19 Marzo 2024

Posizione delle Sezioni Unite sul c.d. travisamento della prova

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. un., 5 marzo 2024, n. 5792, Pres. Virgilio, Est. Di Marzio

[1] Ricorso per cassazione – travisamento della prova

“Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4), c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4) e 5), c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale”.

CASO

[1] Il massimo organo di nomofilachia è stato adito all’esito del giudizio di merito coinvolgente, da un lato, gli eredi di un noto pittore e, dall’altro, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, convenuti per la restituzione di un’opera d’arte dell’artista.

Avverso la sentenza di appello – che, riformando la pronuncia di prime cure, aveva rigettato la domanda restitutoria -, gli eredi del pittore proponevano ricorso per cassazione, articolato in sei motivi.

Con ordinanza interlocutoria del 27 aprile 2023, n. 11111, la terza sezione della Corte ha ritenuto che i primi tre motivi ponessero la questione del travisamento del contenuto oggettivo della prova, e che al riguardo vi fosse un contrasto giurisprudenziale, rimettendo perciò gli atti per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite alla Prima Presidente, che ha provveduto in conformità.

Le Sezioni Unite sono state così chiamate a dirimere il conflitto insorto nella giurisprudenza della Suprema Corte circa la possibilità di dedurre in sede di legittimità, per il tramite dell’art. 360, n. 4), c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c. determinata dall’essere il giudice di merito incorso nel c.d. travisamento della prova.

SOLUZIONE

[1] Il contrasto denunciato dall’ordinanza di rimessione viene risolto con la pronuncia del seguente principio di diritto: “Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4), c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 360, nn. 4) e 5), c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale”.

QUESTIONI

[1] La giurisprudenza della Cassazione è rimasta ferma per decenni nell’escludere che il travisamento della prova costituisca vizio di legittimità tale da giustificare il ricorso per cassazione, salva – prima della novella del 2012 dell’art. 360, n. 5), c.p.c. – la possibilità di effettuare un controllo motivazionale. Il contrasto giurisprudenziale denunciato nasce proprio sulla scia di tale riforma, la quale, restringendo le maglie del vizio motivazionale ex art. 360, n. 5), c.p.c., ha spinto la giurisprudenza a interrogarsi sulla possibilità di veicolare il travisamento della prova quale censura spendibile ex art. 360, n. 4), c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c.

Tra i precedenti più risalenti possiamo qui ricordare Cass., 16 maggio 1968, n. 1536, secondo la quale “in sede di legittimità è precluso non solo il riesame delle prove la cui valutazione sia stata fatta in modo difforme da quella prospettata dal ricorrente, ma altresì l’accertamento di un eventuale travisamento delle prove stesse, essendo il controllo possibile solo se tale vizio logico si traduca in una insufficienza di motivazione”.

Assolutamente costante nel tempo è stata, altresì, l’affermazione della massima secondo cui “l’aver dato per pacifico un fatto, che si pretende contestato, non può costituire materia di ricorso per cassazione, anche se l’apprezzamento del giudice sia frutto di travisamento, soccorrendo in tal caso il rimedio della revocazione” (Cass., sez. un., 30 maggio 1966, n. 1412; successivamente, Cass. 18 luglio 1966, n. 1947; Cass. 14 gennaio 1967, n. 143; Cass. 31 gennaio 1967, n. 288; Cass. 30 marzo 1967, n. 696; Cass. 6 giugno 1967, n. 1244; Cass. 24 gennaio 1968, n. 197; Cass. 3 maggio 1968, n. 1376; Cass. 14 ottobre 1968, n. 3272; Cass. 29 gennaio 1969, n. 252).

Anche in tempi più recenti si è affermato che l’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione

acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c., mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c., ove si ricolleghi a una valutazione e interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti (Cass. 14 novembre 2012, n. 19921; Cass. 14 marzo 2016, n. 4893).

In relazione al c.d. travisamento per omissione, poi, la Cassazione ha giudicato la denuncia del vizio “inammissibile sia che lo si configuri come errore revocatorio, sia come vizio di motivazione su punto decisivo della controversia. […] il vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5), c.p.c., postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che questi, percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo di modo che l’omissione si risolve in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in maniera insufficiente o illogica. Invece se l’omessa valutazione dipende da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente e immediatamente rilevabile, inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto, deducibile esclusivamente con impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c.” (Cass., 27 luglio 2005, n. 15672).

