Pluralità di ricorsi per la dichiarazione di fallimento: i ricorsi successivi non devono essere notificati al debitore
di Giuseppe Bertolino Scarica in PDFCassazione civile, Sezione VI, Ordinanza, 7 gennaio 2016, n. 98.
Pres. Ragonesi. Rel. Genovese
Procedimento per la dichiarazione di fallimento – notificazione del ricorso e del decreto di convocazione – notificazione di ricorsi successivi – esclusione (r.d. 16 marzo 1942 n. 267, legge fallimentare, art. 15)
[1] Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento al debitore, cui sia stato regolarmente notificato il ricorso nel rispetto delle forme previste dalla legge, non devono essere notificati i successivi ricorsi che si inseriscano nel medesimo procedimento, avendo egli l’onere di seguire l’ulteriore sviluppo della procedura e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine ad essa, a tutela dei propri diritti.
Cancellazione società registro imprese – natura costitutiva – estinzione società di capitali e cooperative – estensione all’impresa individuale – esclusione (cod. civ., art. 2495; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, legge fallimentare, art. 15)
[2] La disciplina di cui all’art. 2495 cod. civ., secondo la quale l’iscrizione della cancellazione delle società di capitali e delle cooperative dal registro delle imprese, avendo natura costitutiva, estingue le società, anche se sopravvivono rapporti giuridici dell’ente, non è estensibile alle vicende estintive della qualità di imprenditore individuale il quale non si distingue dalla persona fisica che compie l’attività imprenditoriale, sicché l’inizio e la fine della qualità di imprenditore non sono subordinati alla realizzazione di formalità, ma all’effettivo svolgimento o al reale venire meno dell’attività imprenditoriale.
Stato di insolvenza – attivo superiore al passivo – dichiarazione di fallimento – non esclusione
(r.d. 16 marzo 1942 n. 267, legge fallimentare, art. 5)
[3] La stato di insolvenza non è escluso dalla circostanza che l’attivo superi il passivo, in quanto il significato oggettivo dell’insolvenza, che è rilevante ai fini della dichiarazione di fallimento, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa.
CASO
[1] [2] [3] Un imprenditore individuale veniva dichiarato fallito dal Tribunale di Vasto sulla base di due ricorsi proposti in via successiva da distinti creditori. La seconda istanza non veniva notificata al debitore, ma il Tribunale basava la propria decisione su tale istanza.
L’imprenditore fallito proponeva reclamo alla Corte di Appello de L’Aquila, rilevando che il Tribunale avrebbe violato il suo diritto di difesa, non essendogli stata notificata l’istanza del secondo creditore, sulla quale è stata basata la dichiarazione di fallimento; lamentava, inoltre, che il Tribunale non avrebbe tenuto conto che al momento della dichiarazione di fallimento l’impresa individuale era stata cancellata dal registro delle imprese con la conseguenza che, in applicazione estensiva dell’art. 2495 c.c., avrebbe potuto soddisfare i creditori con la liquidazione del proprio patrimonio immobiliare che superava il passivo accumulato dall’impresa.
La Corte di Appello rigettava il reclamo e confermava la dichiarazione di fallimento.
L’imprenditore proponeva ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] [2] [3] La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.
Secondo la Corte, al debitore, cui sia stato regolarmente notificato il ricorso per dichiarazione di fallimento, non devono essere notificati i successivi ricorsi che si inseriscano nel medesimo procedimento, avendo egli l’onere di seguire l’ulteriore sviluppo della procedura e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine ad essa, a tutela dei propri diritti.
La Corte ha pure affermato che le vicende estintive della qualità di imprenditore individuale non sono subordinate alla formalità della cancellazione dal registro delle imprese, come previsto dall’articolo 2495 c.c. per le società di capitali e per le cooperative, bensì all’effettivo svolgimento o al reale venir meno dell’attività d’impresa. Come corollario la Corte ha precisato che la circostanza che l’attivo dell’imprenditore individuale superi il passivo, non esclude lo stato di insolvenza.
QUESTIONI
[1] La Suprema Corte affronta l’ipotesi della pluralità di ricorsi nel procedimento per la dichiara- zione di fallimento ribadendo che, anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n.5 e dal c.d. decreto correttivo d.lgs. 12 settembre 2007, n.169, i ricorsi successivi, che si inseriscano nel medesimo procedimento, non devono essere notificati al debitore.
È onere del debitore, dunque, seguire l’ulteriore sviluppo del procedimento.
Secondo la Corte di Cassazione la circostanza che il fallimento venga dichiarato su istanza di un creditore diverso rispetto a quello che da cui proviene la notificazione del ricorso non lede il diritto di difesa.
