16 Febbraio 2021

Querela di falso ammessa (e definita con sentenza passata in giudicato) in pendenza del giudizio di verificazione di scrittura privata

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., 29 gennaio 2021, n. 2152 Pres. Spirito – Rel. Iannello

Procedimento civile – Istanza di verificazione di scrittura privata – Accertamento non definitivo dell’autenticità della sottoscrizione – Querela di falso – Ammissibilità (C.c. art. 2702; C.p.c. artt. 214, 215, 216, 221, 355) 

[1] La parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata può optare tra la facoltà di disconoscerla e la possibilità di proporre querela di falso, essendo diversi gli effetti legati ai due mezzi di tutela: la rimozione del valore del documento limitatamente alla controparte o erga omnes. Nell’ambito di uno stesso processo, qualora sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione, la querela di falso è inammissibile ove ricorrano entrambe le seguenti condizioni: a) il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione è passato in giudicato; b) la querela è proposta al solo scopo di neutralizzare detto risultato. La querela è, per converso, ammissibile ove ricorra almeno una delle seguenti condizioni: a) l’accertamento operato in sede di verificazione non è passato in giudicato; b) pur essendosi formato il giudicato sull’accertata autenticità della sottoscrizione, la querela è finalizzata a contestare (solo o anche) la verità del contenuto del documento.

[2] Ove, nonostante ricorrano le dette condizioni di inammissibilità, la querela di falso sia ugualmente, di fatto, ammessa ed esiti nell’accertamento della falsità della sottoscrizione, passato in giudicato, nel conflitto dei giudicati va data prevalenza a quello formatosi – anteriormente alla proposizione della querela – all’esito del giudizio di verificazione, sull’autenticità della sottoscrizione.

CASO

[1] Avverso il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di soggetto che risultava obbligato a titolo di fideiussore, era proposta opposizione ex art. 645 c.p.c., essenzialmente fondata sul disconoscimento della sottoscrizione apposta all’atto di coobbligazione sulla base del quale il provvedimento monitorio aveva potuto vedere la luce. Il creditore opposto aveva prontamente replicato a mezzo dell’istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. della scrittura disconosciuta: istanza sfociata nell’accertamento dell’autenticità della controversa sottoscrizione, con inevitabile e correlato rigetto dell’esperita opposizione a decreto ingiuntivo.

Il debitore soccombente proponeva allora appello, con il quale era censurato il capo della sentenza consacrante l’autenticità della sottoscrizione e, al contempo, era svolta, nei confronti della stessa scrittura, querela di falso, in ordine alla cui ammissibilità nella circostanza la Corte territoriale adita si pronunciava favorevolmente, disponendo conseguentemente nel senso della rimessione della causa di falso innanzi al tribunale competente e annessa sospensione, nella sede del gravame pendente, della causa di merito. Il giudizio di falso ribaltava gli esiti della pregressa istanza di verificazione, visto che il tribunale che ne era stato investito decretava, con sentenza non fatta segno di gravame e, dunque, passata in giudicato, la falsità della scrittura con cui la garanzia fideiussoria in discussione era stata rilasciata. Riassunto il procedimento d’appello sospeso, questo non poteva, allora, che mettere capo alla riforma della sentenza impugnata, sancendo, pertanto, l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo a suo tempo promossa.

Ad intraprendere le vie del giudizio di legittimità era, quindi, il creditore opposto, che le proprie doglianze contro la pronuncia della Corte d’appello veniva a condensare in un unico motivo di ricorso, con il quale era denunciato l’errore perpetrato dalla medesima nell’aver reputato ammissibile la querela di falso proposta dall’avversario ancorché avente ad oggetto la sottoscrizione di un atto la cui autenticità era già stata proclamata nella distinta sede dell’incidente di verificazione ex art. 216 c.p.c.

SOLUZIONE

[1] A sostegno del motivo di gravame testé riportato, il ricorrente ha dedotto il precedente costituito da Cass., 28 febbraio 2007, n. 4728, a tenore della quale, se la parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata può optare tra la facoltà di disconoscerla e la possibilità di proporre querela di falso, una volta, però, che essa abbia optato per il disconoscimento e a questo sia seguita la verificazione, la querela di falso diviene inammissibile, ove proposta al solo scopo di neutralizzare il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione (sulla stessa linea, Cass., 17 febbraio 2020, n. 3891): e ciò, in quanto «la querela che fosse ammessa per impugnare la riferibilità verificata del documento a chi appare esserne autore potrebbe produrre insanabili contraddizioni all’interno dello stesso giudizio, nel quale al risultato della verificazione si opporrebbe quello derivato dall’esito della querela, eventualmente di segno contrario, sullo stesso oggetto della controversia».

Nella presente occasione, però, la Suprema Corte ha preso le distanze da quell’impostazione, alla quale ha opposto il rilievo secondo cui l’affermazione che, per evitare l’esito dell’apertura di insanabili contraddizioni all’interno del giudizio, la querela successiva alla verificazione non va in ogni caso ammessa, significherebbe, in realtà, «rimuovere il problema ovvero risolverlo con l’attribuzione della prevalenza, sempre e comunque, alla verificazione, senza però fornire di ciò una spiegazione esauriente, che non sia il dato meramente cronologico della sua anteriorità rispetto alla proposizione della querela di falso».

Ad avviso del giudice di legittimità, la soluzione al problema è, invece, direttamente ritraibile dal dettato normativo e, precisamente, dal raccordo delle previsioni dell’art. 221, 1° comma, c.p.c. – «La querela di falso può proporsi tanto in via principale quanto in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio, finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato» – con quelle del successivo art. 355 – «Se nel giudizio d’appello è proposta querela di falso, il giudice, quando ritiene il documento impugnato rilevante per la decisione della causa, sospende con ordinanza il giudizio e fissa alle parti un termine perentorio entro il quale debbono riassumere la causa di falso davanti al tribunale» -, alla cui stregua si deve assumere che la presentazione della querela di falso sia consentita in ogni stato e grado del procedimento con nessun altro limite, a pena di violazione dei canoni di cui agli artt. 24 e 111 Cost., che quello rappresentato dalla presenza sulla scena di un giudicato sulla verità del documento.

La sentenza prosegue osservando che, mentre la verità del documento cui allude il predetto art. 221 1° co., c.p.c. è concetto che ricomprende i distinti profili della genuinità della dichiarazione documentale e dell’autenticità della relativa sottoscrizione, l’incidente della verificazione di scrittura privata copre soltanto il secondo di quei profili. Ne discende che questo giudizio possa sbarrare il passo alla querela di falso solamente ove abbia dato luogo all’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione con sentenza passata in giudicato e la successiva azione di falso sia diretta esclusivamente a mettere di nuovo in discussione detta autenticità. Laddove, per converso, la strada della querela di falso resterebbe aperta: a) così nell’ipotesi in cui l’accertamento della sottoscrizione non sia passato in giudicato – nella quale eventualità la querela potrebbe riguardare anche la sola autenticità della sottoscrizione -; b) come in quella dove, pur essendo passato in giudicato l’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione operato nel giudizio di verificazione, la querela di falso sia tuttavia proposta anche o solo al fine di accertare la falsità ideologica del documento.

Per riprendere alla lettera le parole del giudicante, «nessuna ragione testuale o logica consente […] di trarre dal sistema una preclusione alla querela di falso (riguardante la sola autenticità della sottoscrizione) discendente dal solo fatto dell’anteriorità del giudizio di verificazione, il cui esito positivo non sia ancora passato in giudicato». E poiché, nella fattispecie, a un giudicato sull’istanza di verificazione non si era ancora approdati – visto che il capo della sentenza di primo grado decretante l’autenticità della sottoscrizione disconosciuta dall’opponente era stato fatto segno, da parte di quest’ultimo, di precise censure con l’atto d’appello -, la conclusione cui la Corte è addivenuta è stata, necessariamente, nel segno dell’ammissibilità della querela di falso in quell’occasione esperita e del rigetto come infondato del ricorso che quell’ammissibilità aveva invece contestato.

[2] Sia pure, chiaramente, a guisa di obiter dictum, la Corte si è posta il problema della soluzione del conflitto di giudicati che venisse a prodursi nell’eventualità che, in spregio al divieto posto dall’art. 221, 1° co., c.p.c., la querela di falso sia ritenuta ammissibile e il relativo giudizio si concluda con un accertamento di segno opposto a quello del pregresso giudizio di verificazione. A tal proposito essa ritiene che la meccanica applicazione alla fattispecie del comune criterio temporale involgente la necessaria prevalenza del secondo giudicato rispetto al primo, «finirebbe con il trascurare la norma dell’art. 221 c.p.c., lasciandola senza sanzione». Sicché più plausibile soluzione parrebbe quella per cui detta norma, nel sancire l’improponibilità della querela di falso se la verità del documento sia già stata accertata con sentenza passata in giudicato, verrebbe a porre anche una regola di preminenza di questo giudicato su quello che dovesse successivamente formarsi all’esito della querela ammessa a dispetto di quella regola di improponibilità.

