4 Febbraio 2025

Proprietà di un fondo autonomo rispetto al complesso condominiale

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, Ordinanza del 20.03.2023 n. 7917, Pres. M. Mocci, Est. A. Carrato

Massima:La proprietà condominiale di un fondo separato e autonomo rispetto all’edificio in cui ha sede il condominio può essere da quest’ultimo rivendicata soltanto sulla base di un titolo petitorio formatosi precedentemente in suo favore, tra i quali non rientra il regolamento di condominio che, quand’anche trascritto, non è opponibile al terzo estraneo alla comunione”.

CASO

Con ricorso il Condominio Alfa chiede al Tribunale di Torino – Sez. distaccata di Susa di condannare Tizio a reintegrare i condomini nel possesso del cortile adibito ad uso parcheggio che il resistente aveva impedito loro di utilizzare con l’apposizione di un lucchetto alla sbarra di accesso (previamente posizionata dal Condominio) all’area antistante l’edificio condominiale.

Il Tribunale accoglieva il ricorso reintegrando nel possesso del suddetto cortile i condomini.

Con atto di citazione Tizio conveniva in giudizio innanzi al medesimo tribunale il Condominio Alfa per ottenere la declaratoria di inesistenza di qualsiasi diritto in capo a quest’ultimo in relazione agli appezzamenti di terreno prospicienti il complesso condominiale in forza dell’atto di acquisto che ne comprovava la sua titolarità, con conseguente condanna al rilascio degli stessi in suo favore.

Il Condominio convenuto chiedeva il rigetto della domanda avversaria e chiedeva riconvenzionalmente l’accertamento del proprio diritto di proprietà sui terreni oggetto della controversia, in virtù della natura condominiale della contestata area cortilizia o, in subordine, l’acquisto della proprietà per usucapione, stante la durata ultraventennale del possesso da parte dei condomini.

Il giudice torinese rigettava la domanda principale e accoglieva la riconvenzionale del condominio convenuto, accertando quest’ultimo come effettivo proprietario dell’area cortiliva per cui era causa.

Tizio, quindi, impugnava la sentenza avanti la Corte d’Appello di Torino la quale, tuttavia, rigettava il proposto gravame in considerazione del fatto che l’unico dante causa da cui le parti in conflitto traevano la loro titolarità sull’area oggetto di lite era l’Immobiliare Beta e che, rispetto al titolo opposto dall’appellante, il Condominio aveva eccepito l’appartenenza del cortile alla proprietà comune ai sensi dell’art. 3 del regolamento condominiale debitamente trascritto (precedente all’acquisto di Tizio e ad esso opponibile), quale area riconducibile ai c.d. “distacchi”/frazionamenti ivi citati.

Pertanto, il giudice di appello confermava che detta area era da considerarsi comune ai sensi dell’art. 1117 c.c., anche in considerazione dell’espletata CTU, per la quale i c.d. “distacchi” citati nel regolamento di corrispondevano al cortile per cui era causa al netto delle aree di terzi.

In ogni caso la Corte territoriale condannava l’appellante alla refusione di soli 2/3 delle spese compensandole per il restante 1/3 dacché il Condominio in primo grado non aveva svolto domanda riconvenzionale bensì un’eccezione riconvenzionale, poiché contrapponeva, rispetto alla pretesa ex adverso proposta, una situazione di fatto e di diritto preesistente (il regolamento condominiale) chiedendo il mero rigetto della rivendica.

Avverso la sentenza di appello, Tizio proponeva ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi, resistito con controricorso dal Condominio.

SOLUZIONE

La Corte accoglieva il secondo e terzo motivo del ricorso, rigettava il primo e dichiarava assorbiti i restanti.

Cassava, quindi, la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinviava, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione.

QUESTIONI

Con il primo motivo, il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 102, 112 e 354 c.p.c. o, in subordine, la nullità della sentenza impugnata per violazione degli stessi articoli.

In particolare, a parere di Tizio la Corte piemontese aveva mal interpretato la difesa contrapposta, relativa ad una tutela di tipo reale, svolta dal Condominio in primo grado, qualificandola come eccezione riconvenzionale. Secondo il ricorrente dalla corretta qualificazione della riconvenzionale la Corte di appello avrebbe, invece, dovuto far derivare la carenza della legittimazione attiva dell’amministratore del Condominio nella difesa della proprietà comune e, dunque, l’illegittimità del rigetto della richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini.

