Reati 231: la prescrizione si interrompe con la richiesta di rinvio al giudizio depositata
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCass. pen., Sez. IV, Sentenza, 31 gennaio 2022, n. 3287
Parole chiave: Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società – Associazioni o enti privi di personalità giuridica – In genere – Prescrizione penale
Massima: “Con riferimento agli illeciti di cui al D. Lgs. n. 231 del 2001, la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell’illecito amministrativo, interrompe, per il sol fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.”
Disposizioni applicate: Artt. 22 e 59 del D. Lgs. n. 231 dell’8 giugno 2001, art. 2945 c.c.
Nel caso in esame, il Tribunale di prime cure aveva ritenuto che non si dovesse procedere nei confronti di una società a responsabilità limitata per intervenuta prescrizione dell’illecito di cui all’art. 25-septies, comma 3 del D. Lgs. n. 231 del 2001, in relazione al reato di cui all’art. 590 c.p., comma 3, commesso dall’amministratore unico di tale società.
In particolare, il Tribunale aveva fondato la propria decisione sul fatto che, a norma dell’art. 22 del D. Lgs. n. 231 del 2001 in materia di prescrizione dell’illecito amministrativo dipendente da reato dell’ente, il termine di prescrizione è di cinque anni dalla data di commissione dell’illecito.
Il Tribunale di prime cure aveva inoltre precisato che l’interruzione di tale termine a norma del secondo comma dell’art. 22 del D. Lgs. n. 231 del 2001 avviene a seguito mediante la contestazione dell’illecito amministrativo fatta a norma dell’art. 59 del D. Lgs. n. 231 del 2001, richiamando a tale riguardo una sentenza di legittimità (Cass. pen., Sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 18257), secondo cui la richiesta di rinvio a giudizio produce il suddetto effetto interruttivo, in quanto atto di contestazione dell’illecito, soltanto se, oltre ad essere stata emessa, sia stata altresì notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto.
Orbene, nel caso di specie, il decreto di rinvio a giudizio era stato ritualmente oltre tale termine di cinque anni e pertanto il Tribunale aveva dichiarato che l’illecito contestato fosse estinto per prescrizione. Il Procuratore generale della Repubblica aveva quindi proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione di primo grado.
Ciò premesso, la sentenza in esame consente di interrogarci su quale sia il momento in cui, una volta contestato l’illecito, si producono gli effetti interruttivi della prescrizione delle sanzioni amministrative.
A norma dell’art. 22 del D. Lgs. n. 231 del 2001, la richiesta di rinvio a giudizio dell’ente determina l’interruzione della prescrizione, la quale ricomincia a decorrere quando la sentenza che definisce il giudizio passa in giudicato.
La sentenza di legittimità citata dal Tribunale di prime cure[1] non individuava l’atto interruttivo del termine di prescrizione nell’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, bensì nella sua notifica, conferendo quindi la natura di atto recettizio al decreto di rinvio a giudizio. A sostegno della sua tesi, la Sesta Sezione penale della Corte di legittimità aveva affermato che l’art. 11 della legge n. 300 del 2000 prevede espressamente, alla lettera r), che le sanzioni amministrative ivi contemplate si prescrivono nel termine di cinque anni dalla consumazione dei reati ivi specificati e che l’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile. Orbene, secondo la Seste Sezione penale, a norma del codice civile, l’effetto interruttivo della prescrizione si ottiene con la portata a conoscenza dell’atto nei confronti del debitore (contrariamente a quanto avviene nel diritto penale in cui la prescrizione si verifica se manca l’esercizio dell’azione penale, senza che rilevi la notifica del provvedimento).
Gli ermellini non hanno tuttavia mancato di sottolineare come tale precedente di legittimità costituisse un orientamento interpretativo isolato e superato dal più recente e costante orientamento giurisprudenziale in senso contrario, secondo cui “la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell’illecito amministrativo, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio” (vedasi fra le tante Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 21 febbraio 2022, n. 5869, Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 16 aprile 2020, n. 12278, Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 9 aprile 2019, n. 30634 e Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 22 settembre 2015, n. 50102).
Infatti, l’orientamento di legittimità maggioritario (e più recente) considera che sia determinante l’art. 59 del D. Lgs. n. 231 del 2001 che, come noto, al primo comma, rinvia all’art. 405 c.p.p., il quale indica che il pubblico ministero esercita l’azione penale anche con richiesta di rinvio a giudizio, senza pertanto che sia necessaria la sua notifica alle parti.
Infine la Suprema Corte conclude indicando che, essendo l’interruzione della prescrizione posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, il regime debba essere quello previsto per l’interruzione della prescrizione nei confronti dell’imputato e coincidere con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, senza che rilevi la sua notifica, il che fa pensare/temere che la prescrizione nel quadro del D. Lgs. n. 231 del 2001 possa venire considerata dagli ermellini un istituto a geometria variabile.
[1] Cioè la precitata Cass. pen., Sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 18257.
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