28 Novembre 2017

Principio di diritto enunciato dal plenum di una Corte superiore. A chi spetta l’interpretazione?

di Paolo Patrito Scarica in PDF

Non è la prima volta che il nostro Settimanale di procedura civile propone decisioni che non riguardano direttamente il processo civile. Questa scelta è talora giustificata dai legami formali che si stabiliscono tra i diversi sistemi (basti pensare alla disciplina integrata sul riparto delle giurisdizioni; o al regime delle decisioni delle Corti europee). Altre volte, la pubblicazione di «jurisprudentia in re aliena» dipende dalle analogie fra istituti: in tal caso la scelta risponde all’esigenza di un approccio interdisciplinare, che consente all’operatore di trarre spunti utili alla soluzione dei problemi relativi al settore in cui è specializzato.

Al dialogo interdisciplinare diamo ora continuità con un’ordinanza del Consiglio di Stato sul principio di diritto enunciato dal suo plenum. Come bene evidenzia il commentatore, la pronuncia si inserisce nell’ampio dibattito sul rafforzamento dell’autorità del precedente, che – piaccia o no – investe in pieno il sistema della giustizia civile.

Davide Turroni

 

Consiglio di Stato, Sez. IV, ord. 31 luglio 2017, n. 3805, Pres. FF ed Est. Forlenza.

Processo amministrativo – Principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria – Competenza ad interpretarlo – Se spetti all’Adunanza Plenaria stessa o alla Sezione semplice – Rimessione della questione all’Adunanza Plenaria (Cod. proc. amm., art. 99)

[1] Va rimessa all’Adunanza plenaria la questione se l’interpretazione del principio di diritto dalla stessa enunciato, ove ne sia in discussione la “portata”, competa alla medesima Adunanza Plenaria, cui il giudice rimettente, ove abbia perplessità (ex officio o a ciò sollecitato dalle parti), è tenuto a rimettere la questione, ovvero se tale interpretazione possa essere svolta dalla stessa Sezione cui è assegnato il ricorso, esulando tale fattispecie dall’obbligo di cui all’art. 99, co. 3, Cod. proc. amm.

 CASO

[1] Il caso è complesso. Un’impresa impugna l’aggiudicazione di un appalto disposto a favore di altro concorrente lamentando, tra l’altro, che l’aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso perché l’offerta era priva dell’indicazione degli oneri di sicurezza. Accolto il ricorso dal TAR, la questione giunge al Consiglio di Stato, che si rivolge all’Adunanza Plenaria per avere lumi circa la necessità o meno di indicare gli oneri di sicurezza. L’Adunanza Plenaria, con sentenza 2 novembre 2015, n. 9, risolvendo il contrasto che in giurisprudenza si era manifestato sul punto, decide nel senso della necessità dell’indicazione in sede di offerta degli oneri di sicurezza. In sede di definizione del giudizio, la Sezione semplice ha ritenuto di dover interpretare diversamente il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, rilevando che, in realtà, il motivo non concerneva l’assenza dell’indicazione degli oneri di sicurezza, ma l’inadeguatezza della verifica di anomalia dell’offerta risultata aggiudicataria, in ragione della mancata considerazione degli oneri fra le voci esaminate in sede di verifica, e confermando il dispositivo della sentenza appellata ma con diversa motivazione, assai meno favorevole per l’originaria ricorrente: in effetti, in sede di rinnovo del sub-procedimento di anomalia dell’offerta, la stazione appaltante conferma l’aggiudicazione in capo all’originario aggiudicatario (decisione 13 aprile 2016, n. 1448).

Nei confronti di tale sentenza, l’originaria ricorrente propone ricorso per revocazione avverso la predetta pronunzia, lamentando, in particolare, che essa sia contraria ad altra precedente sentenza (quella dell’Adunanza Plenaria) avente tra le parti autorità di cosa giudicata.

SOLUZIONE

[1] Per risolvere la questione sottopostale, la Sezione deve verificare come si atteggi il rapporto tra sentenza dell’Adunanza Plenaria e decisione della Sezione semplice. Posto che il principio di diritto enunciato dalla prima riveste l’autorità di cosa giudicata, vincolante, dunque, per il giudice del rinvio, l’interpretazione del principio di diritto affermato dall’Adunanza Plenaria spetta all’Adunanza Plenaria stessa, alla quale la questione deve essere rimessa dalla Sezione semplice, oppure alla Sezione semplice stessa?

