«Prospective overruling» all’opera. Rimedi alla declinatoria di competenza e arbitrato societario.
di Eugenio Dalmotto Scarica in PDFCass., Sez. I, 28 ottobre 2015, n. 22008 – Pres. Rordorf – Est. Nappi
Procedimento civile – Mutamento di giurisprudenza – Affidamento sul precedente orientamento – Giusto processo – Preclusioni e decadenze sopravvenute – Effetto retroattivo – Esclusione – Fattispecie (Cost., art. 111)
Arbitrato – Società – Clausola compromissoria statutaria – Nomina degli arbitri da parte di un soggetto estraneo alla società – Necessità – Inosservanza della prescrizione – Competenza del giudice ordinario – Applicabilità del principio anche all’arbitrato irrituale (Cod. proc. civ., art. 808, 819-ter; D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34, 35)
[1] Le preclusioni e le decadenze derivanti da un imprevedibile mutamento di giurisprudenza, sopraggiunto in modo inopinato e repentino, operano solo per il futuro, a partire da quando l’«overruling» diventi oggettivamente conoscibile. I principi del giusto processo – volti a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa con un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito – tutelano infatti la parte che abbia confidato incolpevolmente su un precedente consolidato orientamento (Nel caso di specie, muovendo dal presupposto che l’impugnante si era conformato all’insegnamento al tempo impartito dalla giurisprudenza di legittimità e che solo in un momento successivo tale insegnamento era imprevedibilmente cambiato, la Corte ha pertanto disatteso, benché fosse fondata alla luce della giurisprudenza più recente, l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione contro una declinatoria di competenza in favore degli arbitri proposta nelle forme dell’appello anziché in quelle del regolamento necessario di competenza).
[2] L’unica ipotesi di clausola compromissoria contemplabile dagli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., è quella prevista dall’art. 34, D.Lgs. n. 5/2003, restando escluso il ricorso in via alternativa od aggiuntiva alla clausola compromissoria di diritto comune prevista dall’art. 808 c.p.c. Ciò vale anche per l’arbitrato irrituale. La clausola statuaria non adeguata alla prescrizione secondo cui la nomina degli arbitri deve essere effettuata da un soggetto estraneo alla società è pertanto sempre nulla, con la conseguenza che le controversie che ricadrebbero sotto la sua applicazione spettano invece, tanto nel caso in cui le parti volessero un arbitrato rituale quanto nel caso in cui lo volessero irrituale, alla competenza del giudice ordinario.
CASO
[1-2] La controversia trae origine dall’eccezione di compromesso sollevata dalla parte convenuta in un giudizio pendente innanzi al Tribunale di Genova in materia societaria. La parte attrice aveva rilevato come la clausola compromissoria per arbitrato contenuta nello statuto fosse nulla per non aver previsto, in contrasto con l’art. 34, D.Lgs. 5/2003, il conferimento ad una autorità di nomina terza rispetto alla società del potere di scegliere i componenti del collegio arbitrale. Il Tribunale riteneva però che la clausola compromissoria fosse ad ogni modo valida in base alla disciplina ordinaria dell’arbitrato, da ritenere applicabile anche in ambito societario.
La conseguente declinatoria di competenza del giudice statale veniva impugnata in Corte d’appello, che confermava la sentenza di primo grado.
Era quindi proposto ricorso alla Cassazione, che decideva due questioni: (i) se, in sede di giudizio di appello, devesse essere pronunciata l’inammissibilità dell’impugnazione avverso la pronuncia di incompetenza del giudice ordinario in favore degli arbitri, dovendosi in quel caso proporre il regolamento necessario di competenza; e (ii) se, nell’ipotesi di ammissibilità del gravame, fosse corretto ritenere che una clausola compromissoria statutaria (nella fattispecie di arbitrato irrituale) che non rimetta ad un soggetto estraneo alla società la nomina di tutti gli arbitri, per quanto nulla ai sensi dell’art. 34, D.Lgs. 5/2003, possa tuttavia risultare efficace quale clausola compromissoria di diritto ordinario.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione ha affrontato la prima questione ricordando che, secondo la giurisprudenza di legittimità più recente, l’appello avverso la decisione del tribunale declinatoria della propria competenza a favore degli arbitri è inammissibile, poiché l’attività di questi ultimi ha natura sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché alla luce di tale insegnamento può essere proposto solo il regolamento di competenza. Risulterebbe quindi superato l’orientamento in base al quale si riteneva, al contrario, che gli arbitri non svolgessero, nemmeno nell’arbitrato rituale, una attività giurisdizionale e che di conseguenza l’attribuzione di una controversia alla cognizione del giudice ordinario o degli arbitri costituisse non una questione di competenza da far valere con il regolamento necessario o facoltativo ma una questione di merito, direttamente inerente alla validità o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria, e come tale da far valere solo con l’appello.
La Suprema Corte ha però altresì soggiunto che quando il mutamento di giurisprudenza (il cosiddetto «overruling») leda l’affidamento delle parti, in contrasto con i principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 Cost., il nuovo orientamento non può applicarsi.
