29 Novembre 2016

Il rapporto tra institutio ex re certa e divisione del testatore

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

 

L’articolo 588 cod. civ. stabilisce, al primo comma, un criterio di interpretazione oggettivo sul quale si fonda la distinzione tra eredità e legato, a seconda che vi sia stata o meno l’attribuzione dell’universalità o di una quota dei beni del testatore.

Il secondo comma fissa, invece, un criterio di interpretazione soggettivo: l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.

L’institutio ex re certa è, dunque, caratterizzata dal fatto che la quota attribuita al beneficiario non viene stabilita direttamente dal testatore, ma diviene determinabile solo a posteriori, in relazione al valore dei beni assegnati, rispetto all’intero patrimonio ereditario.

La dottrina si interroga da tempo su quale sia il rapporto e quali le differenze tra la institutio ex re certa e la divisione operata dal testatore ai sensi dell’art. 734 c.c., posto che attraverso entrambe dette figure può addivenirsi al risultato finale di un’attribuzione, a titolo di erede, di specifici beni individuati dal testatore.

Ai fini dell’indagine, è opportuno, preliminarmente, approfondire alcuni caratteri della divisione e, in particolare, l’ammissibilità o meno di una divisione senza predeterminazione di quote.

Nella generalità dei casi, il testatore previamente istituisce eredi determinati soggetti in quote specificamente individuate, per poi attribuire loro beni di valore pari alla quota. In tali ipotesi, non sorge alcuna necessità di coordinamento o confronto tra gli istituti in esame: l’indicazione espressa dei chiamati a titolo di erede, esclude in radice la possibilità che venga in esame il disposto dell’articolo 588, 2° comma, c.c..

Il testatore, tuttavia, potrebbe limitarsi ad una istituzione ad erede, senza indicare la quota attribuita, e poi attribuire i beni che dovranno comporre – e, quindi, determinare proporzionalmente rispetto al patrimonio ereditario – la quota attribuita.

È soprattutto tale tipo di divisione che, se ritenuta ammissibile anche per il caso in cui il testatore prescinda addirittura da una preventiva espressa istituzione di erede, potrebbe ingenerare confusioni e sovrapposizioni con la institutio ex re certa.

E, secondo parte della dottrina, in tal caso non vi sarebbe una duplicità di fattispecie in quanto la institutio non sarebbe altro che uno dei possibili mezzi tecnici per operare una divisione da parte del testatore. Questi ben potrebbe perseguire il risultato divisorio attraverso un fascio di istituzioni ex certis rebus, venendosi in tal caso a riunire l’effetto dispositivo della vocazione ereditaria e l’effetto distributivo divisorio.

Per i sostenitori di tale teoria, l’articolo 588, 2° comma, c.c. qualificherebbe, permettendo di interpretare la disposizione come legato o attribuzione a titolo di erede; mentre l’articolo 734 del codice civile regolerebbe, disciplinando le conseguenze di una così congegnata divisione.

Dall’accoglimento della tesi testé esposta, discendono conseguenze in ordine alla disciplina applicabile. Il calcolo della quota di spettanza di ciascun erede, infatti, dovrà avvenire necessariamente ex post, mettendo in rapporto il valore dei singoli beni assegnati con l’intero patrimonio ereditario. Non potrà, poi, trovare applicazione l’articolo 735 cod. civ. (che prevede la nullità della divisione ove essa non comprenda alcuni degli eredi istituiti) posto che istituzione e divisione coincideranno. Inapplicabile sarà, altresì, il rimedio della rescissione per lesione di cui all’articolo 763 cod. civ, essendo esclusa in radice una qualsivoglia sproporzione tra quota e bene assegnato.

Altra dottrina, ritiene non vi sia alcuna sovrapposizione tra le due figure in esame poiché per potersi avere la vera e propria divisione del testatore, come disciplinata dall’articolo 734 c.c., sarà necessaria l’espressa predeterminazione delle quote ereditarie. Tale teoria parte dal presupposto che non sia possibile configurare una divisione senza predeterminazione di quote e ciò in ragione della presenza di norme come l’articolo 763 c.c. che prevede la rescissione per lesione qualora il valore dei beni assegnati ad alcuno dei coeredi sia inferiore di oltre un quarto all’entità della quota ad esso spettante: solo, ovviamente, in presenza di quote determinate potrebbe trovare applicazione tale normativa. È proprio l’esistenza di norme quali gli articoli 763 e 735 cod. civ. ad essere prova dell’estraneità delle due figure.

Da ciò, si fa discendere la conseguenza che tutte le ipotesi in cui non vi sia tale determinazione, non rientrino nella divisione prevista dall’articolo 734 cod. civ., ma siano esemplificazione di institutiones ex certis rebus.

A questa tesi si ribatte che essa fa discendere conseguenze corrette da un presupposto errato, ossia l’inammissibilità di una divisione senza predeterminazione di quote; una volta che si ammette, come dalla dottrina e giurisprudenza assolutamente maggioritarie ritenuto, tale figura, vengono meno le obiezioni sollevate.

Sembra, ad oggi, ancora prevalere la teoria, accolta da parte della dottrina e della giurisprudenza, che, pur ritenendo ammissibile la divisione anche in assenza di quote predeterminate, individua nella preventiva istituzione di erede il carattere distintivo.

Solo nella divisione ai sensi dell’articolo 734 cod. civ. sarebbe necessaria una preventiva indicazione di erede che, per definizione, manca nella institutio.

Anche tale ultima tesi, tuttavia, è stata oggetto di critica, affermandosi che la previa istituzione di erede non può assumere un valore distributivo, ma solo qualificativo. Se più soggetti sono istituiti eredi con uno stesso testamento, senza ulteriore specificazione, essi devono intendersi chiamati in quote determinate, e precisamente quote uguali. In caso, invece, il testatore abbia precisato che la determinazione delle quote debba essere effettuata a posteriori ex certis rebus, avrà disposto una vera e propria institutio ex re certa.

