4 Marzo 2025

Regolamento di condominio e divieti di destinazione (“ B&B, Case alloggio”)

di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, ordinanza 4 febbraio 2025, n. 2770, Presidente A. Carrato, estensore A. Scarpa

Massima:Le norme del regolamento di condominio che impongono divieti di destinazione ed altre limitazioni similari all’uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva concorrono ad integrare la disciplina delle cose comuni dell’edificio, in quanto dirette ad impedire un uso abnorme delle stesse in conseguenza di situazioni e comportamenti che non si esauriscano nello stretto ambito delle proprietà esclusive. In caso di violazione di tali prescrizioni, l’amministratore del condominio, indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico con deliberazione può agire per far osservare le limitazioni imposte dal regolamento”.

CASO

Il Condomino Alfa convenne dinanzi al Tribunale di Palermo il condomino Tizio, proprietario di un appartamento sito nel condominio, e Caio, conduttore di tale immobile.

Il Condominio Alfa chiedeva che il Tribunale dichiarasse la cessazione dell’attività di B&B intrapresa dal conduttore Caio nell’appartamento di Tizio, in quanto siffatta attività sarebbe stata in contrasto con le disposizioni contenute nel regolamento condominiale avente natura contarttuale, trascritto nei pubblici registri, in cui si vietavano espressamente “di destinare gli appartamenti ed altri locali interni ad uso di qualsiasi industria, casa di alloggio, ambulanza, sanatorio, gabinetti per la cura di malattie infettive contagiose, agenzie di pegni, come è pure vietato di farne uso comunque contrario al decoro, al buon nome ed alla sicurezza del fabbricato, o che turbi comunque il pacifico godimento singolo o collettivo […]”.

In tale giudizio, a sua volta il conduttore Caio, esercente attività di B&B, chiedeva la condanna del locatore Tizio al risarcimento del danno che avrebbe subìto, nel caso in cui la domanda svolta dall’attore fosse stata accolta.

Il Tribunale del capoluogo siciliano accoglieva la domanda del Condominio e dichiarava che l’uso ad attività di “bed and breakfast” cui era stato destinato l’appartamento di Tizio, facente parte del condominio in questione, violava il regolamento condominiale e, pertanto, condannava i convenuti alla chiusura dell’esercizio.

Tizio e Caio appellavano la suddetta sentenza, ma risultavano soccombenti anche in secondo grado, poiché la Corte d’Appello di Palermo confermava quanto statuito nella pronuncia di primo grado.

Tizio e Caio proponevano quindi ricorso per cassazione per la riforma della sentenza della Corte territoriale che inibiva l’esercizio di attività di B&B nel Condominio Alfa.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza 4 febbraio 2025, n. 2770, ha rigettato tutti i motivi di ricorso poiché infondati, per i motivi di seguito analizzati aventi ad oggetto, nello specifico, l’interpretazione delle disposizioni regolamentari che limitano o precludono di destinare gli immobili siti nel condominio ad attività ricettive, nel caso di specie “case alloggio” e attività di B&B, nonché i requisiti che devono rispettare tali divieti ai fini della loro piena validità ed opponibilità ai terzi.

QUESTIONI

La pronuncia in esame assume particolare rilevanza nella disciplina dei rapporti condominiali, in un contesto in cui l’esercizio di attività ricettive di tipo alberghiero all’interno degli edifici residenziali è sempre più frequente, datane la redditività.

Tale decisione costituisce, dunque, un ulteriore tassello nella definizione dei confini tra libertà di destinazione delle unità immobiliari e diritti della collettività condominiale.

  1. Opponibilità della clausola limitativa.

Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione o falsa applicazione delle norme in materia di trascrizione (artt. 2655-2659 c.c.), per l’inopponibilità al ricorrente (il conduttore che aveva adibito l’appartamento ad attività ricettiva) della clausola limitativa contenuta nel regolamento condominiale.

Uno degli aspetti centrali della pronuncia riguarda la questione dell’opponibilità della clausola regolamentare che vieta la destinazione degli appartamenti ad usi specifici.

La Suprema Corte ribadisce che le restrizioni all’uso delle unità immobiliari esclusive, qualora derivanti da un regolamento condominiale di natura contrattuale, trascritto nei pubblici registri, assumono la natura di servitù reciproche. Ne consegue che tali limitazioni sono opponibili non solo ai condomini originari ma anche agli acquirenti successivi, purché la trascrizione del regolamento sia eseguita in conformità ai dettami degli agli artt. 2659 e 2665 c.c..[1]

La decisione in commento respinge le doglianze del ricorrente relative alla pretesa inopponibilità della clausola per inesattezze nella nota di trascrizione, ritenendo che tali questioni non potessero essere sollevate per la prima volta in sede di legittimità, confermando l’applicabilità dell’art. 1940 del Codice civile del 1865, vigente al momento della trascrizione del regolamento condominiale contenente le suddette limitazioni.

Gli ermellini hanno rilevato che il contenuto sostanziale della nota di trascrizione andrebbe valutato alla stregua del disposto dell’art. 1940 del Codice civile del 1865 che, diversamente da quanto disposto dall’art. 2665 dell’attuale Codice civile, faceva riferimento ai vizi della nota che inducessero in una assoluta incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto.

