Il precetto senza l’avvertimento al debitore sull’accesso alle procedure da sovraindebitamento non è nullo ma solo irregolare
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III, sent. 26 luglio 2022, n. 23343, Pres. De Stefano, Est. Saija
Precetto – mancato avviso sulle procedure da sovraindebitamento – opposizione agli atti esecutivi – nullità – mera irregolarità (Cod. Proc. Civ. artt. 156, 480, 617; L. 3/2012)
Massima: “L’omissione dell’avvertimento di cui all’art. 480, comma 2, secondo periodo c.p.c. (introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), del d.l. n. 83 del 2015, conv. In legge n. 132 del 2015) – che prescrive che il creditore precettante debba informare il debitore intimato dell’opportunità di proporre una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla legge 3 del 2012 – costituisce mera irregolarità e non determina la nullità del precetto, giacchè la nuova disposizione non commina espressamente tale sanzione, né essa è altrimenti desumibile, la novella non essendo posta a presidio della posizione processuale del debitore, bensì avendo soltanto l’obiettivo di promuovere o stimolare un più massiccio ricorso a dette nuove procedure”.
CASO
Una società in accomandita semplice e il suo socio accomandatario proponevano opposizione ad un precetto loro notificato da un avvocato per il pagamento dei suoi compensi professionali, per i quali quest’ultimo aveva ottenuto un decreto ingiuntivo.
La società opponente e il suo accomandatario lamentavano che nel precetto fosse stato omesso l’avvertimento di cui all’ultima parte del secondo comma dell’art. 480 c.p.c., siccome modificato dall’art. 13, comma 1, lett. a), D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132 (cioè, in sintesi, l’avvertimento al debitore della possibilità di ricorrere alla procedura di sovraindebitamento) e lamentavano altresì che vi fosse incertezza nella identificazione della parte da escutere, che fosse mancata la preventiva notifica del decreto ingiuntivo e, infine, asserivano che i compensi dell’avvocato erano stati già pagati.
Il Tribunale rigettava integralmente l’opposizione, in parte qualificata come svolta ai sensi dell’art. 615 c.p.c. ed in parte siccome svolta ai sensi dell’art. 617 c.p.c..
Contro i capi qualificati ex art. 617 c.p.c. gli opponenti hanno proposto ricorso per cassazione formulando plurimi motivi, con il primo dei quali – l’unico che rileva ai nostri fini e che pertanto verrà qui analizzato – hanno lamentato la violazione dell’art. 480 c.p.c. per non aver il Tribunale dichiarato la nullità del precetto nonostante l’assenza in esso dell’avvertimento di cui all’ultima parte del secondo comma della detta norma.
La Suprema Corte ha rigettato questo primo motivo di impugnazione, ritenendolo infondato.
SOLUZIONE
La Suprema Corte, confermando sul punto la sentenza impugnata, ritiene che, contrariamente a quanto sostenuto dagli opponenti, “la mancanza del detto avvertimento, in seno al precetto, non possa condurre ad alcuna invalidità dello stesso, trattandosi invece di mera irregolarità”, e ciò sulla base di diverse ed articolare ragioni.
Innanzitutto, dice la Corte, viene in rilievo un dato letterale della norma: il periodo afferente l’avviso de quo, introdotto nell’art. 480 c.p.c. nel 2015, “benchè inserito in prosecuzione a quello originario (ove si commina la nullità dell’atto di precetto in ben specifiche ipotesi), non ribadisce espressamente la sanzione processuale”.
Inoltre, prosegue la Corte, gli elementi formali del precetto alla cui mancanza la norma ricollega espressamente una nullità sono quelli che hanno lo scopo di consentire al debitore di individuare senza incertezze l’obbligazione al cui adempimento viene chiamato, finalità a cui l’avviso in parola è evidentemente estraneo.
Sotto altro profilo, proseguono i Supremi Giudici, “neppure può recuperarsi la sanzionabilità dell’omissione dell’avvertimento, in quanto – in ipotesi – idonea alla lesione di un primario interesse dell’intimato o della sua generale posizione processuale”.
La Corte sottolinea, infatti, che l’avviso in questione non ha lo scopo di impedire al debitore di incorrere in decadenze o in altre conseguenze processuali a sé sfavorevoli, avendo esso “una ratio precipuamente ‘promozionale’ (benchè, in verità, abbastanza eccentrica, per essere contenuta in una disposizione normativa)”. Del resto, prosegue, lo stesso ricorso alla procedura per porre rimedio ad una situazione di sovraindebitamento non è soggetto ad alcun termine, se non a quello “’naturale’ della utilità della procedura stessa”, ed è anche evidente che il debitore che vi ha interesse può accedere a detta procedura anche dopo che un’esecuzione in suo danno è già iniziata.
