura imprenditoriale del datore di lavoro, che ricorre qualora quest’ultimo impronti la propria attività ai criteri di professionalità, organizzazione ed economicità di cui all’art. 2082 c.c.
Posto tale requisito essenziale, la giurisprudenza di legittimità appare divisa in merito alla nozione stessa di organizzazione di tendenza: infatti, mentre un primo orientamento ritiene sufficiente il più generale perseguimento di fini prevalentemente ideologici, purché in assenza di una struttura imprenditoriale (cfr., Cass. 27 maggio 2011, n. 11777, Foro it., Rep. 2011, voce Lavoro (rapporto di), n. 1222; 14 agosto 2008, n. 21685, id., Rep. 2008, voce cit., n. 1496; 21 settembre 2006, n. 20442, id., Rep. 2006, voce cit., n. 1442), un orientamento maggiormente rigoroso, nel ritenere tale disciplina di stretta interpretazione, ne condiziona l’applicazione alla prova – che, in ossequio al principio espresso da Cass., S.U. 10 gennaio 2006, n. 141, id., I, 704, con note di D. Dalfino e A. Proto Pisani, spetta al datore di lavoro – dell’esercizio di una delle attività tassativamente elencate dalla norma, ovvero alla riconducibilità dell’ente ad una delle organizzazioni individuate dallo stesso art. 4 (così Cass. 2 dicembre 2010, n. 24437, id., Rep. 2010, voce cit., n. 1415 e, più di recente, 12 marzo 2012, n. 3868, id., Rep. 2012, voce cit., n. 1285, la quale precisa altresì che l’inapplicabilità dell’art. 18 St. Lav. alle organizzazioni di tendenza, non costituisce un’eccezione in senso stretto, sicché può essere rilevata ex officio dal giudice; concorde, in dottrina, R. Oriani, Eccezione rilevabile d’ufficio e onere di tempestiva allegazione: un discorso ancora aperto, id., 2001, I, 127).
Entro tali limiti, si è affermato che la norma sancisce la prevalenza dell’interesse datoriale a disporre di lavoratori che condividano i valori dell’organizzazione sul diritto alla conservazione del posto di lavoro, stante l’inconciliabilità di quest’ultima con l’inclinazione ideologica dell’attività svolta dall’organizzazione in ipotesi di dissenso del prestatore di lavoro (in tal senso, v. F. Tognacci, Stabilità obbligatoria ed oneri probatori del datore (fra dimensione dell’organico e organizzazione di tendenza), in Arg. dir. lav., 2008, 1216); tale impostazione è strettamente connessa a una questione ulteriore, che ha interessato la giurisprudenza più risalente e attiene al carattere neutro o ideologicamente orientato delle mansioni svolte dal lavoratore che consente l’applicabilità della deroga (in tal senso, v. Cass. 6 novembre 2001, n. 13721, id., 2002, I, 53; contra, v. Cass. 16 settembre 1998, n. 9237, id., 1998, I, 533; in dottrina, sul tema, cfr. F. Carinci-R. De Luca Tamajo-P. Tosi-T. Treu, Il rapporto di lavoro subordinato, in Diritto del lavoro, Milano, 2013, 434).
La pronuncia in epigrafe, pur accennando a talune delle problematiche esposte, si concentra esclusivamente sul requisito costituito dalla natura imprenditoriale dell’attività di assistenza professionale svolta dall’associazione ricorrente e, nel ritenere la strumentalità della stessa alla realizzazione degli scopi istituzionali dell’ente, esclude la sussistenza del fine speculativo e lucrativo, in ragione dell’entità del corrispettivo – appena sufficiente a coprire i costi – richiesto per la fruizione dei servizi di consulenza offerti, in assenza di autonomia gestionale e finanziaria (v. Cass. 27 settembre 2016, n. 18952, in www.dejure.it; 30 ottobre 2015, n. 22256, in www.dejure.it; 4 marzo 2014, n. 4983, Foro it., Rep. 2014, voce Lavoro (rapporto di), n. 1142), ai soli iscritti e non anche a terzi (così, già Cass. 16 gennaio 2014, n. 797, id., 2014, I, 471; 19 luglio 2008, n. 16612, id., Rep. 2008, voce Impresa, n. 45, la quale distingue tra la nozione oggettiva di imprenditore, ancorata al conseguimento della remunerazione dei fattori produttivi, e lo scopo di lucro, che costituisce il movente soggettivo sotteso allo svolgimento dell’attività economica; 15 aprile 2005, n. 7837, Riv. it. dir. lav., 2006, 401; 11 luglio 2001, n. 9396, Not. giur. lav., 2001, 772).
In ultimo, occorre segnalare che, di recente, la tutela prevista dall’art. 18 St. Lav. avverso il licenziamento illegittimo ha subito una profonda modificazione, rispettivamente con la l. n. 92/2012 e, in ultimo, con i decreti attuativi del c.d. Jobs Act: mentre la prima, salva la doverosa precisazione che all’interno della nozione di tutela reale menzionata dall’art. 4, l. n. 108/1990 confluiscono, attualmente, le (molteplici) forme di tutela ivi contemplate, non comporta significativi problemi interpretativi, l’art. 9, comma 2°, d. leg.. n. 23/2015 ha eliminato la deroga disposta dalla l. n. 108/1990 ma, nel disporre che ai dipendenti delle organizzazioni di tendenza tout court si applica la medesima disciplina introdotta dalla riforma per i lavoratori assunti successivamente al 7 marzo 2015, non sembra riprodurre tale criterio applicativo anche per i primi che, dunque, potrebbero vedersi applicata la nuova disciplina a prescindere dal dato relativo al momento genetico del rapporto lavorativo.
Per approfondimenti, tra i contributi più recenti, si segnalano: M. Miscione, Le organizzazioni di tendenza, in Mass. giur. lav., 2009, 22; M. Corti, Le imprese di tendenza, in Iustitia, 2013, 309.