5 Settembre 2023

Posizione processuale del terzo garantito da ipoteca su bene del fallito

di Federico Callegaro, Cultore di Diritto Commerciale presso l' Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass. S.U. Sentenza 27 marzo 2023[1],

Parole chiave: Diritto Ipotecario su beni del fallito a garanzia dei crediti di terzi – limitazioni alla partecipazione nelle distribuzioni di proventi derivanti dal realizzo di beni del fallito diversi da quello ipotecato.

Riferimenti normativi: Legge Fallimentare: artt. 31 comma 2, 52 secondo comma,64, 67, 89, 92, 107 comma 3, 108 comma 1; Cod. proc. civ.: art.t 115, 134 b. 4.

CASO

La questione sottoposta a mezzo ricorso alla Suprema Corte con riferimento all’ammissione al passivo di un “diritto di ipoteca su di un bene del fallito, il quale si sia limitato a prestare la garanzia reale per il debito altrui (senza assumere, quindi, alcuna posizione obbligatoria nei confronti del creditore garantito)[2], da intendersi “limitata al ricavato della vendita di tali immobili e che l’opponente non [avrebbe potuto] in alcun modo partecipare alla ripartizione delle somme derivanti dalla liquidazione degli altri beni facenti parte dell’attivo fallimentare”, cui è derivata l’impugnazione da parte di detto creditore.

Con l’Ordinanza Interlocutoria della Prima Sezione[3] viene richiesto alle Sezioni Unite di stabilire:

  1. se il terzo titolare di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento, in virtù di una garanzia costituita per un debito altrui, sia legittimato a far valere il proprio diritto con il procedimento di verificazione del passivo previsto dal Capo V della legge fallimentare (r.d. 267/1942), oppure possa ottenerne la soddisfazione mediante l’intervento nella fase di ripartizione del ricavato della vendita del bene gravato,
  2. se, ai fini della partecipazione al concorso, risulti sufficiente l’accertamento dell’opponibilità della garanzia ai creditori, oppure sia necessaria la verifica dell’esistenza e dell’entità del credito garantito,
  3. se tale verifica debba aver luogo con la partecipazione del debitore garantito, e con quali modalità,
  4. se ed in che modo la decisione adottata in sede di opposizione allo stato passivo possa incidere sull’esercizio del diritto alla rivalsa nei confronti del debitore garantito.

SOLUZIONE

Merita attenzione, preliminarmente in ragione della rilevanza che assume in una realtà finanziaria che ormai da due decenni assiste ad uno sviluppo delle Cartolarizzazioni, in primis quelle dei crediti deteriorati, l’inammissibilità dell’intervento in giudizio, nella fase di legittimità, della cessionaria del credito controverso. Le S.U. dichiarano inammissibile l’intervento della cessionario del credito controverso in base a quanto “ripetutamente affermato” dalla stessa Corte[4] secondo cui “il successore a titolo particolare nel diritto controverso può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito”.  Tale impostazione, sotto l’aspetto pratico[5], deve essere tenuta in considerazione e puntualmente regolamentata nei contratti di cessione di credito – avendo temporalmente riferimento al momento della loro opponibilità ai terzi -, in primis quelli di derivazione bancaria, aventi ad oggetto obbligazioni la cui mancata o parziale ammissione al pertinente Stato Passivo verta già in fase di Giudizio di legittimità[6].

Preliminarmente le S.U. chiariscono come la fattispecie rientri nella figura della “responsabilità senza debito[7], ricordando come essa si caratterizzi in una dissociazione, nella nozione giuridica di obbligazione, tra le categorie:

  • del debito, e quindi del dovere di adempimento cui corrisponde il credito, e
  • della responsabilità, che rappresenta lo stato di assoggettamento dei beni del responsabile, che sopravviene in caso d’inadempimento, essendo al creditore attribuito il diritto di agire in executivis sui beni di chi è estraneo al rapporto obbligatorio[8].