La Corte confuta poi un’argomentazione spesa dal Procuratore Generale a favore della nullità, e cioè quella in base alla quale l’omissione in questione potrebbe determinare una invalidità formale del pignoramento, “sempre che l’esecutato alleghi e dimostri che, a causa della mancanza dell’avvertimento stesso, egli non abbia potuto tempestivamente accedere ad una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, così subendo un concreto pregiudizio, per non aver potuto evitare l’inizio dell’azione esecutiva, ovvero la vendita o l’assegnazione dei propri beni”. Anche su questo aspetto, i Supremi Giudici ribadiscono l’assenza di un termine di decadenza per l’attivazione della procedura de qua e, soprattutto, evidenziano come l’avvertimento del quale si discute non può essere paragonato, quoad effectum, a quelli di cui all’art. 492, comma 2, c.p.c., afferenti la decadenza (qui effettiva e processuale) del debitore dalla possibilità di ricorrere alla conversione del pignoramento o di proporre l’opposizione all’esecuzione.
Infine, la Corte propone un argomento legato al carattere soggettivo di uno dei due opponenti: l’essere una società (per la precisione una società in accomandita semplice), che, come tale, non ha i requisiti di non fallibilità (oggi di non sottoponibilità a procedure di liquidazione giudiziale) richiesti al soggetto che vuole avvalersi della procedura alla quale l’art. 480 c.p.c., in parte qua, fa riferimento. Sicchè la società non può in alcun modo dolersi dell’omissione dell’avviso nel precetto notificatole.
In esito, quindi, e come anticipato, la Corte rigetta questo motivo di ricorso.
QUESTIONI
Con la sentenza in commento la Suprema Corte fa chiarezza su un tema di grande rilievo per gli operatori, soprattutto a fronte di non poche pronunce di merito che, soprattutto nell’immediatezza della riforma del 2015 che ha introdotto la previsione dell’avvertimento in parola nell’art. 480 c.p.c., hanno propugnato la tesi della nullità del precetto (il tema, ad esempio, è stato trattato nell’articolo di Pasqualina Farina, “Nullità del precetto per mancato avvertimento sulle procedure da sovraindebitamento”, nell’edizione on-line del 14 marzo 2016 di Euroconference Legal, ove veniva riportato il contrasto tra il Tribunale di Milano e il Tribunale di Frosinone).
Che, invece, si tratti di una semplice irregolarità è opinione maggioritaria e sicuramente condivisibile, peraltro ben motivata dalla Suprema Corte con un arresto che offre diversi spunti di riflessione.
Innanzitutto, ricordiamo che, da un lato, e in termini generali, la sanzione della nullità, nel nostro processo civile, deve essere chiaramente comminata dalla legge e, nel caso dell’art. 480 c.p.c., è difficile estendere questa sanzione anche ad un incombente che, come ben rilevato dalla Corte, è previsto in un autonomo periodo del secondo comma del detto articolo dove di essa non si parla; dall’altro lato, e sempre in termini generali, la nullità non può essere dichiarata se l’atto ha raggiunto il proprio scopo, e non è sostenibile che uno degli scopi dell’atto di precetto sia quello di avvisare il debitore della possibilità di accedere a procedure di sovraindebitamento.
Ancora, proseguendo in termini generali, ricordiamo come sia sempre più esteso l’orientamento del giudice nomofilattico in base al quale un vizio processuale può essere sanzionato solo allorchè chi lo lamenta provi anche l’avvenuta lesione di proprie concrete prerogative processuali o sostanziali.
Il rispetto di tutti questi principi generali si rinvengono nella motivazione della sentenza in esame che, manifestando qualche scettiscismo sulla scelta del legislatore di introdurre in un testo normativo quello che non esita a definire un contenuto avente natura meramente “promozionale”, non manca di rilevare come sia allora incomprensibile che l’avviso in questione non contenga anche un riferimento alla possibilità “di ricorrere alla liquidazione del patrimonio, ex artt. 14 ter ss. della legge 3/2012”, estensione che avrebbe completato la ratio “promozionale” e deflattiva del legislatore.
Inoltre, la Corte non manca di rilevare come, evidentemente, questo avviso abbia ragion d’essere solo per le procedure esecutive per espropriazione (esso non avrebbe infatti senso, ad esempio, nelle esecuzioni in forma specifica) e, possiamo aggiungere, sempre sulla scorta di questa pronuncia, senso lo ha solo per le esecuzioni nei confronti di soggetti che possono effettivamente ricorrere a queste procedure, essendo un avviso inutile per le persone giuridiche “fallibili” ma anche, ad esempio, qualora il debitore sia la Pubblica Amministrazione.
Tutti argomenti, anche questi, che supportano l’irragionevolezza della tesi della nullità, soprattutto indiscriminata, dell’atto precetto in caso di mancanza di questo avviso e che rendono il chiarimento reso la pronuncia in questione condivisibile ed opportuno.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia