Regolamento contrattuale e limiti a lavori nelle parti esclusive che impattino sul decoro
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF“Allorché una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, obblighi i condomini a richiedere il parere vincolante della assemblea per l’esecuzione di opere che possano pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio, la deliberazione che deneghi il libero consenso all’intervento progettato, ritenendo lo stesso lesivo della estetica del complesso, può essere oggetto del sindacato dell’autorità giudiziaria, agli effetti dell’art. 1137 c.c., soltanto al fine di accertare la situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento il presupposto indefettibile per controllare la legittimità della delibera.”
CASO
Tizio impugnava avanti il tribunale la delibera assembleare del 2013 in quanto, a suo dire, era contraddittoria e viziata da eccesso di potere rispetto ad una precedente delibera del 2012, nella parte in cui non consentiva a Tizio la possibilità di ampliamento del proprio immobile ritenendolo, secondo l’assemblea condominiale, lesivo dell’estetica e de decoro del fabbricato nel suo complesso.
Il Condominio resisteva all’impugnativa proposta.
Il Tribunale di Brescia, espletata le necessarie istruzioni probatorie, con sentenza provvedeva all’annullamento della delibera assembleare del 2013, accogliendo le ragioni di Tizio.
Con l’appello proposto dal Condominio la corte territoriale, respingendo il gravame, riteneva che la semplice affermazione per il diniego all’ampliamento era stata avanzata senza contestazioni in merito alla mancata allegazione di progetti presentati al Comune per ottenere l’autorizzazione amministrativa in sanatoria, negando nel resto, che il giudice di primo grado avesse espresso un giudizio di opportunità o convenienza avendo invece esercitato un controllo di legittimità legata al vizio e alla mancanza di motivazione del diniego. Veniva infatti sottolineato come la delibera del 2012 concedesse la possibilità di incremento, secondo le normative vigenti, del volume individuale delle villette di proprietà esclusiva dei condomini, tra cui quella di Tizio, prevedendosi una presa visione dei progetti da presentare in Comune, prima della accettazione in ultima istanza dell’assemblea. Talché, la successiva accettazione non contemplava una podestà di gradimento svincolata da un obbligo di motivazione necessario ai fini della compressione del diritto di proprietà dei singoli, neppure ai sensi dell’art. 13 del regolamento condominiale.
Avverso alla sentenza di gravame, il Condominio proponeva ricorso per cassazione, incontrando le resistenze di Tizio.
SOLUZIONE
La Suprema Corte accolse il secondo e terzo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti i restanti motivi, cassando la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e disponendo il rinvio, anche in merito alle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione.
QUESTIONI
Attraverso la presentazione di un ricorso articolato in cinque motivi, il Condominio denuncia plurime violazioni ricondotte a quella degli artt. 1137, 1109 c.c. e a quella degli artt. 1362, 1322 e 1372 c.c.,112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma I, n.3 nonché l’omesso esame circa un fatto storico ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma I, n.5.
I ricorrenti sottolinearono come la Corte d’appello abbia esercitato un controllo di merito sulla deliberazione impugnata, affermando peraltro che nel regolamento non è previsto alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell’art.1122 c.c. e che l’art.13 del regolamento condominiale prevedeva solo un obbligo di preventiva informazione, negando così efficacia al patto con il quale i condomini avevano attribuito all’assemblea il potere di manifestare un parere vincolante sulle opere private che concorrono all’estetica, omettendo inoltre di argomentare in ordine all’eccezione del Condominio per cui i disegni presentati in assemblea circa l’ampliamento fossero abnormi. Del resto, si eccepiva l’omesso esame di un fatto quale la mancata valutazione del raffronto tra la nuova costruzione ed il resto degli edifici e delle aree verdi.
Lette le argomentazioni presentate nel ricorso, la Suprema Corte ritenne fondato il secondo e terzo motivo di cassazione della sentenza di gravame, rimanendo assorbite le restanti censure che, per effetto dell’accoglimento di tali motivi, risultano prive di immediata rilevanza decisoria.
Innanzitutto, il collegio sottolineò come non fosse discutibile il principio per cui le modifiche alle parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’art. 1102 c.c., che possono essere apportate dal singolo condomino, non richiedono alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea, salvo tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini mediante esercizio di autonomia privata. A tale autorizzazione deve attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante. Ne consegue che in assenza di un obbligo di preventiva autorizzazione assembleare imposto per contratto, il condomino non ha neppure interesse ad agire per l’impugnazione della delibera, non generando la stessa un pregiudizio tale da determinare la pretesa ad un diverso contenuto dell’assetto organizzativo oggetto della delibera assembleare.