A tal fine l’ordinanza in commento si rivolge all’organo nomofilattico perché si pronunzi in via generale sul punto. , A favore della prima interpretazione depone il rilievo che l’interpretazione della Sezione semplice potrebbe incidere sul contenuto precettivo e nomofilattico del principio enunciato dall’Adunanza Plenaria; a favore della seconda, l’argomento che in tal modo si eviterebbe una incisione sensibile dei normali poteri di interpretazione del giudice di rinvio e l’appesantimento processuale, dovuto a reiterate “navette” tra Sezione ed Adunanza Plenaria.

Peraltro, il giudice della rimessione chiede espressamente una pronunzia “in via generale” sul tema, valida, cioè, per tutti i casi in cui una Sezione semplice del Consiglio di Stato si trovi a dover applicare il principio stabilito dall’Adunanza Plenaria.

QUESTIONI

[1] Ed è proprio su tale evenienza che ci si soffermerà nelle successive riflessioni: Formulata in questi termini, la questione ha una portata che trascende l’ambito del processo amministrativo e assume interesse anche per il processualcivilista.

L’ordinanza in esame aggiunge un tassello alle fervide discussioni sul valore del precedente giurisprudenziale e sull’introduzione o meno nel nostro ordinamento del principio dello stare decisis, in virtù degli artt. 374 c.p.c., 99 cod. proc. amm., 117 codice di giustizia contabile, e, prima ancora, con riferimento a tale ultimo giudizio, dell’art. 42, l.n. 69/2009.

Da ultimo, sulla progressiva tensione del sistema verso lo stare decisis, v., in dottrina, R. Rordorf, Il precedente nella giurisprudenza, in Foro it., 2017, IV, 277 ss.; A. De Siano, Decisioni amministrative e vincolo del precedente giudiziario, in www.diritto-amministrativo.org; E. Follieri, L’introduzione del principio dello stare decisis nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento alle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Dir. e Proc. Amm., 2012, 1237 ss. Sulle conseguenze della violazione dell’art. 99, cod. proc. amm., v., per una sintesi delle diverse posizioni, P. Patrito, I “motivi inerenti alla giurisdizione” nell’impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, Napoli, 2016, 244 ss. In giurisprudenza, di rilievo sono Cass., Sez. Un., 31 luglio 2012, n. 13620, secondo cui “benché non esista nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello stare decisis, essa costituisce, tuttavia, un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente nell’ordinamento”; e, nel senso invece di un sostanziale recepimento dello stare decisis, Corte conti, Sez. Riunite, 5 settembre 2011, n. 14, secondo cui “è stato […] introdotto nel nostro sistema, sia pure con esclusivo riferimento alle pronunce su questioni di massima emesse dalle Sezioni Riunite nell’ambito della loro funzione nomofilattica, il principio del c.d. stare decisis, tipico del modello anglosassone, conferendo alle pronunce giurisdizionali delle Sezioni Riunite, rispetto ai giudici di merito, autorità, oltre che l’autorevolezza proveniente dalla composizione e dalla collocazione istituzionale dell’organo, ed una forza vincolante attenuata solo dal meccanismo del motivato dissenso, anche al di là del processo nell’ambito del quale la pronuncia è resa, con un’incisività sinora sconosciuta al nostro ordinamento processuale”.

In caso di ambiguità o perplessità, a chi spetta dunque l’interpretazione del ‘precedente vincolante’ dell’Adunanza Plenaria? Le due possibili soluzioni (rinvio all’Adunanza Plenaria o competenza della Sezione semplice), pure prospettate dalla pronunzia in esame, comportano, entrambe, profili problematici.

