12 Ottobre 2021

Regolamento (UE) 848/2015: il trasferimento della sede in altro Stato membro è fittizio se nella nuova sede non sia effettivamente esercitata l’attività economica

di Chiara Zamboni, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara Scarica in PDF

Cass. ord. 20 aprile 2021, n. 10356

Reg. 848/2015: il trasferimento della sede in altro Stato membro è fittizio se nella nuova sede non sia effettivamente esercitata l’attività economica e (soprattutto) non sia stato ivi spostato il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa

Parole chiave

Fallimento – insolvenza transfrontaliera – COMI – giurisdizione internazionale – presupposti – trasferimento sede – cancellazione registro delle imprese. 

Massima

Ai sensi del Reg. UE 848/2015 in tema di insolvenza transfrontaliera, la competenza a dichiarare l’insolvenza si radica in capo al giudice dello Stato membro in cui sia localizzato il COMI (centre of main interests). Nel caso in cui, prima della domanda di apertura della procedura fallimentare, la società abbia trasferito all’estero la propria sede legale, il trasferimento deve ritenersi fittizio se nella nuova sede non sia effettivamente esercitata l’attività economica e (soprattutto) non sia stato ivi spostato il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa.

Riferimenti normativi

Art. 9 L.F. – art. 18 L.F.– art. 3 Reg. 848/2015 – art. 2191 c.c.

Caso

Nell’ordinanza oggetto di commento, la Corte ha avuto modo di affrontare nuovamente le questioni relative al radicamento della giurisdizione per le procedure di insolvenza in caso di trasferimento della sede legale dell’impresa in un altro Stato membro.

Soluzione

La Suprema Corte ha ribadito che la competenza a dichiarare l’insolvenza spetta, ex art. 3 Reg. 848/2015, al Giudice dello Stato membro in cui sia localizzato il COMI. Nel caso in cui, prima della domanda di apertura della procedura fallimentare, la società abbia trasferito all’estero la propria sede legale, tale trasferimento deve ritenersi fittizio se nella nuova sede non sia effettivamente esercitata attività economica e (soprattutto) non sia stato ivi spostato il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa.

Questioni

A seguito della dichiarazione di fallimento della Alfa s.r.l., su istanza dell’Agenzia delle Entrate, la società ha presentato un reclamo ex art. 18 L.F. lamentando l’errata individuazione della giurisdizione italiana in violazione dell’art. 9 L.F. e dell’art. 3 del Reg. 1346/2000 in considerazione dell’avvenuto trasferimento della sede legale in altro Stato membro e la conseguente cancellazione della società dal registro delle imprese.

La Corte di Appello adita ha respinto il reclamo condividendo la valutazione operata dal Tribunale secondo il quale il trasferimento della sere era da ritenersi fittizio. Ciò in considerazione del fatto che i) era stato deliberato dopo la notifica delle cartelle esattoriali per un ammontare di oltre un milione di euro, momento in cui, stando all’ultimo bilancio, la società era già gravemente indebitata; ii) la società dopo il trasferimento della sede non aveva svolto in concreto alcuna attività produttiva nel luogo della nuova sede; iii) la società non aveva spostato il centro dell’attività direttiva amministrativa e organizzativa dell’impresa.

Contro la sentenza di rigetto della Corte di Appello, la società Alfa ha proposto ricorso in Cassazione per due motivi.

Con il primo mezzo la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione degli artt. 9 L.F. e 3 Reg. 1346/2000. La società ha sostenuto che l’individuazione in Italia del centro degli interessi principali della debitrice era in contrasto con i principi elaborati dalla Suprema Corte e dalla Corte di Giustizia. Ciò poiché il Tribunale e la Corte di Appello non avrebbero tenuto conto di alcuni indici, forniti nel quadro normativo, che avrebbero provato che nella nuova sede era stata esercitata l’attività economica della società e che vi era stato spostato il centro dell’attività amministrativa, organizzativa e direttiva, stante l’avvenuta cessazione dell’impresa in Italia.

La ricorrente ha poi evidenziato che l’elemento temporale a ridosso della presentazione delle istanze di fallimento attribuisce al Giudice la giurisdizione solo nel caso in cui il trasferimento di sede non sia effettivo. Ciò posto, l’effettività si sarebbe dovuta evincere dal cambiamento della compagine e dell’amministratore avvenuti poco dopo rispetto alla delibera di trasferimento e alla solo parziale cessione dell’azienda un mese prima del trasferimento. Inoltre, l’attività in Italia era venuta meno per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione dei titoli abilitativi per l’uso degli impianti produttivi.

Pertanto, secondo la ricorrente la Corte di Appello avrebbe: a) motivato apoditticamente; b) enfatizzato l’asserita esistenza di un rapporto di lavoro del nuovo amministratore con una società terza, fatto di cui non era stata fornita prova e che, in ogni caso, non violerebbe alcuna norma dal momento che non è vietata la simultaneità del rapporto di lavoro e l’assunzione di una carica amministrativa in diverso ente societario; c) affermato erroneamente la coincidenza, al momento del trasferimento, della sede sociale estera con lo studio di un professionista, trasferimento solo successivo; d) errato nell’attribuire rilevanza alla mancanza di data certa dei preventivi depositati a sostegno dello svolgimento in concreto di attività economica all’estero.

