Reintegra in servizio del lavoratore
di Evangelista Basile Scarica in PDFCorte di Cassazione, Sezione Lavoro, 10 gennaio 2018, n. 331
Giustificato motivo oggettivo – Reintegra – Eccezione alla regola – Sussiste
Massima
Nelle circostanze in cui manchi il giustificato motivo oggettivo, la reintegra in servizio del lavoratore costituisce l’eccezione alla regola dopo la modifica apportata dalla riforma Fornero all’art. 18 Stat. Lav.: il ripristino del rapporto di lavoro, infatti, rappresenta esclusivamente un’ipotesi residuale che si configura laddove non soltanto se il fatto posto alla base del recesso datoriale non sussiste ma anche a condizione che l’insussistenza sia «manifesta».
Commento
Con la sentenza in commento, la Cassazione chiarisce in modo lineare la portata residua della tutela reintegratoria in caso di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La vicenda in esame trae origine da una interdittiva prefettizia che aveva evidenziato il pericolo di infiltrazione mafiosa nell’azienda, in ragione della presenza di lavoratori aventi precedenti penali e comunque vicini, per rapporti di parentela o affinità, ad esponenti dei locali clan mafiosi. A fronte della sola interdittiva, la Società, operante principalmente nell’ambito degli appalti pubblici, al fine di evitare la perdita di commesse, licenziava il lavoratore ritenendo che non vi fosse più l’oggettiva possibilità di proseguire il rapporto di lavoro. Successivamente, il provvedimento prefettizio veniva dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo. Alla luce dell’intera vicenda, sia la Corte d’Appello sia la Cassazione, ritenevano che il licenziamento fosse illegittimo, poiché, nelle more del ricorso giurisdizionale amministrativo, il datore avrebbe potuto sospendere il rapporto di lavoro sino all’accertamento giudiziale dei fatti. La circostanza dell’infiltrazione mafiosa, ritenuta dirimente ai fini del licenziamento, era, infatti, sottoposta a vaglio giurisdizionale, pertanto, poteva essere ritenuta temporanea. Tanto premesso, a parere dei Giudici, nel caso in esame non poteva ritenersi che la fattispecie fosse priva in modo manifesto dei fatti astrattamente idonei a cagionare il licenziamento. La Corte sottolinea, infatti, che non è in dubbio l’esistenza, al momento del licenziamento, dell’interdittiva prefettizia, potenzialmente idonea ad incidere sul regolare funzionamento dell’organizzazione del lavoro. Così evidenziato, si deve escludere che sia integrata l’ipotesi della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento: al lavoratore, dunque, non spetta la tutela reintegratoria di cui al comma VII dell’art. 18 Stat. Lav. L’illegittimità del provvedimento datoriale de quo risiede, invece, nella mancata prova da parte del datore di lavoro delle ragioni che non permettevano la prosecuzione del rapporto di lavoro neanche temporaneamente. In altre parole, il fatto posto a fondamento del recesso è sì sussistente, ma non è stato dimostrato come, a fronte di ciò, ricorressero gli estremi del giustificato motivo oggettivo. Conseguentemente, il caso di specie rientra nelle c.d. “altre ipotesi” di cui al comma VII dell’art. 18 Stat. Lav., la cui tutela prevista è l’indennità risarcitoria tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità. In definitiva, la Suprema Corte coglie l’occasione per evidenziare nuovamente che, a seguito della Riforma Fornero, la tutela reintegratoria del lavoratore ormai costituisce l’eccezione: ai fini dell’applicabilità del comma IV dell’art. 18 Stat. Lav., il fatto posto alla base del licenziamento – sia esso disciplinare, sia esso per giustificato motivo oggettivo, come nel caso di specie – deve essere insussistente, in modo manifesto. Nel caso in esame, non è stato ritenuto sufficiente, ai fini della manifesta insussistenza, l’annullamento del provvedimento prefettizio da parte dell’Autorità giudiziaria preposta: l’interdittiva, seppur successivamente annullata, era efficace al momento del licenziamento.
Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”