17 Ottobre 2023

Pericolo di crolli e responsabilità del danno dell’immobile locato. Quali sono gli obblighi delle parti?

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte Suprema di Cassazione, Sez. II, Civile, Ordinanza n. 5735 del 24 febbraio 2023, Pres. Dott. Raffaele Frasca, Rel. Dott. Stefano Giaime Guizzi.

“Il conduttore di un immobile ad uso diverso da quello abitativo, il quale, in presenza di un accertato pericolo di crolli, poi effettivamente verificatisi, abbia subito un danno, può essere considerato esclusivo responsabile del danno soltanto qualora, a seguito di offerta del locatore ex art. 1207 cod. civ. di procedere all’esecuzione dei lavori di manutenzione, necessari per eliminare il pericolo, accompagnata dall’offerta di un provvisorio trasferimento del godimento per lo svolgimento della sua attività in altro locale messogli a disposizione dal locatore, abbia rifiutato ingiustificatamente di trasferirvisi provvisoriamente”.

CASO

Tizio, in qualità di legale rappresentante della Ditta conduttrice, di uno dei locali dell’edificio concessole in locazione, ricorreva al Tribunale di Firenze per veder accertata la responsabilità di Caio, locatore della res locata, chiedendo il ristoro dei danni subiti in conseguenza del crollo del controsoffitto.

L’azione era mirata a condannare Caio al risarcimento dei danni subiti, in particolare, a causa della scarsa manutenzione apprestata dal locatore, all’interno dell’immobile adibito allo svolgimento di attività da parte della Ditta, e dunque ad uso diverso da quello abitativo.

Il Giudice accoglieva la domanda condannando Caio al risarcimento del danno nell’importo di Euro 6.000,00, rigettando la domanda di Caio di manleva nei confronti del terzo chiamato in causa in qualità di assicuratore, compensando le spese tra il terzo e Caio, relative al loro rapporto processuale.

L’esito della causa veniva radicalmente sovvertito in secondo grado, per effetto dell’appello di Caio; il giudice del gravame dopo aver escluso l’applicabilità dell’art 1227, I comma c.c., a cui era ricorso il giudice di primo grado, e ritenendo invece applicabile il II comma, accoglieva l’impugnazione, rigettando la domanda risarcitoria e ponendo a carico di Tizio le spese di entrambi i giudizi, anche rispetto al precedente rapporto processuale del terzo.

Avverso alla sentenza d’appello, Tizio, convenuto soccombente nel secondo grado di giudizio, propone ricorso per cassazione, riferito a tre motivi, incontrando le resistenze dell’intimato Caio.

SOLUZIONE

La Suprema Corte dichiarò estinto il giudizio di legittimità, quanto al rapporto processuale tra Tizio ed il terzo, accolse, invece, il ricorso proposto contro Caio quanto al secondo motivo, dichiarando assorbito il terzo e, per l’effetto, cassò la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Firenze, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Attraverso la presentazione di plurimi motivi di ricorso, Tizio denuncia lesioni ricondotte a quelle degli artt. degli artt. 91, 92, 112 e 329, comma 2, c.p.c., in combinato disposto tra loro, e dell’art. 1227, comma 2, c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma I, n.3, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma I, n.5.

Il ricorrente sottolineò primariamente come fosse illegittimo il pagamento delle spese sopportate dal terzo per entrambi i gradi del giudizio nonché come la Corte abbia reso egualmente rilevanti le condotte di Tizio e Caio nella causazione dell’unico danno accertato in sentenza, senza in realtà motivare neppure la condotta di Tizio come contraria all’ordine pubblico, avendo lo stesso solo le opzioni di rilascio dell’immobile ovvero il temporaneo trasferimento in altri locali. Infatti, ai fini dell’applicazione dell’art. 1227, II comma c.c., come applicato dalla Corte d’appello, sarebbe stato necessario l’accertamento dell’esistenza di un danno risarcibile, di un aggravamento del danno e, dunque, l’accertamento della qualificazione della condotta del creditore, successiva al danno, come contraria all’ordinaria diligenza[1]. Pertanto, la sentenza impugnata considerava il danno causato, ovvero un presunto pericolo di crollo, come solo “potenziale”, per neutralizzare il quale era necessaria la collaborazione di Tizio al fine di evitare il danno poi occorso, dando così rilievo ad una fattispecie riconducibile all’art. 1227, I comma c.c.[2], al contrario della fattispecie, invece, applicata. Ciò in conseguenza del fatto che la “causa sopravvenuta” del danno non può escludere il nesso di causalità tra il comportamento omissivo di Tizio ed il danno stesso, essendosi il danno verificato anche a causa della violazione del dovere di mantenere la cosa locata in buono stato manutentivo e non solo per la permanenza di Tizio nell’immobile locato. Infine si sottolineava come vi fosse omesso esame circa l’acclarata violazione delle norme che impongono al locatore di mantenere la cosa in buono stato manutentivo, e ciò ai fini della corretta applicazione dell’art.1227 c.c.