Richiamando l’ordinanza interlocutoria le S.U. sottolineando come le questioni poste si collochino all’interno del sistema del diritto fallimentare (r.d. 267/1942) ricordano che uno dei perni di tale sistema è costituito dall’art. 51 l. fall., che vieta l’avvio, così come la prosecuzione, di azioni individuale esecutive o cautelari sui beni compresi nel fallimento[9].

L’attenzione viene focalizzata su quanto il dibattito, in merito alla prelazione vantata dal titolare dell’ipoteca o del pegno su beni acquisiti alla procedura, “abbia investito non già il tema della possibilità, da parte del detto soggetto, di soddisfarsi, in sede fallimentare, sul bene oggetto della garanzia …, quanto, piuttosto, le modalità processuali attraverso cui ciò debba avvenire”.

Le S.U. riportano l’evoluzione dei differenti Orientamenti di legittimità che si sono susseguiti nel tempo[10]:

  • coloro che hanno sugli immobili compresi nel fallimento diritti di prelazione a garanzia di crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, concorrono alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei relativi immobili senza che i loro crediti siano assoggettati al procedimento di verifica[11]. Insegnamento in merito al quale la Corte[12] si è spinta oltre, escludendo “che il titolare del diritto di prelazione sia facoltizzato ad avvalersi dell’insinuazione al passivo”. In tale secondo intervento viene rimarcata la distinzione tra creditori: a) ammessi al passivo e b) aventi diritto di prelazione su beni del fallito a garanzia di crediti verso terzi. Ciò considerando “tali crediti come passività delle quali il patrimonio del fallito deve essere depurato all’interno del procedimento di liquidazione dell’attivo, prima del progetto di ripartizione del ricavato e dell’erogazione delle somme risultanti da tale liquidazione”.

In tale solco si rileva come l’accertamento finalizzato alla formazione dello stato passivo non possa concernere i diritti reali di garanzia costituiti dal terzo non debitore in quanto essi “si pongono al di fuori dello stato passivo fallimentare, non essendo il terzo creditore diretto del fallito”. Diversamente si darebbe introduzione ad un “anomalo contraddittorio” che vedrebbe parte un debitore diverso dal fallito[13];

  • viene richiesto[14], post riforma nel frattempo intervenuta della Legge Fallimentare[15], di avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo in ragione del fatto che l’art. 52, comma 2, l. fall. considera, oltre ai crediti «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare» quale oggetto dell’accertamento secondo le forme stabilite[16].

Proseguendo nell’excursus le S.U. ricordano come altri elementi a confutazione della diversa tesi, trovino fondamento[17] nei seguenti rilievi:

  1. il mero titolare di prelazione non riveste la qualifica di creditore del fallito;
  2. l’art. 103 l. fall. ha esteso il proprio ambito di applicazione ai beni immobili, ma non contiene oggi l’espresso riferimento alla domanda di separazione, che, viceversa, dovrebbe trovare applicazione ove venga in questione il pegno o l’ipoteca gravanti su beni acquisiti alla massa fallimentare”;
  3. l’art. 92 l. fall. non prevede espressamente che il curatore avvisi il titolare di prelazione sui beni del fallito;
  4. con l’abrogazione dell’art. 108, comma 4, l’avviso di cui al successivo art. 107, comma 3, ha proprio la funzione di consentire al terzo garantito di avere notizia del fallimento e di intervenire in sede di riparto;
  5. un non secondario interesse assume, in particolar modo ora (infra), come la pronuncia si mostri critica anche verso il rilievo relativo “all’esigenza di determinare nell’an e nel quantum, la somma da assegnare, in sede di riparto, al terzo titolare della garanzia” quanto del contraddittorio con il debitore. Le S.U. ritiengono che “non è del tutto irrilevante … solo attraverso tale meccanismo processuale sarebbe possibile, per il curatore, svolgere le contestazioni concernenti l’esistenza e l’entità del credito oggetto di garanzia; in assenza di tale situazione processuale ― si aggiunge ― il rischio sarebbe quello di ammettere al concorso prima e di soddisfare poi un credito in tutto o in parte inesistente”.

