Prove nuove nell’opposizione allo stato passivo e data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento
di Fabrizio De Vita Scarica in PDFTrib. Terni, 10.4.2018, Pres. Zanetti, Rel. Nastri
Fallimento – Opposizione stato passivo – Prova del credito – Produzione di documenti – Divieto di cui all’art. 345 c.p.c. – Inapplicabilità – Produzione di documenti con il ricorso introduttivo – Ammissibilità – Preclusione (cod. proc. civ., art. 345; l. fall. artt. 98 e 99)
[1] La produzione di documenti non è sottoposta, nel giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, al divieto di cui all’art. 345 c.p.c.; solo gli atti introduttivi del giudizio di opposizione, con l’onere di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti, segnano il termine preclusivo per l’articolazione dei mezzi istruttori.
Accertamento del passivo – Domanda di ammissione proposta dal creditore – Contratto di finanziamento con cessione del quinto della pensione – Altro fatto idoneo a conferire data certa – Soppressione ex lege ente previdenziale e successione – Sussistenza (cod. civ., art. 2704; l. fall., artt. 93 ss.)
[2] Costituisce, ai sensi dell’art. 2704 c.c., fatto comprovante l’anteriorità alla dichiarazione di fallimento del contratto di finanziamento mediante cessione del quinto della pensione, originariamente privo di data certa, la sottoscrizione, con apposizione di un timbro, di un atto di benestare da parte di un responsabile dell’ente previdenziale, successivamente soppresso ex lege con successione dei rapporti ad altro ente, in uno con la “chiusura” della cessione del quinto in conseguenza della dichiarazione di fallimento.
Obbligazioni e contratti – Cessione del credito – Cessione della quota di pensione – Trasferimento accessori – Privilegio – Esclusione – Limiti di efficacia (cod. civ., artt. 1263 e 2751 bis)
[3] Diversamente dal credito per la quota di stipendio, quello per la quota di pensione non è assistito da alcun privilegio; in ogni caso, per la cessione di quota di stipendio, l’effetto, previsto dall’art. 1263, comma 1, c.c., del trasferimento delle garanzie e degli accessori, in particolare del privilegio, non riguarda il credito della finanziaria nei confronti del debitore-lavoratore, che resta chirografario salva espressa pattuizione di garanzia reale, ma solo il rapporto tra finanziaria e datore di lavoro.
CASO
[1-3] Una banca propone domanda tardiva di ammissione, in via privilegiata, al passivo del fallimento del socio accomandatario di una s.a.s.; il credito ha ad oggetto la somma residua di un finanziamento mediante cessione del quinto della pensione, erogato dalla istante al fallito; nella fase di accertamento del passivo, la banca produce a fondamento della domanda il contratto di finanziamento, l’atto di benestare dell’INPDAP, il piano di ammortamento ed il “conteggio estintivo” dal quale si evince la somma residua.
Il G.D. dichiara esecutivo lo stato passivo, rigettando la domanda della banca, poiché considera la documentazione prodotta sprovvista di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento.
La banca propone opposizione allo stato passivo e, premettendo l’illegittimità della chiusura, comunicata dall’INPS a seguito della sentenza di fallimento, della cessione del quinto della pensione, poiché questo non rientra nella disponibilità della curatela, ma soprattutto deducendo che la data certa anteriore al fallimento si desume dal coinvolgimento nella stipula del contratto dell’INPDAP, ente soppresso pochi mesi dopo, ma prima della dichiarazione del fallimento, dal d.l. 201 del 2011, insiste per l’ammissione al passivo, chiedendola ancora in via privilegiata, trattandosi di credito relativo a quota di pensione ceduta; l’opponente produce, allegandoli al ricorso in opposizione, nuovi documenti, tra i quali un estratto della pagina web dell’INPS (succeduto all’INPDAP), dalla quale risultano i dati della cessione del quinto da parte del fallito, e la distinta del bonifico eseguito, in data anteriore al fallimento, per l’erogazione del finanziamento.
SOLUZIONE
[1-3] Il Tribunale di Terni accoglie parzialmente l’opposizione, ammettendo, ma solo in via chirografaria, l’opponente al passivo fallimentare per l’importo richiesto e ritenendo irripetibili le spese processuali nei confronti del fallimento.