Lette le argomentazioni presentate nel ricorso, la Suprema Corte, in via preliminare prese atto della rinuncia al primo motivo di ricorso di Tizio, dichiarando l’estinzione parziale del giudizio di legittimità, e accogliendo, poi, il secondo motivo di ricorso, restando il terzo assorbito dall’accoglimento di quest’ultimo.

Innanzitutto il collegio sottolineò come nella sentenza impugnata si desse rilievo alla condotta di Tizio, consistita nel rifiuto di trasferirsi in altri locali per consentire l’esecuzione dei lavori necessari al fine di evitare il crollo, apprezzandola erroneamente sul piano eziologico dell’evento di danno e ricollegandola al “prevedibile danno poi occorso”.

Senonché, per costante giurisprudenza occorre distinguere tra comportamento ed evento, perché possa configurarsi a monte una responsabilità, ed, inoltre, è necessario che il nesso consenta l’imputazione delle singole conseguenze dannose delimitando così i confini della stessa responsabilità. Infatti, il primo e il secondo comma dell’art. 1227 c.c. hanno un diverso ambito di operatività, attenendo il primo “al contributo eziologico nella produzione dell’evento dannoso” mentre il secondo “attiene al rapporto evento- danno conseguenza”[3].

Tale tema era già stato affrontato, nella sentenza n. 1165 del 2020, quando la Corte di Cassazione  ribadiva il proprio recente orientamento in materia di danni da fumo attivo confermando la decisione di appello per la quale la circostanza che la vittima, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare la condizione di dipendenza irreversibile da fumo, integrava un caso di fatto proprio del danneggiato, da ricondurre all’ambito di applicazione dell’art. 1227, co. 1, c.c.. In tal caso, i giudici non hanno considerato provato il nesso eziologico tra il carcinoma polmonare e il consumo abituale di sigarette. Nella specie, laddove il nesso riguardi il rapporto tra il comportamento e l’evento, discende, a monte, la responsabilità, ossia la causalità materiale (art. 40, 41 c.p.). Al contrario, il nesso che, collegando l’evento al danno, consente l’imputazione delle singole conseguenze dannose e ha, quindi, la funzione di delimitare, a valle, i confini della responsabilità (art. 1223, 1225, 1227 c. 2 c.c.) è trattato nell’ambito della causalità giuridica.

In particolare, la Corte ha esposto con grande chiarezza come l’ipotesi prevista dall’art. 1227, comma 1, c.c., riguardi il “contributo eziologico del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, va distinta da quella disciplinata dal comma 2 dello stesso articolo, che, riferendosi al comportamento successivo all’evento, con il quale il medesimo danneggiato abbia prodotto un aggravamento del danno ovvero non ne abbia ridotto l’entità, attiene al danno-conseguenza” [4].

Ciò posto, nel caso in esame la Corte ha evidenziato come sia stato posto un giudizio “a monte” dell’accertamento della responsabilità, non necessario ai fini dell’applicazione dell’art.1227, II comma c.c.. Ai fini di quest’ultimo, infatti, rilevano le ulteriori conseguenze del danno, in ragione del comportamento della parte danneggiata consistito nel non evitarle, usando l’ordinaria diligenza. Dunque, vi è stato un errore nel ricondurre il comportamento di Tizio al II comma dell’art.1227 c.c. anziché, quanto agli effetti, al I comma, neppure applicabile in ragione della necessità della verifica del fatto che Tizio abbia concorso con il comportamento di Caio a cagionare il danno. Il comportamento di Tizio, in realtà, è stato assunto dal giudice di merito quale causa dell’evento dannoso, negandosi rilievo alla mancata manutenzione dell’immobile. Pertanto, non può esservi applicazione dell’art. 1227 c.c. in quanto “la condotta del danneggiato è da sola sufficiente a provocare il danno allorché “autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto”, poiché, solo in questo caso, “le cause preesistenti degradano al rango di mere occasioni perché quella successiva ha interrotto il legame causale tra esse e l’evento”[5].