Per completezza espositiva si riporta come le S.U. richiamino che “il panorama consegnato dai contributi della dottrina si mostra più frastagliato” del quale, per ragioni redazionali, si riportano alcuni elementi salienti:

  • la presentazione della domanda d’insinuazione si desumeva dall’art. 108, comma 4, l. fall., in quanto prevedeva la notifica dell’estratto dell’ordinanza relativa alla vendita degli immobili anche ai creditori ipotecari iscritti – tali intesi quelli diversi dei creditori del fallito -;
  • una parte della dottrina riconosceva, ai portatori del diritto reale di garanzia, la scelta di giovarsi “dell’uno o dell’altro rimedio” facendolo valere in sede di riparto od insinuandosi al passivo;
  • altra dottrina aveva ritenuto “senz’altro doverosa l’insinuazione per tutti i creditori che vantassero una garanzia reale su beni del fallito” ritenendo, il “problema della possibile partecipazione al concorso del titolare di una nuda prelazione su beni del fallito”, risolto in base al collegamento normativo esistente tra l’art. 51 e l’art. 52 l. fall., in particolare nel contesto di “una lettura coordinata del primo e del secondo comma dell’art. 52”.

Le S.U. sottolineano come le ragioni di dissenso (dottrinale) rispetto alle decisioni della giurisprudenza di legittimità, “orientata ad escludere l’insinuazione”, si fondavano sui seguenti rilievi:

  • all’interno del procedimento di ripartizione dell’attivo fallimentare non sarebbe stato possibile individuare alcun meccanismo di intervento simile a quello dell’esecuzione singolare;
  • il reclamo al tribunale fallimentare contro il provvedimento del giudice delegato (di approvazione del piano di riparto) costituiva uno strumento di tutela a spettro meno ampio di quello offerto dal giudizio ordinario di cognizione che era possibile instaurare, in sede di verifica del passivo;
  • con riferimento a quest’ultimo aspetto, erano pure sottolineate le maggiori difficoltà che, in base allo schema procedimentale delineato dal reclamo ex art. 26 l. fall., si sarebbero frapposte al curatore che avesse inteso eccepire l’inefficacia della garanzia.

Nell’ambito della pur “sommaria descrizione dello scenario dottrinale” le S.U. accennano alle posizioni definite “a presidio” dell’indirizzo tradizionale di legittimità. Significativo, in proposito, nel “dar conto di come nell’attuale formulazione dell’art. 52 l. fall., non siano compresi i diritti reali di garanzia a favore di crediti verso persone diverse dal fallito su beni del fallimento”, che non risulterebbero incisi dalla liquidazione concorsuale del rispettivo bene. L’interessato stesso, infatti, è in grado di trovare soddisfazione delle proprie ragioni di credito in sede di riparto, essendo stato notiziato ex art. 107, comma 3 l. fall., delle operazioni di vendita.

La Corte, riportando in atto il tenore letterale della norma, richiama come, alla data della decisione, il secondo comma dell’art. 390, comma 2, del codice della crisi prevede che si applichino le disposizioni del R.d.16 marzo 1942, n. 267 nonché della legge 27 gennaio 2012, n. 3, alle procedure di fallimento[18], pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. 14/2019 (anche CCII), così come per le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di cui al medesimo comma. Conclude tale passo la Sentenza con “la nuova disciplina non ha quindi efficacia retroattiva[19]. La ratio della necessità argomentativa si poggia su quanto il codice della crisi, in merito, contempli quale “dirompente elemento di novità rispetto al r.d. n. 267 del 1942” assoggettando alla disciplina dell’ammissione al passivo anche la “domanda volta ad assicurare la «partecipazione al riparto»” ai creditori di soggetti terzi che vantino un’ipoteca su beni ricompresi nella procedura. Le S.U. sottolineando  che tale domanda “proprio per il suo oggetto, la giurisprudenza della Corte di legittimità ha sempre ritenuto dovesse essere fatta valere in sede di distribuzione dell’attivo” appaiono così definitivamente legittimare la correttezza dell’interpretazione maggioritaria di legittimità sviluppatasi in merito.