Spiega infatti il Collegio che il mutato indirizzo esegetico deve considerarsi valido solo per il futuro tutte le volte in cui il revirement (i) concerna una regola del processo; (ii) abbia carattere imprevedibile, in ragione del carattere consolidato della precedente interpretazione; (iii) la sua operatività determini una preclusione o decadenza che incida sul diritto di azione o di difesa della parte che abbia confidato incolpevolmente (ossia non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo) nell’interpretazione precedente.
Conseguentemente, la Cassazione ha ritenuto inapplicabile l’ultima giurisprudenza sulla declinatoria della competenza nei rapporti tra processo e arbitrato.
L’applicazione di questa giurisprudenza – occorre però soggiungere – si sarebbe potuta evitare anche semplicemente osservando che solo agli arbitri rituali può riconoscersi una funzione sostitutiva dell’attività giurisdizionale e che quindi – vertendosi in una ipotesi di clausola compromissoria per arbitrato irrituale – nel caso di specie era esatto appellare in luogo di proporre regolamento di competenza.
[2] Passando alla seconda questione, la Cassazione ha confermato il principio, ormai pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per cui le clausole compromissorie inserite in statuti societari che non prevedano il deferimento della nomina degli arbitri ad un soggetto terzo estraneo alla società ai sensi dell’art. 34, D.Lgs. 5/2003, sono nulle e quindi inidonee a derogare la competenza del giudice dello Stato.
Sotto questo profilo, l’elemento di maggiore interesse della sentenza in commento risiede nell’aver precisato che il principio enunciato opera non solo per arbitrato rituale, ma anche per quello irrituale.
QUESTIONI
[1] Per l’inammissibilità dell’appello contro la declinatoria di competenza a favore degli arbitri rituali, v. Cass., 13 agosto 2014, n. 17908; Id., 19 aprile 2013, n. 9610; e soprattutto Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24153. Tale opzione discende dall’affermata natura giurisdizionale dell’attività degli arbitri rituali e dal nuovo testo dell’art. 819-ter c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 40/2006 (su cui v. Salvaneschi, Arbitrato, Bologna, 2014, 674 ss.), nonché, più in generale, dalla ritenuta natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale, riconosciuta, oltre che dalle Sezioni Unite in precedenza ricordate, anche da Corte Cost., 19 luglio 2013, n. 223, laddove ha dichiarato illegittima la mancata applicazione dell’art. 50 c.p.c. nei rapporti tra arbitrato e processo. In passato, quando in forza dell’insegnamento di Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 527, si riteneva che l’arbitrato anche rituale avesse natura non giurisdizionale ma negoziale, secondo Cass., Sez. Un., 25 luglio 2002, n. 9289, seguita da numerose altre, l’istanza di regolamento (necessario o facoltativo) di competenza doveva invece ritenersi inammissibile e proponibile il solo appello.
Quanto poi all’overruling solo dichiarativo (anche detto «prospective overruling»), nel solco di Cass., Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144 e sulla spinta della dottrina (cfr. ad es. Costantino, Gli orientamenti della Cassazione su mutamenti di giurisprudenza e affidamento incolpevole, in Foro it., 2011, V, 150 ss., e Caponi, Il mutamento di giurisprudenza costante della Corte di cassazione in materia di interpretazione di norme processuali come «ius superveniens» irretroattivo, in Foro it., 2010, V, 311), si è consolidata l’opinione che, in caso di imprevedibili mutamenti nell’interpretazione di norme processuali, il nuovo orientamento possa valere solo per il futuro, a partire da quando esso sia in concreto conoscibile: così, tra le ultime, Cass., Sez. Un., 21 maggio 2015, n. 10453; Id., 17 dicembre 2014, n. 26541; Id., 4 giugno 2014, n. 12521.
[2] Nel senso che in materia societaria l’unico arbitrato possibile sia quello disciplinato dal D.Lgs. n. 5/2003 (su cui rinvio al mio L’arbitrato nelle società, Bologna, 2013, 12 ss.; 103 s.; 181 ss.), con conseguente nullità delle clausole difformi rispetto alla regola della nomina eteronoma degli arbitri, v. Cass., 9 dicembre 2010, n. 24867, seguita da Cass., 17 febbraio 2014, n. 3665; Id., 19 aprile 2013, n. 9610; Id., 10 ottobre 2012, n. 17287; Id. 20 luglio 2011, n. 15892; Id. 13 ottobre 2011, n. 2120. Tra queste pronunce, specificamente nel senso della nullità anche quando la clausola compromissoria sia per arbitrato irrituale, cfr. Cass., 17 febbraio 2014, n. 3665; Id., 9 dicembre 2010, n. 24867. È dunque rimasta isolata Cass. 4 giugno 2010, n. 13664, che ha invece apoditticamente escluso che la nullità prevista dall’art. 34, D.Lgs. n. 5/2003, possa riguardare l’arbitrato irrituale.