Questo principio, secondo la Corte, non è in contrasto con l’attuale testo dell’art. 6 l.fall., che prevede che la dichiarazione di fallimento possa intervenire solo ad istanza della parte privata o del pubblico ministero, giacché la sentenza dichiarativa è pur sempre unica e destinata a produrre effetti nei confronti dell’universalità dei creditori (Cass. civ., Sez. I, 6 novembre 2013, n. 24968).
L’orientamento giurisprudenziale, costante e consolidato nel vigore della disciplina anteriore alla riforma della legge fallimentare del 2006, non è motivato sulla dichiarabilità d’ufficio del fallimento (abrogata dalla riforma del 2006), ma sul rilievo che il debitore ha l’onere di seguire lo sviluppo della procedura e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine ad essa, a tutela dei propri diritti (ex plurimis Cass. civ., Sez. I, 7 marzo 2008, n. 6191).
L’indirizzo della Corte, tuttavia, è da valutare alla luce della natura del procedimento fallimentare post-riforma e della giurisprudenza di legittimità in materia di desistenza dall’istanza di fallimento.
La riforma del 2006 ha superato la concezione inquisitoria che sorreggeva il precedente sistema dell’istruzione pre-fallimentare ed affermato la natura dispositiva del giudizio pre-fallimentare, sebbene attenuata da poteri di indagine del Tribunale.
La Corte di Cassazione ha osservato che “la nuova disciplina del fallimento, escludendo la possibilità della dichiarazione di fallimento d’ufficio (art. 6 L. Fall. nella nuova formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006), attua il principio della terzietà del giudice, ed avvalora definitivamente la tesi secondo cui il ricorso del creditore non costituisce attività meramente sollecitatoria della dichiarazione di fallimento, ma costituisce esercizio di un’autonoma azione volta alla tutela del diritto di credito dell’istante” (Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2010, n. 18620).
Tale conclusione è confermata dal fatto che l’iniziativa del creditore non si arresta alla presentazione della istanza di fallimento, ma richiede anche la partecipazione dello stesso alla istruttoria fallimentare, in cui, accanto al potere del Tribunale di disporre d’ufficio indagini ed accertamenti, si pone il diritto alla prova delle parti in un processo, in cui, come emerge dalla disciplina dettata dall’art. 15 l.fall., il legislatore ha inteso salvaguardare i principi del contraddittorio, della paritaria difesa, oltre che il diritto alla prova e l’esigenza di speditezza del processo.
La natura (sostanzialmente) dispositiva del giudizio pre-fallimentare, induce a considerare la possibilità di applicare la disciplina della contumacia del convenuto nel processo civile.
L’art. 292 c.p.c. stabilisce che atti contenenti domande nuove devono essere notificati al contumace.
Secondo la dottrina prevalente [per tutti Ciaccia Cavallari, Contumacia, in Digesto civ., IV, Torino, 1989, 326] e la giurisprudenza (ex plurimis Cass. civ. Sez. III, 17 gennaio 2001, n. 574), la previsione contenuta nell’art. 292 c.p.c. affonda le sue radici nel principio del contraddittorio, del quale rappresenta una particolare applicazione, a tutela del diritto di difesa al contumace.
Nel giudizio pre-fallimentare, il giudice può pronunciarsi nel merito solo in presenza di iniziativa proposta da soggetto legittimato ed a condizione che la domanda sia mantenuta ferma, cioè non rinunciata.
La Suprema Corte ha pure affermato che “la desistenza dell’unico creditore istante intervenuta anteriormente alla pubblicazione della sentenza di fallimento, pur se depositata solo in sede di reclamo avverso quest’ultima, determina la carenza di legittimazione di quel creditore e la conseguente revoca della menzionata sentenza” (Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2013, n. 21478).
Tuttavia, secondo il principio enunciato dalla decisione in esame, il debitore che abbia ricevuto la notifica del primo ricorso, pur se ha ottenuto la desistenza del primo creditore, potrebbe comunque essere dichiarato fallito sulla base di una istanza mai notificata.
In conclusione, la natura (sostanzialmente) dispositiva del giudizio pre-fallimentare e la giurisprudenza di legittimità in ordine alla desistenza dall’istanza, inducono a ritenere che il ricorso successivo a quello regolarmente notificato al debitore sia da considerare una domanda nuova proposta “dal creditore che persegue un interesse autonomo rivolto esclusivamente alla tutela privatistica del proprio diritto di credito” (Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2010, n. 18620) e, pertanto, la mancata notifica al contumace appare violare il diritto di difesa del debitore.