La motivazione del provvedimento può essere sintetizzata in tre punti:
1) nell’opposizione allo stato passivo è ammissibile la produzione di documenti nuovi, non prodotti nella fase di accertamento del passivo, ma la produzione solo in questa fase può incidere sulle spese giudiziali;
2) nella fattispecie, è stata fornita la prova della stipula del contratto di finanziamento in data certa anteriore alla dichiarazione del fallimento, ma solo nel giudizio di opposizione si è provata l’effettiva erogazione della somma finanziata;
3) la cessione di quota di pensione, diversamente da quella di stipendio, non è assistita da privilegio; e comunque, anche per la cessione di quota di stipendio, il privilegio riguarda i rapporti tra finanziaria e datore di lavoro e la finanziaria e non quelli, cui si riferisce la fattispecie, tra finanziaria e lavoratore-debitore.
QUESTIONI
La prima questione esaminata dal Tribunale di Terni riguarda la sussistenza o meno, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di una preclusione relativa alla produzione di nuovi documenti.
Sul punto il Tribunale, presupponendo che il giudizio di opposizione allo stato passivo, diversamente dall’appello, costituisce un’impugnazione ad effetto interamente devolutivo della cognizione già effettuata dal giudice delegato nella fase precedente, ritiene ammissibile la produzione di documenti che non sono stati prodotti nella fase di accertamento del passivo, dinanzi al giudice delegato.
Il giudice condivide, dunque, l’orientamento giurisprudenziale sostanzialmente univoco, secondo il quale, per la produzione di documenti, e, sembra corretto ritenere, anche per la deduzione di nuovi mezzi di prova costituendi, nell’impugnazione dello stato passivo non trova applicazione il divieto di cui all’art. 345 c.p.c., trattandosi di un giudizio diverso da quello ordinario di cognizione e non qualificabile come un appello, ma che ha natura impugnatoria, perché mira a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria, il quale, se non opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare; in esso il diritto alla prova, che subisce limitazioni nella fase necessaria dell’accertamento del passivo per esigenze di celerità della procedura fallimentare, si riespande, consentendo un grado di merito a cognizione piena, non condizionato da preclusioni istruttorie maturate nella fase sommaria; diversamente, si avrebbe una violazione dell’art. 24 Cost., poiché il diritto alla prova costituisce il nucleo essenziale del diritto di azione e di difesa (in termini, in aggiunta alla giurisprudenza citata nel decreto: Cass. 25 febbraio 2011, n. 4708; preceduta da Cass. 11 settembre 2009, n. 19697, in Foro it., 2010, I, 463, con nota di M. Fabiani, Accertamento del passivo fallimentare e riforme processuali; seguita da Trib. Foggia 1° ottobre 2013, in DeJure; e, più di recente, da Cass. 13 settembre 2017, n. 21201; v. anche Cass. 9 maggio 2013, n. 11026, che esclude l’applicabilità dell’art. 345 c.p.c. sia per i documenti, che per le eccezioni; sui rapporti tra le due fasi, in dottrina, in particolare: M. Fabiani, Impugnazioni dello stato passivo, raccordo col procedimento sommario e preclusioni, in Foro it., 2008, I, 633 ss.).
Va segnalato, però, che la produzione, solo nella fase di impugnazione dello stato passivo, del documento che ha provato l’effettiva erogazione del finanziamento (unitamente alla ripartizione della soccombenza), ha condotto il Tribunale ad escludere la ripetizione delle spese giudiziali, da parte dell’opponente e nei confronti della curatela.
Il Collegio, peraltro, sulla medesima linea della giurisprudenza prevalente richiamata, ribadisce invece la sussistenza di una preclusione, per così dire, interna alla fase dell’opposizione, nel senso che i documenti nuovi devono essere depositati, a pena di decadenza, unitamente al ricorso in opposizione (o alla memoria difensiva con la quale si costituisce il resistente) ed entro il termine previsto (alla giurisprudenza citata nel provvedimento e nella precedente parentesi adde: Cass. 21 luglio 2016, n. 15037, che rileva come la tardività sia rilevabile d’ufficio; sulle preclusioni, in generale, nelle diverse fasi dell’accertamento del passivo fallimentare, anche dopo le modifiche legislative del 2012 e per ulteriori riferimenti, mi permetto di rinviare a De Vita, L’evoluzione della circolarità delle attività processuali nell’accertamento del passivo fallimentare, in Dir. fall., 2015, I, 266 ss.).