Nel chiarire come attraverso il reclamo[20] viene assicurata la verifica giurisdizionale della pretesa in oggetto, a valere del bene acquisito alla massa, le SU si soffermano sulle obiezioni, a tale riguardo, espresse dal Pubblico Ministero che avrebbe prospettato due inconvenienti: a) restringimento della tutela giurisdizionale ai soli casi di violazione di legge e, b) differimento alla fase distributiva della controversia col titolare di nuda prelazione paventando un ritardo, nella conclusione della procedura concorsuale. Le S.U., riconoscendo la indubbia consistenza, li ritiene valicabili in forza delle seguenti motivazioni[21]:

  • è da escludersi che la formulazione dell’art. 36 l. fall. “laddove consente il reclamo contro gli atti del curatore «per violazione di legge» implichi che il rimedio approntato dal legislatore sconti una qualche inadeguatezza rispetto al fine”, risultando evidente che il limite della violazione di legge escluda la giustiziabilità delle contestazioni relativamente all’operato del curatore quanto alla “convenienza delle scelte amministrative”, diversamente ove si “faccia questione della legittimità delle determinazioni assunte”;
  • sviene evidenziato come non possa dubitarsi dell’effettività “dell’apparato rimediale operante nella fase di riparto dell’attivo”, sottolineandone la sua articolazione in un “doppio grado di merito”;
  • relativamente al rischio di ritardi nella chiusura della procedura concorsuale, in ragione di tale collocazione della controversia, viene precisato che “esso non vale a superare il dato testuale che recapita il diritto vigente”. Sul punto, portando vari esempi, le S,U, puntualizzano che il potenziale ritardo in dipendenza di “reclamo da proporsi dopo la fase di insinuazione al passivo è un dato ineliminabile”;

Nel cassare senza rinvio il decreto impugnato, a norma dell’art. 382, comma 3, c.p.c., le S,U, puntualizzano “in quanto la domanda di insinuazione, riferita al diritto reale di garanzia prestato per debito altrui, non poteva essere proposta”.

Principio di Diritto

A conclusione dell’analisi svolta, la Corte formula i seguenti principio di diritto – che forniscono anche elementi significativi per il derivante modus operandi che i dichiaranti aventi diritto dovranno seguire:

I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento”.

I detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati”;

Avverso il piano di riparto del curatore che escluda o includa (in tutto o in parte) il diritto del titolare della nuda prelazione[22] alla distribuzione delle dette somme, il creditore ipotecario o pignoratizio e, rispettivamente, gli altri creditori interessati al riparto del ricavato della vendita del bene possono proporre reclamo a norma dell’art. 110, comma 3, l. fall.”;

Il reclamo può avere ad oggetto l’esistenza, la validità e l’opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l’an e il quantum del debito garantito”;

Tale accertamento non richiede la partecipazione al giudizio del debitore la cui obbligazione è garantita da ipoteca o da pegno e ha un valore endoconcorsuale, essendo, come tale, non opponibile al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, in sede di rivalsa”.

QUESTIONI

La decisione in parola assume rilievo per tutte quelle fattispecie “pregresse” all’entrata in vigore del CCII, ed ancora oggetto di procedimenti giudiziari sul punto cui, la Pronuncia delle S.U. in ragione dell’istituto della nomofiliachia hanno rilasciato un preciso e complesso Principio di Diritto.

Indubbiamente, peraltro, rilievo assume anche la posizione confermativa in materia limiti all’interpretazione di una norma successiva rispetto a fattispecie, anche diverse da quella specificatamente dedotta in causa, concettizzatesi in epoca antecedente alla sua entrata in vigore.