Col secondo motivo di ricorso, la ricorrente ha censurato la sentenza della Corte di Appello per violazione o falsa applicazione dell’art. 18 L.F. Secondo la ricorrente, infatti, la Corte non avrebbe svolto supplementi istruttori officiosi per stabilire la fittizietà del trasferimento della sede, non curandosi dell’acclarata assenza in Italia di elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi, in grado di determinare l’effettività di una situazione diversa da quella presumibilmente corrispondente alla sede statutaria. Questo aspetto è ritenuto dalla ricorrente di particolare gravità, dal momento che non spetta alla società nei cui confronti sia stata presentata un’istanza di fallimento, dimostrare la coincidenza tra i centro effettivo dei propri affari e la nuova ubicazione della sede sociale.

La Suprema Corte ha ritenuto di poter esaminare i due motivi di ricorso unitariamente, in ragione della connessione.

In prima analisi, la Corte ha evidenziato come sia stato erroneamente ricostruito il quadro normativo applicabile ratione temporis sia dalla ricorrente che dalla Corte di Appello.

Trattandosi di un fallimento il cui ricorso è stato depositato nel 2018, trova applicazione il Reg. 848/2015 (applicabile da fine giugno 2017) e non il Reg. 1346/2000.

La Corte ha ritenuto in ogni caso opportuno dare atto del margine di differenza che intercorre tra le discipline dei due Regolamenti, relativamente al COMI (centre of main interest). Il COMI è un concetto giuridico che è utilizzato per ripartire la giurisdizione in caso di insolvenza transfrontaliera.

Il Reg. 1346/2000, riprendendo quanto previsto dalla Model Law elaborata dall’Uncitral, conteneva un riferimento alla presunzione di coincidenza tra COMI e sede legale senza, tuttavia, fornire una definizione compiuta della nozione di COMI. Il concetto di COMI era ricavabile dal combinato disposto dell’art. 3 e del Considerando 13.

L’articolo 3 comma 1 disciplina la giurisdizione internazionale e prevede che la competenza ad aprire una procedura di insolvenza spetti al Giudice dello Stato membro nel cui territorio sia situato il centro degli interessi principali del debitore. Nel caso di società e persone giuridiche, il centro degli interessi principali si presume coincidere, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria.

Il Considerando 13 chiarisce che per centro degli interessi principali si deve intendere il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi.

Il Reg. 848/2015, che ha sostituito ed abrogato il Reg. 1346/2000, ha esplicitato la definizione di COMI inserendo all’art. 3 un inciso conforme a quanto già accennato nel Considerando 13 del Reg. 1346/2000 e in linea con l’interpretazione della Corte di Giustizia.

Ai sensi dell’art. 3 del Reg. 848/2015, è competente ad aprire la procedura di insolvenza il Giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Inoltre, il centro degli interessi principali del debitore è inteso come il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi.

La Corte ha ulteriormente evidenziato che anche in base al più recente Reg. 848/2015, opera la presunzione di coincidenza tra il COMI e la sede legale. Tuttavia, la presunzione opera se la sede non sia stata trasferita in altro Stato membro nei tre mesi precedenti la domanda di apertura della procedura di insolvenza.

Questa previsione è di particolare importanza perché ha risolto le questioni circa il trasferimento della sede nel c.d. periodo sospetto, che determina una inversa presunzione di fraudolenza.

La Corte, nell’esaminare il caso sottoposto alla sua attenzione, ha preso atto del trasferimento della sede un anno prima della presentazione dell’istanza di fallimento, e quindi in un periodo precedente rispetto a quello ritenuto sospetto. Fatto che confermerebbe l’operatività della presunzione circa la coincidenza tra COMI e sede statutaria.

Tuttavia, ha ricordato che l’operatività della presunzione viene meno nel caso in cui nella nuova sede non sia esercitata in maniera effettiva l’attività economica e (soprattutto) non sia stato ivi spostato il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa. In questo caso, il trasferimento deve considerarsi fittizio.

L’individuazione del COMI, secondo la Corte, va così effettuata in base a valutazioni di fatto.

La Corte di Appello ha correttamente fondato l’affermazione della giurisdizione del Giudice italiano sull’accertamento di una situazione in concreto diversa rispetto a quella che risultava dalle indicazioni ufficiali desumibili dal Registro delle imprese. Infatti, la Corte di Appello ha tenuto in considerazione indici quali la tempestività del trasferimento della sede dopo la notifica di cartelle esattoriali per un ammontare considerevole, l’assenza dello svolgimento di attività di produzione nella nuova sede e il mancato trasferimento del centro dell’attività direttiva amministrativa e organizzativa dell’impresa.

La Corte, da ultimo, ha ricordato come sia vano insistere sull’avvenuta cancellazione della società dal Registro delle imprese.

Ciò poiché, nel caso in cui la cancellazione sia avvenuta quale conseguenza di un trasferimento all’estero della sede legale, il successivo accertamento della fittizietà del trasferimento non è precluso dalla circostanza che non sia preventivamente intervenuto, alla stregua dell’art. 2191 c.c., alcun provvedimento di segno opposto alla cancellazione.

Per fornire la prova contraria a quanto risulti dalla pubblicità legale relativa all’impresa non è necessario ottenere preventivamente dal Giudice del registro una pronuncia che ripristini, anche dal punto di vista formale, la corrispondenza tra la realtà effettiva e quanto risulti dal registro.

Così esaminata la questione sottoposta al suo vaglio, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.