Al contrario, la Corte ha avuto modo di specificare che “quando l’evento dannoso o pericoloso è stato cagionato da una pluralità di azioni o di omissioni, coeve o succedutesi nel tempo, tutte hanno uguale valore causale, senza distinzione tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive, dovendo a ciascuna di esse riconoscersi un’efficienza causale del danno se nella concatenazione degli avvenimenti abbiano determinato una situazione tale che l’evento, sebbene prodotto direttamente dalla causa avvenuta per ultima, non si sarebbe verificato”[6].

Tanto premesso, nella specie, la Suprema Corte ha evidenziato come la condotta addebitata a Tizio non emergesse quale causa esclusiva del danno, dovendosi accertare, invece, l’assenza totale di nesso causale fra il danno ed un comportamento addebitabile a Caio, da valutarsi nell’ambito del giudizio di merito.

Tanto precisato, Caio si era già reso inadempiente all’obbligo di procedere alle riparazioni di sua spettanza e, dunque, dovendosi considerare che l’esecuzione dei lavori avrebbe comportato la sospensione del godimento da parte del conduttore della res locata, sarebbe occorsa un’intimazione al conduttore ex art.1207 c.c.. Infatti “il fatto che l’esecuzione dell’obbligo manutentivo dovesse comportare la sospensione del godimento dell’immobile, implicava che la proposta rivolta dalla parte locatrice al conduttore… della sostituzione provvisoria del godimento con quello di altri locali, per produrre liberazione del locatore dalla mora nell’adempimento dell’obbligazione di riparazione e, quindi, esentarlo dal danno, avrebbe dovuto formare oggetto di intimazione ai sensi dell’art. 1207 cod. civ.”.

Inoltre, la circostanza sopra menzionata deve concorrere con la carenza di giustificazioni da parte del conduttore, Tizio, nel non accettare l’esecuzione delle riparazioni. Laddove le due condizioni siano accertate cumulativamente la responsabilità sarebbe del conduttore, al contrario, in caso di cause di giustificazione attribuibili allo stesso l’alternativa sarebbe tra la responsabilità esclusiva del locatore, Caio, ovvero concorrente di entrambe le parti.

In ragione di tali motivazioni, la Corte di Cassazione dispose l’estinzione del presente giudizio di legittimità, quanto al rapporto processuale tra Tizio e il terzo. Accolse, invece, il ricorso proposto contro Caio quanto al secondo motivo, dichiarando assorbito il terzo e, per l’effetto, cassò in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Firenze, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

[1] In particolare, secondo tale disposizione “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.

[2]Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.

[3] Così, in motivazione, Cass., sent. 19 febbraio 2013, n. 4043, Responsabilita’ Civile e Previdenza 2013, 3, 823 NOTA (s.m.) (nota di: Giusti) ripresa, sempre in motivazione, più di recente da Cass., sent. 21 gennaio 2020, n. 1165, Diritto & Giustizia 2020, 21 gennaio (nota di: Attilio Ievolella).

[4] In www.eclegal.it.

[5] Cass. sent. 22 ottobre 2003, n. 15789, in Giust. civ. Mass. 2003, 10; Cass. sent. 6 aprile 2006, n. 8096, in Giust. civ. Mass. 2006, 4; in senso conforme anche Cass. Sent. 26 maggio 2020, n.9693, in Guida al diritto 2020, 39, 79; si veda pure Cass. sent. 22 ottobre 2013, n. 23915, secondo cui la causa sopravvenuta deve essere in grado di “neutralizzare” quella precedente, ponendosi come “di per sé idonea a determinare l’evento stesso”.

[6] Cass. civ. del 3 febbraio 2022, n.3285, in Giustizia Civile Massimario 2022.

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