Almeno un cenno merita[23], pur non potendosi in questa sede approfondire adeguatamente la tematica, richiamare la Pronuncia delle SU n. 9479/2023 in materia di clausole abusive presenti in un contratto in ragione delle cui obbligazioni sia stato ottenuto, nei confronti del debitore, un decreto passato in giudicato in quanto non opposto. Partendo dall’assunto che il garantito abbia rivestito in sede di concessione del finanziamento, garantito dal fallito ed oggetto di decreto ingiuntivo legittimante l’ipoteca iscritta sui beni di quest’ultimo, l’attività richiesta al Giudice in sede fallimentare parrebbe riconducibile a quella, secondo le S.U. in sede espropriativa, definita “fase esecutiva” nel corso della quale il G.E. è richiesto, tra le altre, di “in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo”. Quanto precede partendo dall’assunto del ricorrere, in capo al Giudice dell’Esecuzione, di un “dovere al controllore” al pari del Giudice del monitorio, il quale lo “deve svolgere d’ufficio”. Corre l’obbligo, infine, di segnalare come le S.U. in tale più recente caso, pur in presenza di “estinzione del giudizio di legittimità per rinuncia al ricorso”, hanno reputato “di doversi soffermare su una questione di particolare importanza che trova origine proprio dalla proposizione del ricorso”, in applicazione dell’art. 363, terzo comma, c.p.c., e “di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge”.

Si pensi ad esempio, infra pluris, all’ipotesi di imprenditore fallito che abbia prestato la garanzia al di fuori della sua attività imprenditoriale, ovvero al fideiussore, in ragione di abusivismo che venga ad inficiare la validità, parziale o totale, della garanzia prestata in forza della quale il garante è stato ingiunto[24]., così come del coobbligato principale (si pensi a coniugi, in occasione del finanziamento, “consumatori)”.

Tale interpretazione, quando interessante una fase fallimentare, merita attenzione anche avuto riguardo alla rilevanza data in questa occasione dalle S.U.– costituendone elemento dell’ultimo principio di diritto – alla riconducibilità istituto della endoconcorsualità della decisione che verrebbe assunta in sede di giudizio incardinato in un contesto processuale fallimentare. La Pronuncia, a tale sproposito, richiamando come l’accertamento in sede di reclamo ex art. 36 l. fall. debba ritenersi deve ritenersi operante sul piano endoconcorsuale” precisa “affermazione, questa, che si impone ove si guardi alla cornice in cui esso si colloca, strumentale alla corretta attuazione del riparto dell’attivo fallimentare”. Con riferimento all’ipotesi di fallimento del garante, resterebbe aperta l’ipotesi in cui, in sede concorsuale, fosse affermata l’efficacia del Decreto Ingiuntivo con  conseguente liquidazione del pertinente credito in sede di distribuzione del ricavato dalla vendita cui, peraltro dovrebbe derivare un’azione di recupero nei confronti dell’obbligato principale il quale, in tale fase ben potrebbe eccepire l’abusività della clausola contrattuale – quanto al rapporto sottostante – l’esito del cui contenzioso potrebbe anche non coincidere con quello “endoconcorsuale”.

[1] Data udienza pubblica 22 novembre 2022.

[2] Fattispecie come delineata dalle stesse S.U. nella descrizione dei Fatti di Causa.

[3] Sez. 1, n. 183372022, in cui si sottolinea come “Trattasi di questione che riveste particolare importanza, in considerazione della frequente ricorrenza della fattispecie, dimostrata dal numero dei precedenti riscontrati, che con-sente di attribuire al relativo esame uno spiccato rilievo nomofilattico”.

[4] Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 23 marzo 2016, n. 5759; Cass. 11 maggio 2010, n. 11375; Cass. 4 maggio 2007, n. 10215.

[5] Per immediatezza si riporta subito in nota quanto, per gli altri aspetti viene descritto nel capo finale “Questioni applicate nella pratica”.

[6] Al fine di valutare, eventualmente, una revisione parziale del prezzo di cessione in caso di soccombenza ovvero una forma di definizione congiunta della strategia da seguire per la tutela delle ragioni di credito da tutelare che, di fatto, vedono mutata la soggettività sostanziale ma non quella processuale.

[7] Richiamando Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429, Cass. 2 dicembre 2011, n. 25850.

