3 Maggio 2023

Il primo caso di rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Corte d’Appello Napoli, sez. VII, 2 marzo 2023, Pres. D’Ambrosio – Est. Magliulo

[1] Ricorso per cassazione – Rinvio pregiudiziale (art. 363-bis c.p.c.)

Massima: “Ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c., va disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione per la risoluzione di una questione di solo diritto, essenziale ai fini della definizione del giudizio, che pone gravi difficoltà interpretative ed è suscettibile di porsi in numerosi altri giudizi (nella specie, trattasi della questione concernente l’applicabilità del rimedio preventivo di cui all’art. 1 ter l. n. 89/2001, consistente nella proposizione dell’istanza di decisione ex art. 281-sexies c.p.c. nel processo avanti al Giudice di Pace)” 

CASO

[1] Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 2 e 3 della l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), un soggetto chiedeva alla Corte d’Appello di Napoli il riconoscimento di un equo indennizzo per l’eccessiva durata del procedimento svoltosi dinnanzi al Giudice di Pace di Napoli.

L’istanza di indennizzo veniva dichiarata inammissibile dal Consigliere delegato della Corte d’Appello, per mancato esperimento del rimedio preventivo consistente nella proposizione dell’istanza di decisione ex art. 281-sexies c.p.c.

Contro il decreto il ricorrente proponeva opposizione ai sensi dell’art. 5-ter della l. n. 89/2001, censurando la ritenuta applicabilità del modulo decisionale in discorso al processo che si era svolto avanti al giudice onorario.

SOLUZIONE

[1] L’adita Corte d’Appello di Napoli, riscontrando l’esistenza, sul punto, di due possibili interpretazioni espresse in altrettanti e divergenti orientamenti giurisprudenziali, per risolvere la questione controversa (anziché decidere nel merito il ricorso) ha rimesso gli atti alla Suprema Corte ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c., ravvisando la sussistenza dei presupposti normativi del nuovo rinvio pregiudiziale.

In particolare, la corte di merito ha riscontrato la presenza dei requisiti richiesti dall’art. 363-bis c.p.c. nella circostanza per cui: 1) la questione controversia è essenziale ai fini della definizione del contenzioso sub iudice, in quanto, adottando l’una o l’altra opzione interpretativa (adeguatamente riportata all’interno del provvedimento), l’opposizione proposta potrebbe, almeno in parte, essere accolta; 2) sono riscontrabili “gravi difficoltà interpretative”, che la pronuncia si premura di adeguatamente illustrare; 3) infine, lo stesso provvedimento afferma che la questione è destinata a porsi “in numerosi giudizi, anche in considerazione del crescente numero di ricorsi ex l. n. 89/2001 per procedimenti dinanzi al Giudice di Pace”.

QUESTIONI

[1] La decisione della Corte d’Appello di Napoli, a quanto consta, rappresenta la prima pronuncia in materia di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ex art. 363-bis c.p.c.: ciò che ci offre lo spunto per eseguire una essenziale ricognizione del nuovo istituto, voluto dalla recente riforma Cartabia.

Il nuovo art. 363-bis c.p.c., introdotto con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 e rubricato «Rinvio pregiudiziale», prevede, al suo primo comma, che «Il giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto» (per un primo commento, si rinvia ad A. Fabbi, Il rinvio pregiudiziale “alla Corte”, in www.judicium.it, 11 aprile 2023).

La finalità dell’istituto è, evidentemente, quella di ottenere in tempi brevi un principio di diritto su una questione giuridica, senza dovere attendere che la stessa possa essere decisa dalla Corte dopo anni, una volta esaurito l’ordinario iter impugnatorio.

Come chiarito dalla Relazione illustrativa, l’’istituto rivaluta la funzione nomofilattica della Corte, volta a garantire l’uniforme interpretazione del diritto oggettivo nazionale. In tal modo, mediante la rimessione della questione di diritto in tempi celeri, si intende favorire il sorgere di indirizzi giurisprudenziali coerenti e univoci, contribuendo a garantire l’esigenza, sempre più avvertita, della prevedibilità della decisione.

Ancora, dal punto di vista pubblicistico l’istituto può determinare un significativo effetto deflattivo, prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e, con essa, la formazione di contrastanti orientamenti territoriali, in modo tale da prevenire l’insorgenza di contenzioso e garantire una maggiore efficienza e funzionalità al sistema giustizia.

L’art. 363-bis c.p.c. subordina l’accesso al rinvio pregiudiziale al ricorso di una serie di condizioni, ossia quando «1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di cassazione; 2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative; 3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi».

Dunque, la questione deve essere esclusivamente di diritto, deve rivestire natura pregiudiziale (ossia deve costituire l’antecedente logico-giuridico rispetto alla pronuncia definitiva), deve essere nuova, ossia non risolta da altra pronuncia della Cassazione, deve presentare gravi difficoltà interpretative e deve essere di natura seriale (sul punto, R. Masoni, Il primo caso di rinvio pregiudiziale in Cassazione, in Ius Giuffrè, 2023).

L’ordinanza del giudice di merito che dispone il rinvio pregiudiziale deve essere motivata, e con riferimento alla condizione di cui al numero 2) deve recare la specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili (condizione adeguatamente rispettata dal provvedimento in epigrafe).

L’ordinanza è immediatamente trasmessa alla Corte di cassazione e comunicata alle parti.

Il procedimento di merito è sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale.

Il primo presidente, ricevuta l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, entro novanta giorni assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l’enunciazione del principio di diritto, o dichiara con decreto l’inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma. Dunque, il primo presidente effettua un vaglio di ammissibilità della richiesta, verificando la sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 363-bis c.p.c., anche allo scopo di evitare che il nuovo istituto determini un appesantimento nell’operato della Corte e, dunque, aggravi e ritardi nella definizione delle impugnazioni ordinarie.

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti costituite di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’art. 378 c.p.c.

Con il provvedimento che definisce la questione è disposta la restituzione degli atti al giudice.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti.

La vincolatività del principio di diritto opera dunque nei confronti del giudice di merito il quale, laddove non si uniformi a quanto enunciato dalla Cassazione ex art. 363-bis c.p.c., emetterà una pronuncia viziata e impugnabile per mancato rispetto del principio di diritto. Peraltro, il principio di diritto è vincolante e non potrà essere rimesso in discussione non solo da parte del giudice remittente il rinvio, ma anche dal giudice d’appello in sede di eventuale impugnazione e, se del caso, anche dalla stessa Cassazione, laddove la stessa venga adita in sede di ricorso.

La disposizione, peraltro, omette di chiarire il procedimento da seguire per la prosecuzione del giudizio di merito, ma può ragionevolmente trovare applicazione l’art. 297 c.p.c., in materia di sospensione (nello stesso senso, R. Masoni, op. cit.), con conseguente prosecuzione del processo davanti al giudice a quo entro il termine perentorio di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione (ossia, dall’intervenuta comunicazione della pronuncia della Cassazione), pena l’estinzione del giudizio.

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