I poteri di amministrazione del liquidatore nel concordato preventivo con cessione dei beni
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 19 dicembre 2022, n. 37047, Pres. Ferro – Est. Campese
[1] Concordato preventivo – Esecuzione – Concordato con cessione dei beni – Liquidatore – Autorizzazioni.
Massima: “Nel concordato preventivo con cessione dei beni, al liquidatore nominato dal tribunale ex art. 182 l.fall. spettano poteri di gestione e di disposizione finalizzati alla liquidazione dei beni e alla ripartizione del loro ricavato fra gli aventi diritto, senza alcun rilievo di circostanze quali la coincidenza in capo alla medesima persona, e per pregresso incarico, della carica di liquidatore volontario della società debitrice, ciò che conta essendo la funzione pubblicistica alfine assunta. A questa stregua, non sussiste necessità di alcuna autorizzazione, da parte degli altri organi della procedura (per estraneità dell’art. 35 l. fall. tra quelli in richiamo dal cit. art. 182 l.fall.), ai fini della ricognizione del credito di un professionista che sia originato da un rapporto obbligatorio conseguente ad un’attività svolta sotto l’egida dell’operato del liquidatore ed in funzione delle relative operazioni istituzionali, ove infatti conferito dopo la omologazione del concordato. La conseguenza è la piena efficacia di tale dichiarazione, propria di una ricognizione di debito (e non di una promessa di pagamento), verso la procedura medesima e dunque ex art. 1988 c.c., quando sia pacifico che non si tratti di debiti concorsuali, cioè anteriori alla domanda di concordato”.
CASO
[1] La fattispecie decisa dalla Suprema Corte, investita di un ricorso straordinario ex art. 111, 7°co., Cost., riguarda una controversia insorta tra una procedura di concordato preventivo con cessione dei beni di una s.r.l. in liquidazione e un avvocato, che aveva prestato la propria opera professionale a favore della medesima.
Nel dettaglio, dopo l’intervenuta omologazione del concordato, il liquidatore nominato richiedeva a un avvocato di difendere e assistere la procedura contro un istituto di credito in un giudizio di cognizione conclusosi con esito positivo, in quanto sfociante nell’accertamento del fatto che detto istituto aveva incamerato importi indebiti; poiché, però, la procedura non riusciva, contestualmente, a conseguire una pronuncia restitutoria, essendo il conto corrente ricalcolato ancora attivo, l’avvocato richiedeva e otteneva un decreto ingiuntivo, prima opposto dall’istituto di credito e poi dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 648 c.p.c.
L’istituto di credito pagava l’importo oggetto d’ingiunzione con quattro assegni, tre dei quali venivano consegnati dall’avvocato al liquidatore, mentre il quarto veniva consegnato dal liquidatore all’avvocato a garanzia del puntuale saldo delle proprie spettanze.
Tale assegno veniva altresì accompagnato da apposita scrittura privata, sottoscritta dal liquidatore, il cui contenuto è opportuno riportare testualmente: “Lascio l’assegno sopra fotocopiato di € 27.327,69 a mani dell’Avv. […] a garanzia del pagamento delle competenze ad oggi maturate per la causa contro […] n. 678/2010 r.g. del Tribunale di Cremona e per il decreto ingiuntivo n. 950/2015 […], competenze ammontanti a € 27.914,84, comprensive di cap e iva e al netto della ritenuta di acconto. Somma della quale mi riconosco debitore e che sarà liquidata non appena effettuati i necessari adempimenti nella procedura concordataria. Sono escluse dal predetto importo le competenze ancora spettanti all’Avv. […] per la causa di opposizione al decreto ingiuntivo iscritta al n. 2747/2015 r.g. dello stesso Tribunale; competenze, queste, che saranno successivamente quantificate all’esito della stessa causa”.
A seguito dell’intervenuta sostituzione del liquidatore, la richiesta di restituzione dell’assegno veniva formulata al nuovo liquidatore; l’avvocato, a seguito dell’avvenuta riconsegna dell’assegno, formulava allora richiesta di pagamento delle proprie competenze professionali.
