9 Maggio 2017

Processo del lavoro: profili di nullità del licenziamento

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 24 marzo 2017, n. 7687

Licenziamento – nullità – profili non dedotti dalla parte – rilevabilità d’ufficio – non sussiste

MASSIMA

Deve escludersi la rilevabilità d’ufficio di profili di nullità del licenziamento non dedotti dalla parte, posto che, in un sistema processuale fondato sul principio della domanda e sul conseguente divieto di ultrapetizione, non si giustificherebbe diversamente la previsione dell’articolo 18, comma 7, della legge 300/70, come modificato dalla legge 92 del 2012, e dell’articolo 4 del decreto legislativo 23/2015, nella parte in cui fanno riferimento all’applicazione delle tutele previste per il licenziamento discriminatorio (quindi affetto da nullità) «sulla base della domanda formulata dal lavoratore», dovendosi ritenere che i recenti interventi normativi, nel ridurre l’ambito della tutela reintegratoria piena, hanno attribuito rilievo alla natura del vizio e alle cause di nullità del recesso, ma sempre differenziando la disciplina rispetto all’azione generale di nullità.

COMMENTO

La sentenza in commento statuisce che i profili ulteriori di nullità di un licenziamento non sono rilevabili d’ufficio dal giudice se non espressamente dedotti dalla parte. Sul tema, la Corte di Cassazione ha da tempo affermato che la causa petendi dell’azione proposta dal lavoratore per contestare la validità e l’efficacia del licenziamento va individuata nello specifico motivo di illegittimità dell’atto dedotto nel ricorso introduttivo, in quanto ciascuno dei molteplici vizi dai quali può derivare la illegittimità del recesso discende da circostanze di fatto che è onere del ricorrente dedurre e allegare. Muovendo da detto presupposto, la Corte ha quindi ritenuto che, pur a fronte del medesimo petitum ed escluse le ipotesi nelle quali la modifica resta limitata alla sola qualificazione giuridica, costituisce inammissibile domanda nuova la prospettazione, nel corso del giudizio di primo grado e, a maggior ragione, in sede di impugnazione, di un profilo di illegittimità del licenziamento non tempestivamente dedotto dalla parte. Tale principio è stato altresì ribadito da recenti decisioni degli Ermellini, che hanno qualificato come “nuove” tutte quelle domande volte a far valere, ad esempio, l’assenza di giusta causa o giustificato motivo a fronte di un’azione con la quale originariamente era stato prospettato solo il motivo ritorsivo o discriminatori, o quelle domande volte ad ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento discriminatorio, sia pure sulla base di circostanze emergenti dagli atti, in fattispecie nella quale era stata dedotta solo la mancanza di giusta causa ed, infine, quelle prospettanti vizi formali del procedimento disciplinare diversi da quelli denunciati nell’atto introduttivo. In tutte le pronunce richiamate si è pertanto fatto leva sulle regole del rito, che impongono la tempestiva deduzione delle circostanze di fatto poste a fondamento dell’azione, e, nelle ipotesi in cui il vizio tardivamente denunciato avrebbe potuto condurre a una dichiarazione di nullità dell’atto di recesso. Fermo quanto sopra esposto, la Corte statuisce che la eventuale nullità del licenziamento, per contrasto con norme imperative di legge, non può essere rilevata dal giudice, giacché “il principio di cui all’art. 1421 c.c., che va comunque coordinato con il principio della domanda, con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e con quello della disponibilità delle prove – di cui all’art. 115 c.p.c. – non può trovare applicazione quando la parte chieda la declaratoria di invalidità di un atto a sé pregiudizievole, dovendo la pronuncia del giudice rimanere circoscritta, in tale caso, alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte stessa. A tale riguardo gli Ermellini sottolineano che tale suesposto orientamento è stato ripensato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dapprima con la sentenza n. 14828 del 4.9.2012 e, più di recente, con la sentenza 12.12.2014 n. 26242, con la quale sono state vagliate le diverse ipotesi in cui la nullità negoziale rileva e spiega influenza in seno al processo e, per quel che interessa il caso oggetto di commento, è stato affermato che il potere di rilevazione ex officio della nullità negoziale deve essere sempre esercitato dal giudice in tutte le azioni contrattuali, anche qualora venga in rilievo una nullità speciale o “di protezione” o emerga una ragione di nullità diversa da quella espressamente dedotta dalla parte. Tuttavia il Collegio ha ritenuto di dovere ribadire, pur a fronte del mutato quadro giurisprudenziale, che non si prestano a essere estese alla impugnativa del licenziamento le ragioni sulle quali le Sezioni Unite hanno fondato il potere/dovere del giudice di rilevare d’ufficio le nullità negoziali. Da ultimo, nella pronuncia in commento, i giudici di legittimità danno atto che a diverse conclusioni è pervenuta Cass. 28.8.2015 n. 17286, che, contrariamente a quanto disposto nella pronuncia in commento, ha ritenuto legittimamente esercitato il potere di rilevazione officiosa delle nullità verificatesi nel procedimento disciplinare, evidenziando che l’invalidità della sanzione derivata dalla “violazione dell’iter legislativo previsto per la sua irrogazione rientra nella categoria delle nullità di protezione, atteso che la procedura garantistica prevista in materia disciplinare è inderogabile ed è fondata su un evidente scopo di tutela del contraente debole del rapporto (vale a dire del lavoratore dipendente. Il Collegio tuttavia espressamente non ritiene “di potere condividere l’automatica estensione alla materia che ci occupa dei principi affermati dalle Sezioni Unite, posto che l’applicabilità agli atti unilaterali della normativa che regola la materia contrattuale in tanto è possibile ex art. 1324 c.c., in quanto la disciplina, che a tal fine non può essere disgiunta dalla sua interpretazione, sia compatibile con la natura dell’atto che viene in rilievo e non sia derogata da diverse disposizioni di legge”.

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”