Con la seconda censura, il ricorrente asseriva la nullità della sentenza per violazione degli artt. 948, 1138 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., affermando che né il regolamento di condominio né le la relazione peritale potevano costituire prove piene dalle quali desumere la proprietà comune dell’area cortilizia oggetto di causa in capo al Condominio appellato.

Con la terza doglianza, Tizio lamentava la violazione degli art. 1107, 1138, 1372, 2643 e 2644 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale aveva statuito che il regolamento condominiale costituiva atto precedente rispetto al suo titolo di acquisto e che, pertanto, fosse a lui opponibile, dovendo, invece, detto regolamento ritenersi non opponibile ai terzi acquirenti.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 948 e 2967 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., poiché la sentenza di appello, nell’affermare che i mappali per cui era causa corrispondessero ai c.d. distacchi citati nell’art. 3 del regolamento condominiale, aveva operato un “indebito salto logico”, non essendovi alcuna prova sul punto.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamentava la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1362, 1363, 1365, 1366 e 1367 c.c., poiché la Corte piemontese, ritenendo erroneamente che l’Immobiliare Beta facesse coincidere i c.d. distacchi negli appezzamenti alienati ad esso ricorrente, aveva violato i principi sulla interpretazione dei contratti, quando invece, se davvero la Immobiliare avesse considerato i mappali sul lato sud del Condominio quali corrispondenti ai distacchi di cui all’art. 3 del regolamento, non avrebbe potuto vendere nulla ad egli, non trovandosi nella disponibilità del bene.

Con il sesto ed ultimo motivo, il ricorrente asseriva la violazione dell’art. 1117 c.c., sul presupposto che l’area corrispondente al controverso cortile non poteva ritenersi una parte comune, non essendo richiamato nel regolamento di condominio e che il CTU lo aveva indentificato erroneamente nei c.d. distacchi, peraltro al netto delle aree di terzi.

In merito al primo motivo, la Corte rilevava l’assenza di fondamento, non versandosi – in relazione alla natura della causa e alle situazioni sostanziali fatte valere – in una ipotesi di litisconsorzio necessario implicante la partecipazione di tutti i condomini del Condominio convenuto in giudizio.

Difatti, la sentenza di primo grado non poteva considerarsi “inutiliter data”, in quanto, essendo rimasta immutata in capo ai condomini la qualità di comproprietari dell’area circostante il fabbricato condominiale e, dunque, non risultando modificata la situazione preesistente, non si imponeva, sotto il profilo dell’interesse sostanziale delle parti, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i distinti condomini.

Oltretutto, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio non incontra, ai sensi dell’art. 1131, comma 2, c.c., limiti e sussiste in relazione a ogni tipo di azione, anche reale o possessoria, promossa da terzi o da un singolo condomino nei confronti del Condominio medesimo relativamente alle parti comuni dello stabile condominiale, data la ratio dell’esigenza di facilitare la chiamata in giudizio del Condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini[1].

Oltre al fatto che, come rilevato anche dal giudice del gravame, il Condominio si era limitato a contrapporre alla domanda di rivendicazione di Tizio una situazione di fatto e di diritto preesistente a sé favorevole e diretta alla difesa della proprietà comune derivante dal regolamento di condominio. Il convenuto in primo grado, pertanto, svolgeva un’eccezione riconvenzionale implicante l’assunzione di una posizione difensiva non riconducibile alla proposizione di una vera e propria domanda riconvenzionale.

Il secondo e il terzo motivo d’appello venivano, al contrario, ritenuti fondati dal Supremo Collegio.

In particolare, la Corte d’appello non considerava che l’autonomo titolo di acquisto di Tizio (per atto pubblico del 29 dicembre 2004 concluso con l’Immobiliare Beta) del fondo di cui il Condominio si riteneva proprietario, non atteneva ad un immobile facente parte del complesso immobiliare e che l’odierno ricorrente non rivestiva la qualità di condomino dello stesso.

