Il piano attestato non sempre esonera dalla revocatoria fallimentare
di Luca Iovino Scarica in PDFCassazione Civile sez. VI, 5 luglio 2016 n. 13719
Piano attestato di risanamento ex art 67, III co. lett. f) l .fall – Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Inidoneità del piano al conseguimento del risanamento dell’impresa – Esenzione da revocatoria fallimentare – Esclusione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, legge fallimentare, art 67)
[1] Gli atti di esecuzione del piano attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lett. f) l .fall, non sono soggetti alla revocatoria fallimentare soltanto se risultano inserirti in un piano del quale emerga – sulla base di un giudizio compiuto ex ante dal giudice – la manifesta attitudine al raggiungimento dei propri scopi di risanamento dell’impresa.
CASO
[1] Il giudice delegato ad un fallimento rigetta l’istanza di ammissione al passivo proposta da una banca per un credito pignoratizio erogato in favore dell’impresa poi dichiarata fallita, in esecuzione di un piano attestato di risanamento ex art. 67 lett. f) l, fall. (nella sua formulazione precedente alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134).
La banca creditrice non viene ammessa al privilegio pignoratizio in accoglimento dell’eccezione del curatore, secondo il quale la garanzia pignoratizia era assoggettabile a revocatoria fallimentare poiché inserita in un piano attestato ritenuto – con valutazione ex ante – inidoneo alla realizzazione del risanamento .
Il collegio, in esito all’opposizione allo stato passivo proposta dalla banca creditrice, ammette il credito come da insinuazione ritenendo non potersi accedere alla richiesta della curatela di revocatoria della garanzia del finanziamento.
La curatela del fallimento propone ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale fallimentare
SOLUZIONE
[1] La corte cassa il decreto.
Dopo avere premesso che al fine della esenzione dalla azione revocatoria il giudice deve valutare la “ragionevole possibilità di attuazione del piano attestato” Corte enuncia il principio di diritto secondo cui, ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lett. f) l. fall., il giudice, per ritenere non soggetto alla revocatoria un atto, che è stato posto in essere in esecuzione di un piano attestato, “ha il dovere di compiere, con giudizio ex ante, una verifica mirata alla manifesta attitudine all’attuazione del piano di risanamento”.
QUESTIONI
[1] Il piano attestato di risanamento è uno strumento privatistico di soluzione della crisi di impresa che viene adottato dall’imprenditore, previa attestazione proveniente da professionista iscritto nel registro dei revisori legali dotato di requisiti di indipendenza rispetto all’impresa.
Prima della modifica dell’art. 67, terzo comma, lett. f) l. fall. introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, oggetto dell’attestazione era la “ragionevolezza” del piano; la nuova formulazione della norma fa uso del termine “fattibilità” del tutto affine.
Ai sensi dell’art.67, terzo comma, lett f) l. fall. gli atti posti in essere in esecuzione di un piano, regolarmente attestato, sempre che esso appaia idoneo a consentire il risanamento dell’impresa, sono esentati da revocatoria fallimentare nell’eventualità in cui venisse dichiarato il successivo fallimento dell’impresa, .
La Cassazione, nella sentenza in commento, afferma che il giudice fallimentare al fine di escludere la revocatoria ha l’obbligo di effettuare un giudizio di ragionevolezza (oggi, fattibilità) del piano attestato, ulteriore rispetto a quello effettuato dagli attestatori.
Il giudice di merito, dunque, indipendentemente dall’attestazione, dovrà compiere una valutazione in ordine alla ragionevole possibilità di attuazione del piano di risanamento; soltanto nel caso di esito positivo di tale accertamento, potrà ritenere gli atti compiuti in esecuzione del piano non soggetti a revocatoria,
Viene dunque escluso ogni automatismo tra l’attestazione del piano da parte dei professionisti e l’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare per gli atti posti in essere in esecuzione del piano.
L’orientamento della corte, sebbene conforme al dato letterale della norma ed in linea con la giurisprudenza formatasi in materia di sindacato di fattibilità del piano nel concordato preventivo, porta con sé il rischio di limitare l’operatività del piano attestato.
L’esenzione dalla revocatoria sancita dall’art. 67, terzo comma, lett. f) l. fall. svolge infatti, l’importante funzione di rimuovere l’ostacolo alla conclusione di contratti con l’impresa in crisi rappresentato, per i terzi contraenti, dal rischio di subire gli effetti negativi della revocatoria.
Attraverso l’esenzione viene ampliata la possibilità per l’imprenditore di rinvenire soggetti disposti a concludere i contratti previsti dal piano attestato che possano agevolare il risanamento dell’impresa..
La prospettiva che l’attestazione di fattibilità (o la ragionevolezza) del piano possa essere messa in discussione a seguito di fallimento e che, conseguentemente, tali atti possano essere revocati, rende certamente più difficile, per l’impresa in crisi, rinvenire nel mercato partners contrattuali che le consentano l’attuazione del piano attestato.
In senso contrario alla pronuncia in commento, cfr. Trib. Palermo 5.05.2016; in relazione alla configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per gli atti compiuti in esecuzione del piano cfr. Cass. penale sez. V, 8 genn. 2016 n. 892. in questa Rivista 16.05.2016, nota di Iovino).