Il giudice delegato, su richiesta del nuovo liquidatore, effettuava la quantificazione del compenso per la descritta attività professionale riconoscendo però all’avvocato una somma inferiore rispetto a quella risultante dalla scrittura privata summenzionata; tale quantificazione veniva reclamata ex art. 26 l.fall. dall’avvocato, invocando la vincolatività, nei confronti della procedura, della ricognizione di debito contenuta in tale scrittura, sottoscritta dal liquidatore originariamente nominato dal tribunale contestualmente all’omologazione del concordato preventivo.
Il reclamo veniva rigettato dal Tribunale di Cremona in considerazione del fatto che tale riconoscimento di debito, in assenza di un’autorizzazione degli organi della procedura (tribunale o giudice delegato) non fosse vincolante nei confronti della stessa.
Il decreto del Tribunale di Cremona veniva così fatto oggetto di ricorso straordinario per cassazione, mediante il quale l’avvocato reclamante denunciava, ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c. e degli artt. 167, 182 l.fall., 1388 e 1393 c.c., in relazione agli effetti del riconoscimento del debito con promessa di pagamento rilasciata dal liquidatore nel concordato preventivo della s.r.l.: si censurava, in particolare, il decreto impugnato laddove ha ritenuto non vincolante, perché carente dell’autorizzazione del tribunale o del giudice delegato, la promessa di pagamento/riconoscimento di debito sottoscritta dal liquidatore giudiziale della s.r.l. in liquidazione nominato contestualmente all’omologazione del concordato preventivo presentato da quest’ultima.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte ha giudicato fondato tale motivo di ricorso, con conseguente cassazione del decreto e rinvio della causa al Tribunale di Cremona.
Riprendendo il ragionamento sviluppato dalla Cassazione, nell’ipotesi di concordato con cessione dei beni, l’art. 182, 1°co., l.fall. prevede la nomina, da parte del tribunale, nel decreto di omologazione, di uno o più liquidatori, cui si applicano, giusta il 2°co. del medesimo articolo, le specifiche disposizioni, dettate per il curatore fallimentare, di cui agli artt. 28 (requisiti per la nomina), 29 (accettazione dell’incarico), 37 (revoca), 38 (responsabilità), 39 (compenso) e 116 (rendiconto) l.fall. in quanto compatibili. Manca, invece, il richiamo all’applicazione (anche) dell’art. 35 l.fall., concernente la necessità della integrazione dei poteri del curatore medesimo nel compimento di determinati atti, tra cui quello della ricognizione di diritti di terzi. Ciò dimostra, evidentemente, che il liquidatore nominato ex art. 182 l.fall., cui spettano poteri di gestione e di disposizione finalizzati alla liquidazione dei beni e alla ripartizione del loro ricavato fra gli aventi diritto, non ha bisogno di
autorizzazioni, quali appunto quelle di cui all’art. 35 l.fall., per il compimento degli atti specificamente individuati, tra cui la ricognizione di diritti di terzi, ove gli stessi siano volti alla liquidazione dei beni e alla ripartizione del corrispondente ricavato fra i creditori concordatari.
L’omologazione del concordato con cessione dei beni comporta il trasferimento al liquidatore proprio di quei poteri – di gestione e di disposizione finalizzati alla liquidazione dei beni medesimi e alla ripartizione del loro ricavato fra gli aventi diritto – di cui si è appena detto, che gli vengono affidati in virtù di mandato irrevocabile (ex art. 1723, 2°co., c.c.) che gli è conferito anche nell’interesse dei creditori (cfr. tra le tante, Cass. n. 7661 del 2005; Cass. n. 4728 del 2008; Cass. n. 13340 del 2009; Cass. n. 15699 del 2011; Cass. n. 7021 del 2012; Cass. n. 27897 del 2013; Cass. n. 14052 del 2015; Cass. n. 17606 del 2015; Cass. n. 18823 del 2017; Cass. n. 33422 del 2019).