Di conseguenza risultava inopponibile a Tizio il regolamento condominiale che il Condominio aveva dedotto in giudizio quale unico titolo asseritamente idoneo a comprovare la proprietà sull’area oggetto di causa, giacché il regolamento condominiale per sua natura ha la facoltà di disciplinare solamente i rapporti tra i condomini, ma non tra il Condominio e i terzi ad esso estranei (e, quindi, a questi ultimi non opponibile).

Invero, se il regolamento condominiale, debitamente trascritto, risulta opponibile ai terzi acquirenti in epoca successiva[2], nel caso di specie non è stato accertato che Tizio era stato un successivo acquirente di piani dell’edificio condominiale o di loro porzioni (da parte di un precedente condomino proprietario), né che era stato un diretto compratore di un bene facente parte del costituito Condominio da parte della stessa società costruttrice che aveva predisposto il regolamento condominiale, la quale gli aveva, invece, alienato un distinto e separato bene a titolo esclusivo dopo il completamento della costruzione dell’edificio condominiale.

Orbene, il regolamento di condominio – obbligatorio, ai sensi dell’art. 1138 c.c., negli edifici con più di 10 condomini – consiste in un insieme di dettami che tutti i condomini sono tenuti a rispettare, il quale può avere natura contrattuale o assembleare.

Il primo è solitamente predisposto dall’originario proprietario dell’edificio successivamente divenuto condominio ed espressamente richiamato nei singoli atti di acquisto ma può anche essere redatto successivamente dai condomini che, però, devono approvarlo all’unanimità.

Il secondo, invece, è il regolamento approvato dall’assemblea secondo le maggioranze di cui all’art. 1136, comma 2, c.c..

La distinzione tra queste due tipologie di regolamento non consiste solamente nella loro origine ma, in virtù di quest’ultima, il regolamento contrattuale può incidere sui diritti dei singoli condomini inerenti alle parti comuni e sulla proprietà esclusiva di ciascuno, mentre, al contrario, nel regolamento assembleare non vi possono essere clausole che incidano sui diritti dei singoli risultanti dagli atti di acquisto, limitandosi a disciplinare l’uso dei beni comuni[3].

Ciò posto, è, ad ogni modo pacifico che il regolamento condominiale sia valido solamente nei confronti di coloro che acquisiscano la natura di condomini.

Oltretutto, secondo gli Ermellini, ai sensi dell’art. 1117 c.c., “l’estensione della proprietà condominiale ad edifici o fondi separati ed autonomi rispetto al complesso immobiliare in cui ha sede il Condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo immobile (fabbricato o terreno) nella proprietà del Condominio stesso, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il Condominio risulta costituito. Ne consegue che, ai fini dell’accertamento dell’appartenenza al Condominio di fondi ubicati in un’area separata rispetto all’edificio in cui si trovano gli appartamenti condominiali, nessun rilievo va ascritto in proposito al Regolamento di Condominio, non costituendo esso un titolo di proprietà (avendo la sola funzione di disciplinare l’uso della cosa comune e la ripartizione delle spese), aggiungendosi, inoltre, che nemmeno l’uso promiscuo di un bene fa presumere la contitolarità dei beni che se ne servono e da esso traggono vantaggio”.

Difatti, ciò che la Suprema Corte contestava al Condominio era proprio la mancata allegazione e produzione di un legittimo titolo petitorio formatosi precedentemente in suo favore e da contrapporre a quello esistente in capo a Tizio, poiché non si presume comune ogni altro immobile, separato ed autonomo, eretto od insistente sul medesimo suolo su cui è sorto lo stabile condominiale;

Pertanto, l’originaria titolarità in capo al medesimo proprietario del terreno in cui in tempi diversi siano stati costruiti l’edificio condominiale e il fabbricato distinto non rende quest’ultimo come parte del Condominio stesso, se ciò non risulta dal relativo titolo di provenienza, che non può essere il regolamento condominiale.

[1] Cfr. ex multis Cass. civ., Sent. n. 2438/2014.

[2] Cass. civ., Sent. n. 2546/1994.

[3] Cfr. Cass. civ., Ord. n. 23582/2023.

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