QUESTIONI

[1] In disparte il fatto che anche la soluzione offerta alla prima delle questioni affrontate, nell’occasione, dalla Corte ha costituito essa pure, a rigore, un obiter dictum – visto che l’inammissibilità, che fosse stata del caso rilevata, della querela di falso proposta con l’atto d’appello non avrebbe comunque potuto scalfire, giusta il principio di cui all’art. 161, 1° comma, c.p.c., il giudicato cui la querela aveva nel frattempo messo capo -, è da dirsi come la posizione che, in ordine a detta questione, è stata concretamente assunta, a qualche dubbio, invero, abbia a dar luogo. Non si vede, infatti, per qual motivo, all’azione di falso, non sarebbe stata opponibile, nella fattispecie, l’eccezione di litispendenza di cui all’art. 39, 1° comma, c.p.c., che si radica su quella stessa esigenza di evitare il bis in idem che è alla base del limite preclusivo codificato dal successivo art. 221. Né si obietti al riguardo che il giudizio di falso presenta un oggetto di maggiore latitudine rispetto a quello della verificazione di scrittura privata, così da doversi escludere quell’identità delle cause pendenti che il menzionato art. 39, 1° comma, c.p.c. richiede come presupposto della sua applicazione. Questo è senz’altro corretto su un piano generale dove si abbia riguardo a tutte le prospettive d’impiego della querela di falso, compresa, in primis, quella di rimedio avverso le falsità degli atti pubblici. Ma tenuto presente come il falso ideologico rappresenti una patologia propria delle sole dichiarazioni certificative e, dunque, difficilmente concepibile in relazione alle scritture private, che incorporano soltanto dichiarazioni di volontà (cfr. M. Vanzetti, Sub art. 221, in L.P. Comoglio – C. Consolo – B. Sassani – R. Vaccarella [diretto da], Commentario del Codice di procedura civile, III, 1, Torino, 2012, 838 sss., con puntuali riferimenti di segno conforme), di una divaricazione sub specie objecti tra verificazione e querela di falso non sembra allora potersi parlare, se non, al più, nei casi di utilizzo della querela per denunciare il riempimento di un biancosegno absque pactis (comunemente riguardato, non a caso, come falso materiale: cfr., da ultima, Cass., 11 febbraio 2020, n. 3266).

Comunque la si pensi sulla ravvisabilità, nella fattispecie decisa dalla presente Cass. n. 2152/2021, delle condizioni per opporre l’impedimento della litispendenza, certo è, in ogni caso, che destinato a girare a vuoto, per le ragioni poc’anzi esposte, è il principio di diritto ivi enunciato, nella parte relativa all’asserita incapacità del giudicato acquisito in sede di verificazione a precludere la querela di falso avente di mira la falsità meramente ideologica del documento.

[2] La regola ricavata dall’art. 221, 1° comma, c.p.c., nel senso dell’attitudine del giudicato formatosi in sede di verificazione della scrittura privata non soltanto ad impedire la successiva proposizione della querela di falso contro lo stesso documento ma, altresì, a prevalere sul giudicato che dovesse formarsi in quella distinta sede, qualora il giudizio di falso risultasse indebitamente ammesso, si configura chiaramente, nella visione della Corte, come lex specialis, con la cui formulazione il Supremo Collegio non ha assolutamente inteso ripudiare quel consolidato filone della sua giurisprudenza che le situazioni di contrasto c.d. pratico fra giudicati, come determinate dalla compresenza di giudicati di segno opposto sullo stesso oggetto, vuole risolte a favore del giudicato cronologicamente posteriore (cfr., tra le più recenti, Cass., 8 novembre 2018, n. 28506; Cass., 31 maggio 2018, n. 13804; Cass., 15 maggio 2018, n. 11754; Cass., 22 settembre 2016, n. 18617). La tesi ha registrato il consenso anche della dottrina largamente maggioritaria, come diffusamente riferito nel recente studio monografico di M. Gradi, Il contrasto teorico fra giudicati, Bari, 2020, 221 ss., che la prevalenza del giudicato successivo su quello precedente ha visto ribadita, seppur su basi argomentative rinnovate rispetto a quelle tradizionali, come è a dirsi, ad es., di quell’elemento del sistema positivo, cui pure la pronuncia in epigrafe si è richiamata, dato dalla deducibilità soltanto a mezzo di impugnazione ordinaria – a seconda dei casi, revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. oppure ricorso per cassazione – del vizio affettante la sentenza di violazione di un precedente giudicato (sulla non decisività di questo argomento, cfr. M. Gradi, op. cit., 224 s.).

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