Pari uso ex articolo 1102 c.c.: è consentita la modificazione dei beni in comunione purché venga garantita l’ordinaria accessibilità agli altri comunisti
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFMassima: “I limiti posti dall’art. 1102 c.c. all’uso della cosa comune non impediscono al singolo comunista di installare un cancello su un ballatoio comune, al fine di servirsi del bene anche per fini esclusivamente propri e di trarne ogni possibile utilità, purché sia garantita agli altri comunisti l’ordinaria accessibilità ed il godimento comune della “res”, circostanza che deve essere provata dal partecipante che pretende di usare il bene in modo particolare”.
CASO
Tizio e Caia, proprietari di un appartamento convenivano dinanzi al Tribunale Sempronia, anch’essa proprietaria di altra unità immobiliare insistente nello stesso fabbricato e confinante con quello degli attori. L’azione era mirata ad accertare la comproprietà della scala e del balcone al primo piano e, contestualmente, che la convenuta fosse condannata alla rimozione del cancelletto da lei posizionato su detto balcone, al ripristino della situazione preesistente sul cortile di proprietà comune nonché al risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione abusiva di dette parti, quantificati in euro 5.000,00.
La condomina Sempronia si difendeva, proponendo domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere la condanna degli attori a riposizionare il portone collocato nel cortile comune, oltre al risarcimento dei danni.
Il Tribunale espletata istruttoria condannava la convenuta alla rimozione del cancelletto ubicato sul ballatoio comune, nonché del rialzo sul cortile nella porzione antistante il proprio immobile. Inoltre, disponeva altresì la condanna agli attori a riposizionare l’originario portone o analogo manufatto all’ingresso della corte, rigettando ogni altra domanda e regolando le spese processuali.
Con l’appello proposto dalla convenuta soccombente, la Corte territoriale, in parziale accoglimento, decretava il rigetto della domanda proposta dagli attori del primo grado avente ad oggetto la rimozione del cancelletto apposto sul ballatoio, respingendolo nel resto, e disciplinava le spese di entrambi i gradi di giudizio. Veniva infatti ritenuta illegittima la condanna alla rimozione del cancelletto, posto che lo stesso è da considerarsi lecitamente apposto al terrazzo comune, non ravvisandosi alcuna violazione dell’art.1102 c.c..
Avverso alla sentenza di gravame, Tizio e Caia proponevano ricorso per cassazione, riferito ad un unico ed articolato motivo; Sempronia resisteva anche in sede di legittimità.
SOLUZIONE
La Suprema Corte accolse il ricorso, cassando la sentenza impugnata e disponendo il rinvio, anche in merito alle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione.
QUESTIONI
Attraverso la presentazione dell’unico motivo di ricorso, Tizio e Caia denunciarono “plurime violazioni ricondotte a quella degli artt. 112 e 115 c.c. e a quella degli artt. 167, 183, commi 5 e 6, c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c.”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma I, n.3. I ricorrenti sottolinearono come la convenuta Sempronia non avesse presentato alcuna contestazione in riferimento all’apposizione del cancello, chiuso e dotato di serratura, sia nel proprio libello difensivo iniziale che nelle memorie ex art.183 c.p.c., comma VI, né avesse altrimenti dimostrato le proprie affermazioni circa la normale accessibilità del terrazzo oltre al cancello.
Lette le argomentazioni presentate nel ricorso, la Suprema Corte ritenne fondato il motivo di impugnazione.
Innanzitutto, il collegio sottolineò come non fosse discutibile il principio per cui la nozione di la nozione di “pari uso della cosa comune”, ai sensi dell’art. 1102 c.c., non debba essere intesa nel senso di un’assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario[1]. Infatti, “l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione”.
Tanto precisato, il principio sopradetto dovrà necessariamente essere modulato in ragione delle specifiche circostanze della fattispecie e, dunque, sarà imperativo valutare se il comunista che sia intenzionato a farne un uso più intenso si comporti in modo che gli altri comproprietari non subiscano un possibile aggravamento dell’utilizzazione precedente. Come riportato dagli stessi magistrati di Cassazione, infatti, “l’esercizio di una condotta “più intensa” non debba implicare una modalità di utilizzazione, da parte degli altri, del bene in comproprietà che possa determinare la configurazione di una possibile incomodità che, seppur non intollerabile, non consente una prosecuzione agevole di siffatta utilizzazione”.
Tale tema era già stato affrontato dalla stessa Suprema Corte, pochi mesi prima della pubblicazione della sentenza qui commentata, dall’ordinanza del 13 dicembre 2022 n. 36389, la quale aveva esposto con grande chiarezza come dovessero essere interpretate le norme in materia di innovazioni e modifiche dei beni in comproprietà. Infatti, gli Ermellini specificarono che le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse e a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso. Inoltre, “il superamento dei limiti del pari uso, di cui all’art. 1102 c.c., si configura come un fatto costitutivo, inerente alle condizioni dell’azione esperita, sicché deve essere provato dallo stesso condominio, mentre la deduzione, da parte dell’autore, della legittimità della modifica non comporta alcun onere probatorio a carico del medesimo…”.
Di fatto, ai fini dell’art.2697 c.c., i giudici di Cassazione si espressero anche in riferimento al regime probatorio applicabile circa l’insussistenza di tale sproporzione e per poter rilevare la legittima utilizzazione maggiore del bene comune, indicando come l’onere di allegazione incomberebbe su chiunque ritenga aver posto in essere il suddetto utilizzo più intenso in modo lecito.
Posta la non conflittualità in merio alla circostanza della comproprietà del ballatoio e dell’apposizione del cancelletto lungo il suddetto da parte di Sempronia, sarebbe spettato a quest’ultima l’onere di dimostrare di non aver impedito agli stessi ricorrenti di continuare ad utilizzare il ballatoio secondo il loro diritto di comproprietà, garantendo l’ordinaria accessibilità ed il godimento comune e con la possibilità di un attraversamento senza particolari ostacoli.
Tuttavia, anche laddove fosse stato comprovato che il cancelletto rimaneva sempre aperto o fosse privo di strumenti di chiusura, escludendo il fatto che la circostanza fu addotta tardivamente dalla controricorrente a fronte dell’allegazione contraria operata da Tizio e Caia, non sarebbe stato comunque sufficiente a perorare la propria causa. Infatti, Sempronia, con assolvimento del relativo onere probatorio in sede processuale, avrebbe dovuto consentire ai ricorrenti la continuazione dell’accesso al ballatoio, libero da ostacoli, permettendo agli stessi di poter anche espletare le normali attività di vita sociale e comunitaria, provvedendo alla consegna in favore dei medesimi della chiave di apertura del cancelletto per ogni evenienza eventualmente ostativa[2]. Tale interpretazione si trova in perfetta continuità con quanto stabilito dagli stessi giudici di legittimità, da ultimo, nell’ordinanza n. 11464/2021, la quale ha sancito che, nell’ottica dell’indispensabile soddisfacimento del dovere di reciproca collaborazione e fisiologica solidarietà tra tutti i comproprietari, “si impone un provvedimento volto ad affermare un dovere di collaborazione del comproprietario nella specie consistente nel consegnare la copia delle chiavi del cancello”.
In ragione di tali motivazioni, la Corte di Cassazione dispose l’accoglimento del ricorso e susseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia.
[1] Tra le più recenti, Cass. n. 7466/2015 e Cass. n. 6458/2019.
[2] In tal senso la sentenza di questa Corte n. 8394/2000, n. 31114/2017 e n. 21928/2019.
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