In conclusione, deve rilevarsi come, ancora oggi, dottrina e giurisprudenza non siano addivenute ad una risposta univoca in ordine ai rapporti tra institutio ex re certa e divisione del testatore, soprattutto nell’ipotesi senza predeterminazione di quote e senza previa istituzione di erede, ove ritenuta ammissibile, sebbene a giudizio dello scrivente sembri innegabile riconoscere alla norma di cui all’articolo 588, 2° comma, cod. civ. natura di norma interpretativa e ritenere quindi che esso debba essere utilizzato al solo fine di qualificare la disposizione in termini di attribuzione a titolo particolare od universale e demandare, poi, alle norme sostanziali la regolamentazione della fattispecie così qualificata.

La institutio ex re certa e la sorte dei beni non espressamente oggetto di attribuzione
Oggetto di viva discussione è quale sorte spetti ai beni che non siano sati espressamente contemplati dal testatore (perché da lui ignorati o perché pervenutigli successivamente) e si trovino nel suo patrimonio all’apertura della successione.

In particolare, si discute se l’istituito ex re certa partecipi alla distribuzione dell’attivo ereditario di cui il testatore non abbia espressamente disposto.

Da alcuni si afferma che eventuali beni ulteriori vadano attribuiti agli eredi testamentari in proporzione alle quote come determinate a posteriori. Tale tesi si basa sulla considerazione che una volta accertata la volontà del testatore di attribuire i beni in funzione di quota, debba coerentemente ammettersi la vis espansiva di tale quota all’intero patrimonio ereditario.

Altri affermano che il testatore, attribuendo il bene determinato avrebbe non solo individuato (rectius reso individuabile) la quota attribuita, bensì anche limitato l’attribuzione stessa. Sui beni di cui egli non abbia espressamente disposto, concorrerebbero solo ed esclusivamente gli eredi legittimi, dai quali dovrebbero essere esclusi gli istituiti ex certis rebus anche qualora rivestissero tale qualifica.

Non priva di seguito è la teoria che ritiene che, sebbene l’institutio ex re certa attribuisca soltanto i beni oggetto di specifica disposizione, i beni non assegnati debbano essere attribuiti agli eredi legittimi, dovendosi comprendere tra questi anche i beneficiari della institutio, qualora rivestano tale qualifica. A sostegno di tale impostazione, viene portato il disposto del secondo comma dell’articolo 734 cod. civ., a norma del quale, se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi, sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore.

A giudizio dello scrivente, per poter dare una risposta al quesito in oggetto, non può prescindersi dalla natura che vuole riconoscersi alla institutio. È innegabile che, nel momento in cui il testatore ha redatto il testamento, ha effettuato i propri ragionamenti sulla base del patrimonio esistente a quel momento ed ha attribuito gli specifici beni quali quota del tutto così inteso. Ed è per questa ragione che il legislatore riconosce ad una tale disposizione natura di chiamata a titolo universale.

Se così è, deve coerentemente affermarsi che tale chiamata sia idonea a far acquisire al chiamato la generalità dei rapporti di cui il testatore non abbia disposto. Succedendo a titolo di erede, infatti, l’istituito diviene titolare della globalità dei rapporti facenti capo al de cuius e trasmissibili mortis causa (sia conosciuti che ignorati dal testatore al momento della redazione del testamento od anche pervenutigli successivamente).

Quanto detto finora, permette già di escludere la condivisibilità della tesi che ritiene si apra la successione legittima ma che gli istituiti, anche se dovessero rientrare in tale categoria, non concorrano alla successione su detti beni ulteriori.

Si tratta, ora, di verificare se l’espansione della quota determinata ex re certa sia sufficiente ad escludere l’operare della successione legittima.

Autorevole dottrina distingue a seconda che il testatore abbia volutamente omesso dei beni dal testamento ovvero non ne conoscesse l’esistenza o siano sopravvenuti.

Nella prima ipotesi, dovrebbe concludersi per l’apertura della successione legittima. Nella seconda ipotesi, invece, non può estendersi pacificamente tale soluzione, dovendosi evidenziare il ruolo preminente, nel campo in esame, della volontà del soggetto disponente. E la volontà del testatore deve essere individuata come volta a istituire erede in una quota (indirettamente) determinata quel soggetto, in proporzione all’intero suo patrimonio esistente al momento della redazione della scheda testamentaria.

Vi è, poi, chi esclude in radice l’apertura della successione legittima, senza distinzione alcuna, basando il proprio ragionamento sulla vis espansiva della chiamata ereditaria, non suscettibile di limitazione in assenza di una espressa volontà testamentaria differente.

Tale posizione è stata recentemente ripresa e precisata da un autorevole autore, il quale afferma che una volta accertata la volontà del testatore di assegnare determinati beni come quota di eredità, o quale chiamata universale dell’unico soggetto istituito, non possono non discenderne tutti gli effetti che il sistema, nella sua coerenza, le attribuisce ivi compresa la sua forza espansiva. Non si rinviene alcuna eccezione a tale generale principio che giustifichi una esclusione di tale effetto.

E tale impostazione sembra essere stata, da ultimo, accolta dalla Suprema Corte di Cassazione, con un recente pronunciato, ove ha affermato che “in tema di delazione dell’eredità, non ha luogo la successione legittima (nella specie, per la somma risultante da un credito su un conto corrente intestato al de cuius, non oggetto di legato) agli effetti dell’art. 457, comma 2, c.c., in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione ex re certa, tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti” (Cass. Civ., Sez. 2, sentenza dell’11 giugno 2015, n. 12158).