Piani di rientro e ricognizione di debito nel contenzioso bancario: cenni
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFI rapporti banca/cliente spesso sono regolati da piani di rientro (rateizzazione del debito) e ricognizioni di debito (dichiarazioni unilaterali recettizie confermative di un preesistente rapporto fondamentale).
Secondo la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 20689/2016; Cass. n. 25544/2018; Cass. n. 22588/2020; Cass. n. 2855/2022) la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi“, da cui deriva una semplice “relevatio ab onere probandi“, che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale.
In definitiva, ogni effetto vincolante della ricognizione di debito viene meno ove sia giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento.
Anche il riconoscimento del debito, dunque, non esime dalla verifica della validità degli addebiti applicati al cliente, sicché resta valida ed efficace la successiva ricognizione della nullità delle clausole negoziali preesistenti.
Per quanto in particolare riguarda il contenzioso bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, avente natura meramente ricognitiva del debito, non preclude la contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti e non esonera pertanto la banca, attrice in giudizio per il pagamento del saldo, dal documentare le condizioni convenute nel contratto di conto corrente, che è soggetto alla forma scritta ad substantiam a norma dell’art. 117 TUB (così Cass. n. 2855/2022).
È stato inoltre precisato (cfr. Cass. n. 23246/2017; Cass. n. 22588/2020) che la promessa di pagamento o la ricognizione di debito, anche se titolate, divergono dalla confessione in quanto, mentre le prime consistono in una dichiarazione di volontà intese ad impegnare il promittente all’adempimento della prestazione oggetto della promessa medesima, la seconda consiste nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante ed ha, perciò, il contenuto di una dichiarazione di scienza; è tuttavia possibile che, nel contesto di un unico documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista una confessione di fatti pertinenti al rapporto fondamentale la quale, avendo valore di prova legale (ad es. circa l’esistenza del credito) preclude la prova contraria ex art. 1988 c.c. (nella specie, sull’inesistenza o sull’estinzione della prestazione promessa), salva la eventuale revoca della confessione per errore di fatto o violenza.
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