A tale orientamento tradizionale ha recentemente aderito anche Cass., 29 marzo 2023, n. 8895 (in Riv. dir. proc., 2023, con nota di V. Capasso, Sul travisamento della prova nel processo civile), secondo la quale o il travisamento della prova è il prodotto di un errore percettivo del giudice, e allora il rimedio è la revocazione, o è il prodotto di un errore valutativo, e allora non v’è rimedio (né in sede di revocazione né) in sede di legittimità.

Diversa (e minoritaria) è la posizione dell’ordinanza di rimessione n. 11111/2023, secondo la quale occorrerebbe distinguere il travisamento del fatto in cui sia caduto il giudice di merito, riconducibile all’area di applicazione dell’art. 395, n. 4), c.p.c., in concorso delle condizioni ivi previste, dal travisamento della prova, che ricorrerebbe nel caso in cui il giudice di merito abbia formato il proprio convincimento avvalendosi di una informazione probatoria frutto di errore di percezione del contenuto oggettivo della prova, e cioè abbia adottato una decisione viziata da un errore collocato non già sul versante della valutazione della prova, sottratto al giudizio di legittimità, bensì su quello percettivo: il travisamento cadrebbe cioè sul «significante» e non sul «significato» della prova, e avrebbe portata percettiva e non valutativa. In questo caso il travisamento della prova sarebbe denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c. per violazione dell’art. 115 c.p.c., disposizione che, nell’imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, consentirebbe di censurare anche le decisioni basate su «informazioni probatorie che non esistevano nel processo», alle ulteriori seguenti condizioni: i) il contenuto informativo abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; ii) l’errore abbia carattere decisivo, e cioè tale da aver condotto a un esito diverso da quello che, in termini di certezza, sarebbe stato raggiunto in assenza del travisamento. Secondo tale provvedimento, il travisamento della prova andrebbe così a collocarsi in uno spazio logico che non è né quello dell’errore percettivo destinato a essere intercettato dalla revocazione, né quello dell’errore valutativo sottratto al giudizio di legittimità: si ipotizza trattarsi di un errore percettivo ― un «errore di percezione del contenuto oggettivo della prova» ― denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c., per il tramite dell’art. 360, n. 4), c.p.c., giacché il giudice incorrerebbe in una violazione della norma sulla disponibilità delle prove (non solo nei casi espressamente contemplati dalla disposizione, ma anche) quando pone a fondamento della decisione non «prove proposte dalle parti», ma prove che nel processo non hanno riscontro, non esistono affatto. Si tratterebbe, in altri termini, di un «errore revocatorio che però consente il ricorso al giudice di legittimità»: un errore revocatorio che non ricadrebbe entro l’ambito di applicazione dell’art. 395, n. 4), c.p.c., bensì dell’art. 360, n. 4), in relazione all’art. 115 dello stesso codice.

Le adite Sezioni Unite muovono, nel proprio ragionamento, dalla definizione del travisamento della prova, idoneo, secondo il massimo organo di nomofilachia, a ricomprendere in sé sia il momento dell’errore percettivo del dato probatorio, sia il momento dell’errore, collocato sul piano dell’inferenza logica, nell’identificazione del contenuto informativo desumibile dal dato probatorio. In tal modo, il concetto viene dilatato ben al di là della semplice percezione del significante, come ipotizzato dall’ordinanza di rimessione: esso non consta soltanto dell’errore nella mera percezione del dato probatorio fermo nella sua oggettività, ma si estende all’individuazione, per via di inferenza logica, del contenuto informativo che dal significante si stima potersi desumere.

Ciò posto, le Sezioni Unite costruiscono ampia parte dell’impianto argomentativo del provvedimento sui rischi insiti nell’accoglimento della tesi – patrocinata dall’ordinanza di rimessione – favorevole ad ammettere il ricorso per cassazione per travisamento della prova: ciò comporterebbe, con tutta evidenza, un ampliamento dell’accesso al ricorso per cassazione, palesemente tradendo gli obiettivi della novella che, nel 2012, ha inciso sul n. 5) dell’art. 360 c.p.c., nel significato poi consacrato sin dall’arresto di Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053.