La prima (rimessione all’Adunanza Plenaria) richiama – paradossalmente, per di più –  alla memoria il ‘rivoluzionario’ référé legislatif di cui all’art. 12 della legge 16-24 agosto 1790, che imponeva ai giudici di rivolgersi “au corps législatif toutes les fois qu’ils croiront nécessaire, soit d’interpréter une loi, soit d’en faire une nouvelle” (sulle origini dell’istituto, P. Alvazzi del Frate, Divieto di “interpretatio” e “référé législatif” nei “cahiers de doléances” del 1789, in Panta Rei. Studi dedicati a Manlio Bellomo, Roma, 2004, 101 ss.). Senonché, anche stante l’impossibilità pratica del rispetto di tale divieto (a tal proposito, la ‘navette’ cui fa cenno l’ordinanza in rassegna è assai significativa), solamente 10 anni dopo il référé fu abbandonato (legge del 27 ventoso anno VIII – 18 marzo 1800), mentre il code napoléon del 1805 sancì la responsabilità per diniego di giustizia del giudice che avesse rifiutato di giudicare sotto il pretesto, tra l’altro, dell’oscurità della legge. Paradossalmente, si diceva: il référé legislatif, eliminando dalle competenze del giudice l’attività interpretativa (il giudice è bocca della legge), è nato per assicurare il pieno rispetto del principio della separazione dei poteri; oggi, invece, se si decidesse nel senso dell’obbligo del rinvio all’Adunanza Plenaria (al riguardo, si potrebbe parlare di référé juridictionnel), si attribuirebbe alle sue pronunzie – ossia a decisioni giurisdizionali – una forza (o efficacia) ancor superiore a quella della legge, per l’interpretazione della quale non è previsto un simile meccanismo di rinvio (con il che parrebbe ulteriormente acuirsi il problema della conformità con il principio del numero chiuso delle fonti di rango primario dello stare decisis inteso come assegnazione al precedente dell’organo nomofilattico della natura di fonte del diritto). Del resto, come ritenuto in giurisprudenza, l’art. 99 cod. proc. amm. è “di stretta interpretazione” (Cons. Stato, Sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5246).

Del pari problematica (ma in misura assai minore) l’altra opzione: se l’interpretazione del precedente dell’Adunanza Plenaria si lasciasse alle Sezioni semplici, in effetti la portata dell’art. 99, comma 3, cod. proc. amm., potrebbe essere gravemente pregiudicata, in uno con il principio della certezza o, meglio, almeno della prevedibilità del diritto che la disposizione vorrebbe garantire (tanto più in questo momento storico, ove la prevedibilità del diritto è sempre più messa in discussione, soprattutto in ragione della dimensione multilivello delle fonti e dei giudici chiamati a decidere sulla medesima questione). Si finirebbe per aggiungere, in altre parole, un’ulteriore via di fuga dal vincolo del precedente (oltre a quella della possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale, per il caso in cui la Sezione semplice ritenga il precedente in contrasto con i principi costituzionali, e a quella del rifiuto di applicare il precedente ritenuto in contrasto con il diritto europeo: su tali aspetti, A. Maltoni, Il “vincolo” al precedente dell’Adunanza plenaria ex art. 99, comma 3 c.p.a. e il rispetto dei principi costituzionali, in Foro amm., 2015, 137 ss. Su tale ultimo aspetto, v. Corte giust. Ue, 5 aprile 2016, in c-689/13, Puligienica, secondo cui non è conforme al diritto eurounitario l’art. 99 cod. proc. amm., ove interpretato nel senso che la Sezione semplice, qualora non condivida l’orientamento definito dall’Adunanza Plenaria, sia tenuta a rinviare la questione all’Adunanza Plenaria stessa e non possa adire la Corte di Giustizia ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale e Cons. Stato, Ad. Plen., 27 luglio 2016, n. 19, secondo cui “la sezione del Consiglio di Stato cui è assegnato un ricorso, qualora non condivida un principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria su una questione vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione Europea, può alternativamente: a) rimettere previamente la questione all’Adunanza plenaria affinché questa riveda il proprio orientamento; b) adire la Corte di giustizia ex art. 267 TFUE ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale; c) disattendere direttamente il principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria ove esso risulti manifestamente in contrasto con una interpretazione del diritto dell’Unione già fornita, in maniera chiara ed univoca, dalla giurisprudenza comunitaria”).In conclusione, quest’ultima scelta parrebbe comunque più conforme all’ordinamento costituzionale. Essa però, comporta un dovere di massima chiarezza da parte dell’Adunanza Plenaria, alla quale, ora, sono da rivolgere i medesimi inviti che, sino ad oggi, sono stati perlopiù rivolti al legislatore (si esprime in termini di doveri in capo al legislatore di chiarezza, coerenza e univocità nello stabilire le regole A. Travi, Incertezza delle regole e sanzioni amministrative, in Aa.Vv., L’incertezza delle regole. Annuario 2014 dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Napoli, 2015, 71 ss.).