Tale concetto è contenuto anche in un precedente delle stesse Sezioni Unite, sentenza n. 12476 del 24 giugno 2020 nella quale, con riferimento alla posizione del terzo acquirente del bene oggetto dell’atto impugnato con l’azione revocatoria, il quale pur continuando a mantenere inalterato il diritto di proprietà resta esposto alle ragioni esecutive del creditore, viene chiarito come la sua posizione non sia dissimile a quella del terzo acquirente del bene ipotecato o dato in pegno. Riferendosi, quindi, agli artt. 2910 cod. civ. e 602 cod. proc. civ., la Corte richiama che “proprio la tradizionale e più accreditata dottrina ha da tempo espresso con la significativa formula della cd. Responsabilità senza debito”.

[8] Chiarendo che “l’espressione descrive, cioè, la situazione in cui il terzo non è tenuto all’adempimento del debito, che fa capo ad altri, ma soggiace, nondimeno, all’azione esecutiva del titolare del diritto di prelazione”.

[9] Ad eccezione delle espresse deroghe riprese, non da ultimo, anche dal Nuovo Codice della Crisi di Impresa.

[10] Indicando la prevalenza di Pronunce rilasciate dalla Prima Sezione civile, nell’arco di quasi sessant’anni, che “pur con occasionali divergenze su temi di secondo piano possono dirsi sostanzialmente conformi”.

[11] Cass. 8 aprile 1965, n. 613, Cass. 24 novembre 2000, n. 15186 – in quest’ultima indicandosi come – l’oggetto di tale accertamento non sia il credito, bensì la garanzia ipotecaria in relazione alla sua validità, attualità, ed opponibilità ed eventuale revocabilità -, Cass, 30 gennaio 2009, n. 2429; Cass. 19 maggio 2009, n. 11545; Cass. 26 luglio 2012, n. 13289, in motivazione.

[12] Cass. 8 gennaio 1970, n. 46.

[13] Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540; allo stesso punto di approdo è pervenuta Cass. 10 luglio 2018, n. 18082, con riguardo al diritto di pegno.

[14] Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657.

[15] La Pronuncia richiamata considera quanto previsto, in merito, a seguito della riforma della legge fallimentare introdotta con d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

[16] Richiamando le S.U. ulteriori pronunce in tal senso: riaffermata con riguardo al creditore di soggetto, diverso dal fallito, che vanti un’ipoteca (Cass. 21 gennaio 2021, n. 1067) o un privilegio speciale (Cass. 25 maggio 2022, n. 16939).

[17] Cass. 12 luglio 2019, n. 18790.

[18]  Così come alle altre Procedure perviste dallo stesso art. 390, comma 1.

[19] Nel richiamare l’operatività  “dunque, qui”, del principio posto dall’art. 11 preleggi, come rammentato da un recente proprio precedente, “ove non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva ― e ciò può avvenire espressamente (anche tramite norma di interpretazione autentica) ovvero implicitamente (la retroattività essendo anche desumibile, se inequivocabile, in via interpretativa dalla disposizione interessata) ―, un tale potere non è esercitabile dal giudice, neppure per il tramite del procedimento analogico, essendo l’efficacia temporale della fonte disponibile solo per il legislatore e pure per esso in termini tali da non poterne fare uso arbitrario” (Cass. S.U. 28 gennaio 2021, n. 2061, la quale a sua volta cita sia precedenti del Giudice delle Leggi (Corte cost., sentenze n. 104 e n. 194 del 2018) che pronunce di legittimità (Cass., S.U., 13 novembre 2019, n. 29459 e Cass., S.U., 7 maggio 2020, n. 863)).

[20] Inclusi gli eventuali gravami.

[21] Che si riportano in sintesi.

[22] Si richiama, infra pluris, l’articolata analisi e il richiamo dell’evoluzione dottrinale unitamente a quella giurisprudenziale di merito (V. Cederle, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 7/2011).

[23] Con riferimento al penultimo Principio di diritto prima riportato in materia di an e quantum del debito garantito.

[24] In materia di clausole abusive presenti in fideiussioni bancarie su richiamano S.U. n. 41994/ 2021.

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