Il principio generale relativo agli istituti dell’autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica delle società di capitali
di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDFCassazione Civile, ordinanza n. 2280/2021 del 20.10.2020
Parole chiave: identificazione del debitore – personalità giuridica – divieto – vendita competitiva – simulazione di società di capitali
Massima:
Gli istituti dell’autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica delle società di capitali, quand’anche uni-personale, non consentono di ritener riferibile, ai suoi soci e ai suoi amministratori, il patrimonio intestato alla compagine sociale.
Riferimenti normativi: art. 571 c.c.; 579 c.c.; 107 L.F.
CASO
La società Alfa Srl, risultata soggetto non aggiudicatario, proponeva ricorso per Cassazione avverso il decreto reso dal Tribunale di Venezia che, a sua volta, respingeva il provvedimento -reso in sede di reclamo ex art. 36 comma 2 L.F.- avente ad oggetto il verbale di aggiudicazione da parte del Curatore del Fallimento Beta Srl di un complesso dei beni aziendali, costituiti da immobili e partecipazioni, alla società Gamma Srl.
In particolare, la società Alfa Srl affermava la violazione e falsa applicazione degli articoli 571, comma 1, e 579 comma 1, cod. proc. civ. nonché dei principi giurisprudenziali in materia di personalità giuridica in quanto “il decreto impugnato avrebbe a torto escluso che la qualifica di debitore, secondo la disciplina di queste norme, potesse essere attribuita all’aggiudicataria, malgrado la stessa fosse riconducibile al pari della fallita al gruppo” riferibile al socio totalitario.
SOLUZIONE
Con l’Ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha respinto l’impugnazione proposta dalla società Alfa Srl confermando il principio generale in materia di istituti dell’autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica delle società di capitali, in ragione del quale i patrimoni intestati alla compagine non sono riferibili ai soci e agli amministratori.
QUESTIONI
Il provvedimento della Suprema Corte è confermativo della posizione assunta dal Tribunale di Venezia con il Decreto di rigetto n. 7054/2019 del 11.09.2019, già oggetto di commento da parte dello scrivente (vedasi Euroconference Legal del 22.09.2020).
In sintesi, il ricorrente aveva riproposto sia il motivo derivante dalla pretesa violazione del divieto, di cui agli articoli 571 e 579 cpc, di partecipazione alle vendite da parte del debitore, sia il motivo relativo al fatto che il Tribunale di Venezia avrebbe a torto escluso la qualifica di debitore al soggetto aggiudicatario.
Secondo la tesi della ricorrente, la società aggiudicataria avrebbe dovuto essere qualificata quale debitrice in quanto sia detta società che la società fallita erano entrambe interamente partecipate da una terza società il cui socio unico, oltre ad essere amministratore di tale terza società, lo era contemporaneamente anche della aggiudicataria.
Muovendo da tale premessa, la società ricorrente giungeva quindi ad identificare il soggetto debitore nel soggetto resosi aggiudicatario, con conseguente violazione del divieto imposto dal combinato disposto agli articoli 571 e 579 cpc.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza in commento, ha respinto il ricorso promosso dalla società Alfa Srl, ribadendo quanto già affermato dal Giudice Veneziano, ossia il principio secondo il quale gli istituti dell’autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica delle società di capitali, quand’anche uni-personale, non consentono di ritener riferibile, ai suoi soci e ai suoi amministratori, il patrimonio intestato alla compagine.
A sostegno di tale impostazione, e quindi della non riferibilità ai soci del patrimonio della società di capitali, la Corte richiama il costante orientamento assunto in tema di esclusione di simulazione di società.
Secondo tale orientamento la natura del contratto sociale di una società di capitali, iscritta nel Registro Imprese, non è solo quello di regolare gli interessi dei soci: esso, infatti, si atteggia, nel contempo, quale norma programmatica dell’azione sociale interferendo con gli interessi dei terzi che con la società istaurano rapporti e fanno affidamento sulla sua esistenza.
In tale senso, le formalità inderogabili dettate per la costituzione della società e della sua organizzazione, la tassatività delle cause di nullità delle società di cui all’art. 2332 cc, nonché l’esigenza di tutelare i terzi, che entrano in contatto con la società, inducono ad affermare che, con l’iscrizione al Registro Imprese, il nuovo soggetto giuridico vive di vita propria, agisce e risponde di atti in via autonoma quale che sia stata la volontà dei soci sottostante alla formazione del contratto.
L’atto di costituzione dell’ente non può perciò essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti, restando consacrato secondo la volontà che risulta iscritta ed in tal modo portata a conoscenza dei terzi (Cass. Civ. n. 29700/2019 e Cass. Civ. n. 22560/2015).
Nel provvedimento in commento, la Corte di Cassazione, ha altresì ammesso la possibilità di un abuso della personalità giuridico-societaria, in conformità con il pensiero già espresso dal Tribunale di Venezia.
Il Giudice Veneziano, infatti, aveva sottolineato come il principio generale di autonomia patrimoniale e di distinta personalità giuridica delle società di capitali potesse essere oggetto di condotta delle parti contraria ai principi dell’ordinamento laddove “il ricorso agli strumenti giuridici ritenuti più efficienti sul mercato sia stata piegata a finalità contrarie a regole giuridiche vincolanti”.
La Corte di Cassazione conferma la possibilità della distorsione delle regole generali in materia societaria affermando, altresì, che questa vada censurata nel caso in cui ne consegua la violazione di norme imperative.
La Corte, tuttavia, ha buona cura di evidenziare che l’elusione di norme imperative e, nel caso di specie, il danno al ceto creditorio, devono essere parte di un disegno e/o di un programma preordinato già esistente, e scopo dello stesso.
La semplice costituzione di un collegamento societario non può quindi essere sufficiente a dar prova di abuso alcuno proprio in ragione del principio generale relativo agli istituti dell’autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica delle società di capitali.
A margine, si ricorda che il Tribunale di Venezia escludeva nel caso in esame la prova dell’abuso rilevando come la violazione al divieto avrebbe potuto essere realizzato solo allorquando la società terza avesse imposto all’aggiudicataria, quale società controllata, di ritrasferire alla società fallita il compendio dell’aggiudicazione, circostanza questa impossibile presupponendo il fallimento quale parte necessariamente attiva dell’accordo.