In proposito, va altresì segnalato che per la Suprema Corte la mancata indicazione, negli atti introduttivi, dei mezzi istruttori, non è emendabile con la concessione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. e non si può neanche invocare la violazione del diritto di difesa per la mancata concessione del termine per le memorie conclusive di cui all’art. 99, comma 11, l. fall., che può essere o meno accordato dal tribunale, in base ad una valutazione discrezionale ed avuto riguardo all’andamento del giudizio (Cass. 6 marzo 2017, n. 5596; Cass. 6 novembre 2013 n. 24972; v. anche Trib. Milano 30 maggio 2012, n. 6463, in DeJure).
Il Tribunale di Terni, poi, presuppone che nell’accertamento del passivo, il creditore non è onorato solo della prova dell’esistenza del credito, ma anche della sua anteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento (salvo si tratti di crediti prededucibili sorti proprio per la procedura concorsuale); si condivide un principio pienamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamata e descritta nel provvedimento, che è stato chiarito dalle sezioni unite, anche in termini di effettività del contradittorio, nel senso che: 1) la data certa di una scrittura privata non è un fatto costitutivo del credito, così che l’onere probatorio incombente sul creditore istante in sede di ammissione, resta soddisfatto ove sia prodotta documentazione idonea a dimostrare la fondatezza della pretesa formulata; 2) invece, la mancanza di data certa della documentazione è un fatto impeditivo del riconoscimento del diritto fatto valere, oggetto di eccezione rilevabile anche d’ufficio dal giudice; 3) in caso di rilievo d’ufficio, prima di decidere nel merito dell’istanza, il giudice deve permettere alle parti eventuali osservazioni e richieste, nel rispetto del principio costituzionale del contraddittorio (Cass., sez. un., 20 febbraio 2013, n. 4213, citata nel provvedimento e commentata in Giust. civ., 2013, 2, I, 299, da Andrea Didone; in Dir. & giust., 2013, 21 febbraio, da Papagni, Il curatore è terzo, e non parte, nei confronti del creditore che propone istanza; ed in Guida al dir., 2013, 14, 45, da Graziano; v. anche, per alcune osservazioni: De Vita, L’onere della prova dei fatti costitutivi del credito nella verifica del passivo fallimentare, in Dir. fall., 2014, II, 410 ss.; sulla qualificazione della anteriorità del credito, v. anche, tra le altre, in particolare Cass. 8 novembre 2010, n. 22711 (ord.) e Cass. 14 ottobre 2010, n. 21251, in Foro it., 2011, I, 67 (s.m.), nonché la nota contraria di Costantino, La data certa del credito nell’accertamento del passivo: «della corte il fin è la meraviglia»).
Pertanto, il Collegio, considerati i documenti prodotti dalla ricorrente, si pone la questione se l’elencazione di cui all’art. 2704 c.c., delle ipotesi in cui la data di una scrittura privata non autenticata debba ritenersi certa rispetto ai terzi (quale deve qualificarsi la curatela fallimentare), abbia o meno carattere tassativo.
Su questo aspetto, attraverso l’esame di un’ampia casistica (per la quale si rinvia al testo del decreto), in cui la giurisprudenza ha riconosciuto il valore di certezza della data in ipotesi diverse da quelle individuate espressamente dalla norma, perché la stessa consente di dimostrare la data della scrittura provando «un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento», il Tribunale giunge a condividere l’opinione prevalente per la quale l’elencazione non è tassativa. Di conseguenza, nella fattispecie il collegio ritiene che la prova della certa anteriorità del contratto di finanziamento con cessione di quinto della pensione, rispetto alla dichiarazione del fallimento, risulti, congiuntamente alla “chiusura” della cessione del quinto in conseguenza della dichiarazione di fallimento, dalla sottoscrizione, con apposizione di un timbro, di un atto di benestare da parte di un responsabile dell’INPDAP, ente previdenziale soppresso ex lege successivamente, ma prima dell’apertura della procedura concorsuale (il provvedimento cita Cass. civ. 26 settembre 2014, n. 20393, pronunziata in un caso analogo).
L’ultimo aspetto esaminato è la natura privilegiata o chirografaria della cessione del quinto di pensione, sul quale il Tribunale fornisce due chiarimenti opportuni e necessari:
– diversamente dal credito per quota di stipendio, quello per quota di pensione non è assistito da alcun privilegio, tanto meno in caso di cessione;
– in ogni caso, anche per la cessione di quota di stipendio, l’effetto – previsto dall’art. 1263, comma 1, c.c. – del conseguente trasferimento delle garanzie e degli accessori, in particolare del privilegio, non riguarda il credito della finanziaria nei confronti del debitore-lavoratore, che resta chirografario salva espressa pattuizione di garanzia reale, ma solo il rapporto tra finanziaria e datore di lavoro.