Il potere del giudice di determinazione del corrispettivo nel contratto di appalto: limiti e criteri
di Emanuela Ruffo, AvvocatoCass. civ. Sez. Sesta Sent., 11/11/2021, n. 33575, Pres. Lombardo, Est. Dongiacomo
Contratto di appalto – Criteri di quantificazione compenso – Onere di dimostrare la congruità dei prezzi
Massima: “L’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha l’onere di dimostrare la congruità della somma, con riferimento alla natura, all’entità e alla consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dal medesimo appaltatore, poiché si tratta di documenti fiscali provenienti dalla parte stessa”.
Disposizioni applicate
Art. 1657 c.c.
CASO
In primo grado il Tribunale ha accolto parzialmente l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dal committente contro l’appaltatore, condannando l’opponente al pagamento di una somma residua quale corrispettivo per i lavori eseguiti dalla società opposta nell’immobile di proprietà dell’ingiunto.
La sentenza è stata quindi impugnata e in secondo grado il giudice ha rigettato la domanda dell’appaltatore e ha revocato il decreto ingiuntivo pronunciato in suo favore.
Secondo la ricostruzione del giudice d’appello, in assenza di un contratto scritto tra le parti come nel caso di specie, sarebbe stato onere dell’appaltatore provare l’esistenza del titolo e l’oggetto dello stesso, gravando sull’opponente l’onere di provare l’adempimento.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto quindi insufficiente la prova fornita dall’appaltatore, non essendo possibile determinare con certezza (né dalla documentazione fotografica, né dalle prove testimoniali assunte) la quantità e la qualità delle opere eseguite.
Nel descritto contesto, la società appaltatrice ha ricorso in Cassazione.
SOLUZIONE
Nella specie la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, sostenendo che in assenza di determinazione del compenso ad opera delle parti, è onere del giudice determinare il corrispettivo della misura conseguentemente dovuta, avendo riguardo, a norme dell’art. 1657 c.c., alle tariffe esistenti o agli sui, ovvero, in mancanza, procedendo direttamente alla relativa determinazione.
QUESTIONI
L’oggetto della sentenza in commento concerne la contestazione e la determinazione del corrispettivo dovuto all’appaltatore in assenza di accordo intervenuto tra le parti.
Nel caso di specie, il committente e l’appaltatore non avevano pattuito il compenso relativo alle opere appaltate. Eseguiti i lavori erano emerse contestazioni sul quantum dovuto all’appaltatore e il giudice del merito – in assenza di assolvimento integrale dell’onere della prova da parte dell’appaltatore – aveva (parzialmente) rigettato le pretese dell’appaltatore.
La Corte di Cassazione interviene sollevando l’applicazione, nella fattispecie in esame, del disposto di cui all’art. 1657 c.c., che impone l’intervento del giudice nella quantificazione dell’importo dovuto, a fronte di lavorazioni effettivamente eseguite, qualora le parti non abbiano pattuito un compenso. Il Giudice, secondo la ricostruzione del giudice di legittimità, dovrà peraltro intervenire qualora l’appaltatore non riesca ad assolvere integralmente all’onere della prova.
La Suprema Corte muove infatti il ragionamento dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità che impone all’appaltatore l’onere di fornire la prova della congruità del corrispettivo richiesto, alla stregua della natura, dell’entità e della consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dall’appaltatore, trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dalla stessa parte (cfr. Cass. 26517/2018, Cass. 10860/2007).
Parimenti la giurisprudenza ha ritenuto che non assolva l’onere probatorio dell’appaltatore la contabilità redatta dal direttore dei lavori, a meno che non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve, pur senza aver manifestato la sua accettazione con formule sacramentali, oppure che il direttore lavori per conto del committente abbia redatto la relativa contabilità come rappresentante del suo cliente e non come soggetto legato a costui da un contratto di prestazione d’opera professionale.
È noto infatti che in assenza di accordo tra le parti, incombe sull’appaltatore l’onere di dimostrare la congruità del proprio corrispettivo.
Tuttavia, ritiene la Corte, il fatto che l’appaltatore non fornisca prova sul punto, o la fornisca in modo insufficiente a ritenere l’onere assolto, non esonera il giudice dal provvedere direttamente alla determinazione del compenso.
L’art. 1657 c.c. infatti dispone che se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo né hanno stabilito il modo di determinarla, essa è calcolata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi. In mancanza è determinata dal giudice.
Al riguardo la Cassazione nella pronuncia in commento ha osservato che l’art. 1657 c.c. conferisce al giudice il potere di determinare il prezzo dell’appalto e tale potere è esercitabile solo ove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore.
Quando invece il contrasto riguardi anche tale aspetto del rapporto, incombe sull’attore anche l’onere di fornire la prova dell’entità e della consistenza di dette opere, non potendo il giudice stabilire il prezzo di cose indeterminate, né, dall’altra parte, offrire all’attore l’occasione di sottrarsi al preciso onere probatorio che lo riguarda (sul punto cfr. Cass. 17959/2016).
Nel caso di specie, avendo la Corte d’Appello comunque ritenuto che alcune delle opere eseguite dall’appaltatore erano state dimostrate in giudizio, non avrebbe potuto sottrarsi al proprio dovere di determinare il corrispettivo della misura conseguentemente dovuta, avendo riguardo, a norma dell’art. 1657 c.c., alle tariffe esistenti o agli usi, ovvero, in mancanza, procedendo direttamente alla relativa determinazione.
Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’appello competente, in differente composizione.
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