Pertanto, quando il liquidatore nominato contestualmente al decreto di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni, ebbe a conferire all’avvocato ricorrente gli incarichi giudiziari ricordati, egli ha chiaramente inteso agire nell’ambito di quel mandato conferitogli anche nell’interesse dei creditori concordatari, così intendendo realizzare un credito evidentemente riferibile al complesso dei beni ceduti mediante il concordato omologato. Lo stesso, cioè, ha instaurato con il menzionato professionista un rapporto obbligatorio nel corso e in funzione delle operazioni di liquidazione, sicché piena legittimazione aveva a interloquire quanto agli effetti da esso derivanti per la società proponente il concordato omologato.
Pertanto, – e contrariamente a quanto opinato, sul punto, dal decreto impugnato – certamente gli era consentito procedere, senza necessità di autorizzazione alcuna da parte di altri organi della procedura concorsuale (stante, come si è già detto, il mancato richiamo all’art. 35 l.fall.), ad atti ricognitivi dei diritti di terzi, con i conseguenti effetti da tanto derivanti, ex art. 1988 c.c., per il creditore (avvocato ricorrente).
QUESTIONI
[1] La questione giuridica affrontata e decisa dal provvedimento in commento riguarda la sussistenza, in capo al liquidatore nominato ex art. 182 l.fall. con il decreto di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni, a compiere atti di amministrazione straordinaria (nel caso di specie, un atto ricognitivo di un diritto di un terzo, sub specie di riconoscimento del debito della procedura nei confronti dell’avvocato che la aveva assistita nello svolgimento di alcune iniziative di natura giudiziale) senza l’autorizzazione degli organi della procedura.
Alle ampie e condivisibili argomentazioni spese dal provvedimento in commento – che ha negato la necessità, per il liquidatore, di munirsi di alcun tipo di autorizzazione -, si può aggiungere la considerazione per cui, nel caso di specie, ci troviamo al cospetto di un credito da qualificarsi come prededucibile, ai sensi del previgente art. 111, 2°co., l.fall., che considera tali i «crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali» ivi disciplinate, categoria entro la quale è destinato a confluire, per l’appunto, il credito dell’avvocato che abbia prestato la propria opera professionale nella fase esecutiva di un concordato preventivo con cessione dei beni, allo scopo – in attuazione del piano omologato – di liquidare le poste attive da successivamente ripartire tra i creditori.
L’atto ricognitivo compiuto dal liquidatore, cioè, era risultato funzionale a riconoscere l’esistenza di un debito contratto dalla procedura per poter procedere nella realizzazione (e successiva ripartizione tra i creditori concorsuali) dell’attivo liquidabile, secondo i contenuti della proposta approvata e omologata, sì da non richiedere il rilascio di ulteriori autorizzazioni, stante la riconducibilità dell’atto medesimo a quei poteri di gestione e di disposizione istituzionalmente affidati al liquidatore al momento della sua nomina.
Ancora, è senz’altro opportuno rilevare come tale conclusione sia destinata a conservare la propria validità anche all’interno del nuovo contesto normativo di cui al CCII, dove l’art. 114, 2°co., prevede che si applichino al liquidatore nominato «gli articoli 125, 126, 134, 135, 136, 137 e 231 in quanto compatibili e l’articolo 358», oltre alle disposizioni di cui agli artt. 35, comma 4-bis, 35.1 e 35.2 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ossia le norme, disciplinanti lo statuto del curatore, in materia di: nomina; accettazione; revoca; sostituzione; responsabilità; compenso; rendiconto (oltre alle richiamate disposizioni del Codice delle leggi antimafia). Dunque, parimenti tale norma omette di richiamare l’art. 132 CCII, che al pari del previgente art. 35 l.fall. subordina il potere del curatore di compiere atti di straordinaria amministrazione – tra cui le ricognizioni di diritti di terzi – all’autorizzazione del comitato dei creditori.
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