Tale intento di neutralizzare la portata della riforma del 2012 attraverso l’introduzione della sindacabilità per cassazione del travisamento della prova deve dunque essere disatteso: ammettere la ricorribilità per cassazione (anche) in caso di travisamento della prova rischierebbe, infatti, di far scivolare il giudizio di cassazione verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sull’intero compendio delle carte processuali, assegnando alla Corte di cassazione il potere di rifare daccapo il giudizio di merito.

Prive di fondamento sono poi ritenute le preoccupazioni sollevate dall’ordinanza di rimessione, secondo la quale negare la sindacabilità col ricorso per cassazione del travisamento della prova significherebbe assecondare il consolidarsi di “un’inemendabile forma di patente illegittimità della decisione, in contrasto con il principio dell’effettività della tutela, qualora essa si fondi sulla ricognizione obbiettiva del contenuto della prova che conduca ad una conclusione irredimibilmente contraddetta, in modo tanto inequivoco quanto decisivo, dalla prova travisata, su cui le parti hanno avuto modo di discutere”. Un travisamento della prova non denunciabile per revocazione, che occorrerebbe spendere nel giudizio di legittimità, secondo le Sezioni Unite non esiste: al travisamento della prova, come detto, possono ricondursi sia il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, sia il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi. E se il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione, il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi è, come è sempre stato, affare del giudice di merito, sottratto al giudizio di legittimità – a condizione, beninteso, che il giudice di merito si sia speso in una motivazione eccedente la soglia del c.d. minimo costituzionale.

Rilevanti, poi, sono i passaggi in cui le Sezioni Unite definiscono i confini tra il travisamento della prova e l’errore revocatorio: quest’ultimo, cioè, ricorrerebbe soltanto in caso di svista del giudice nella consultazione degli atti del processo, svista che può avere ad oggetto fatti sostanziali e processuali quale l’avvenuto deposito di documenti, sempre che, ovviamente, tra la svista concernente il fatto e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (sul punto, Cass., sez. un., 23 gennaio 2009, n. 1666).

Il fatto supposto esistente o inesistente, come noto, non deve aver costituito un punto controverso sul quale il revocando provvedimento si è pronunciato; è quindi esclusa la rilevanza dell’errore, che per ciò stesso cessa di essere un errore revocatorio e assume i caratteri dell’errore di giudizio, quando sul fatto il giudice si sia pronunciato, giacché l’errore percettivo è intrinsecamente incompatibile con il giudizio. Ora, il fatto supposto esistente o inesistente, che non deve aver costituito un punto controverso sul quale il revocando provvedimento si è pronunciato, è il fatto probatorio rilevante per il giudizio.

Ove però dovesse accadere (immaginando un caso limite e particolarmente patologico) che l’errore percettivo sul fatto probatorio non possa essere intercettato mediante la revocazione ex art. 395, n. 4), c.p.c., perché controverso tra le parti e oggetto di pronuncia giudiziale, occorre interrogarsi, secondo le Sezioni Unite, sulle modalità per contrastare tale “inemendabile forma di patente illegittimità della decisione”.

In tale (fortemente patologica) ipotesi, il massimo organo di nomofilachia ritiene che nulla osti alla formulazione del motivo di cui, a seconda dei casi, ai nn. 4) e 5), dell’art. 360 c.p.c. Nella fattispecie considerata, infatti, il giudice ha pur sempre supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita: il fatto posto a sostegno della decisione, quantunque il giudice abbia deciso, non esiste nei termini in cui egli lo ha recepito. Sicché, l’affermazione secondo cui, se l’errore è frutto di un’omessa percezione del fatto, essa è censurabile ex art. 360, n. 5), c.p.c., se si riferisca a fatti sostanziali, ovvero ex art. 360, n. 4), c.p.c., ove si tratti di omesso esame di fatti processuali (Cass., 26 maggio 2021, n. 14610; Cass., 21 luglio 2010, n. 17110), va estesa al caso in cui il giudice di merito abbia supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

Da tale sviluppo argomentativo è quindi derivata la pronuncia del principio di diritto sopra riportato.

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