Ancora, l’art. 1122 c.c. fa divieto al singolo condomino di eseguire nell’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva opere che rechino danni alle parti comuni ovvero che determinino un pregiudizio alla stabilità, sicurezza o decoro architettonico. Nel caso in cui il condomino volesse procedere a lavori sulla sua proprietà od uso individuale ex 1122, II comma c.c. deve darne preventiva notizia all’amministratore il quale è tenuto a riferire in assemblea al fine di adottare eventuali iniziative. Al contrario, come nel caso di specie, vi è una convenzione che impone il consenso.
Infatti, la giurisprudenza riconosce all’autonomia privata la possibilità di “stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà.”
Tanto precisato, il principio sopradetto dovrà necessariamente essere modulato in ragione delle specifiche circostanze della fattispecie e, dunque, sarà imperativo valutare se al concetto di decoro architettonico, quale criterio attraverso il quale determinare limitazioni ai diritti dei condomini, sia stata data una definizione più rigorosa di quella accolta dagli artt. 1120 e 1122 c.c. e supposta dall’art. 1102 c.c. arrivando ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla “simmetria, all’estetica ed all’aspetto generale dell’edificio”. Ne consegue che il condomino non possa sottrarsi alla disposizione del regolamento che limiti i suoi diritti imponendo la preventiva autorizzazione dell’assemblea per eseguire qualsiasi lavoro sulle cose comuni o sulle parti esclusive.
Tale tema era già stato affrontato dalla stessa Suprema Corte, pochi mesi prima della pubblicazione della sentenza qui commentata, nella decisione del 8 aprile 2022 n. 11502, la quale aveva esposto con grande chiarezza come fosse ormai riconosciuta all’autonomia privata “la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà. Inoltre, il regolamento può validamente derogare alle disposizioni dell’articolo 1102 c.c., ed arrivare al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica ed all’aspetto generale dell’edificio[1]”.
Di fatto, ai fini dell’art.1362, I comma c.c., i giudici di Cassazione si espressero anche in riferimento alle modalità attraverso cui l’interprete deve indagare rispetto a quale sia stata la comune intenzione delle parti, senza limitarsi al senso delle parole, evidenziando come in forza della chiarezza e univocità della volontà, in mancanza di divergenza tra lettera e spirito della convenzione, non è ammissibile una diversa interpretazione.
Posto che nella fattispecie in esame, l’art. 13 del regolamento del Condominio subordina l’esecuzione individuale di opere al “parere vincolante dell’assemblea”, che obbliga ad uniformarsi al suo contenuto, non può dubitarsi che l’assemblea condominiale abbia esercitato la prerogativa di esprimere il consenso alle opere eseguite dai singoli condomini.
Peraltro, le deliberazioni dell’assemblea aventi contenuto negativo sono legittimamente impugnabili dinanzi l’autorità giudiziaria dal condominio tenuto a provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l’invalidità della stessa. Dunque la verifica di legittimità postulata dall’art. 1137 c.c. non esclude la possibilità di accertamento della situazione di fatto alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento presupposto per controllare la rispondenza della delibera alla legge.
Tale interpretazione si trova in perfetta continuità con quanto stabilito dagli stessi giudici di legittimità, da ultimo, nell’ordinanza n. 29924/2019, la quale ha sancito che nel caso in cui ci sia una clausola del regolamento condominiale, di natura convenzionale, che imponga il consenso preventivo dell’assemblea condominiale per opere compiute dai singoli condomini che possano modificare le parti comuni dell’edificio, pur dovendo riconoscere alla stessa assemblea la facoltà di ratificare o convalidare ex post le attività compiute da uno dei partecipanti in difetto della necessaria e preventiva autorizzazione assembleare, resta comunque l’interesse di ciascun condomino ad agire in giudizio per contestare l’uso fatto della cosa comune e il potere dell’assemblea di consentirlo, qualora risulti lesivo del decoro architettonico dell’immobile condominiale.
In ragione di tali motivazioni, la Corte di Cassazione dispose l’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti i restanti motivi, cassando la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e disponendo il rinvio, anche in merito alle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione.
[1] In tal senso la sentenza di questa Corte nn. 28465/19; 29924/19; 30528/17; 1680/75; 1748/13; 8883/05; 11268/98; 4509/97.
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