Nella vigenza dell’art 1940 del codice previgente si affermava in giurisprudenza che, perché potesse considerarsi efficacemente trascritto anche il negozio costitutivo di servitù (reciproche, nella specie), bastava che dal contenuto della nota di trascrizione fossero individuabili la natura della servitù stessa ed i fondi cui ineriva e tali requisiti sarebbero stati rispettati nel caso di specie.[2]

  1. Legittimazione ad agire del Condominio e dell’amministratore.

Come ribadito dagli Ermellini, è opportuno premettere che l’azione promossa dal condominio, diretta a garantire l’osservanza del regolamento ed a far riconoscere in giudizio l’esistenza della servitù che limiti la facoltà del proprietario della singola unità di adibire il suo immobile a destinazioni non consentite, si configura, invero, come confessoria servitutis, e perciò vede quale legittimato dal lato passivo in primo luogo colui che, oltre a contestare l’esistenza della servitù, abbia un rapporto attuale con il fondo servente (proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale sul fondo o possessore suo nomine), potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento, contenente, anche implicitamente, l’ordine di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti del titolare della servitù o di rimessione in pristino. Invece, gli autori materiali della lesione del diritto di servitù possono essere eventualmente chiamati in giudizio quali destinatari dell’azione ex art. 1079 c.c., ove la loro condotta si sia posta a titolo di concorso con quella di uno dei predetti soggetti o abbia comunque implicato la contestazione della servitù.[3]

Venendo invece all’esame della legittimazione attiva, occorre evidenziare che le norme del regolamento di condominio che impongono divieti di destinazione ed altre limitazioni similari all’uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva concorrono ad integrare la disciplina delle cose comuni dell’edificio, in quanto dirette ad impedire un uso abnorme delle stesse in conseguenza di situazioni e comportamenti che non si esauriscano nello stretto ambito delle proprietà esclusive. Per tale ragione la Suprema Corte ha riconosciuto la legittimazione del condominio a promuovere l’azione confessoria servitutis, diretta a far valere il divieto imposto dal regolamento condominiale.

Tale legittimazione si fonda, dunque, sulla tutela dell’interesse comune dei condomini e della disciplina dell’edificio condominiale unitariamente considerato. Pertanto, l’amministratore, ai sensi dell’art. 1130 c.c., può autonomamente agire per far cessare l’uso difforme delle unità immobiliari, senza necessità di una specifica delibera assembleare.

  1. Natura dell’attività di Bed & Breakfast e divieti regolamentari.

Con il secondo motivo di ricorso è stata censurata l’interpretazione che la Corte territoriale aveva svolto in ordine alla portata delle disposizioni contenute nel regolamento condominiale che vietavano ai condomini “di destinare gli appartamenti ed altri locali interni ad uso di qualsiasi industria, “casa di alloggio””, nel senso che tale divieto potesse comprendere l’attività di B&B, in quanto ontologicamente sovrapponibile a quella di “casa alloggio”.

Come sostenuto da un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all’interno delle unità immobiliari esclusive, poiché costituiscono servitù reciproche, devono perciò essere approvate o modificate mediante espressione di una volontà contrattuale e, quindi, con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi acquirenti, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione del relativo peso in conformità alle norme sulla trascrizione di cui al Codice civile.[4]

I suddetti divieti, imponendo limitazioni costituenti servitù reciproche, devono essere formulati nel regolamento in modo chiaro ed esplicito e devono desumersi in termini univoci dall’atto scritto. Soltanto nelle ipotesi in cui siano integrati entrambi i suddetti presupposti (formulazione chiara e univoca, trascrizione dell’atto nei pubblici registri) potrà verificarsi la costituzione convenzionale delle reciproche servitù, essendo in tali casi chiara la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario.

La condivisa esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate. L’art. 1362 c.c., del resto, allorché nel primo comma prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.

Sulla scorta di tali presupposti, nel caso di specie la Suprema Corte ha rilevato che l’interpretazione prescelta dalla Corte territoriale in ordine al divieto, dettato dalle disposizioni del regolamento condominiale, di destinare le unità immobiliari a “casa di alloggio”, come preclusivo anche dell’attività di B&B, “non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l’intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua, rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimità l’interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l’unica possibile, né la migliore in astratto. I bed and breakfast sono, secondo comune accezione, strutture ricettive a conduzione ed organizzazione familiare, gestite da privati in forma non imprenditoriale, che forniscono, per l’appunto “alloggio” (e prima colazione) utilizzando parti della stessa unità immobiliare”.

La Cassazione, dunque, ha confermato l’orientamento secondo cui il divieto di destinare le unità immobiliari a case di alloggio si estende anche ai Bed & Breakfast, trattandosi di attività ontologicamente assimilabili per natura e finalità.[5] Tale interpretazione si inserisce nel solco di una giurisprudenza che valorizza l’intenzione dei condomini originari di preservare la destinazione abitativa dell’edificio, evitando usi suscettibili di incidere sulla sicurezza, sul decoro e sulla tranquillità del condominio.

[1] Sul punto si vedano le seguenti recenti pronunce della Suprema Corte: Cassazione civile, sez. II, ordinanza 25 gennaio 2024, n. 2403; Cassazione civile, sez. II, sentenza 30 maggio 2023, n. 15222.

[2] Cassazione civile, n. 587 del 1971.

[3] Cfr. sempre Cass. n. 2403/2024 e n. 15222/2023.

[4] Da ultimo, Cassazione civile, sez. II, sentenza 9 agosto 2022, n. 24526.

[5] Si veda anche Cassazione civile, sez. II, ordinanza 9 maggio 2023, n. 12259.

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