Il “nuovo” ordine di liberazione dell’immobile pignorato, alla luce del d.l. n. 59 del 2016 convertito con legge n. 119 del 2016
di Salvatore Leuzzi Scarica in PDFLa custodia e la liberazione dell’immobile pignorato
Già la “maxi-riforma” attuata con la legge n. 263 del 2005 aveva fissato due principi essenziali, stabilendo, per un verso, che perlomeno coevamente alla pronuncia dell’ordinanza di vendita del compendio pignorato, la custodia del bene dovesse essere affidata ad un terzo (ai sensi del comma 4 dell’art. 559 c.p.c., il professionista delegato alle operazioni di vendita o l’istituto vendite giudiziarie); per altro verso, che l’ordine di rilascio del bene dovesse essere emesso al più tardi al momento della sua aggiudicazione.
La nomina di un custode “professionale” in luogo del soggetto che subisce l’esecuzione si è legata, nel contesto riformatore del 2005, a chiari obiettivi di efficienza, trasparenza e apertura al mercato: la maggiore facilità dell’alienazione di un immobile sgombro rispetto ad uno abitato è di pronta intuizione. Nella medesima prospettiva la custodia si è funzionalmente correlata con l’adozione “necessaria” dell’ordine di liberazione, ossia di un provvedimento ordinatorio, volto a fornire proprio al custode un titolo per l’ottenimento del rilascio del bene da parte del debitore o di altri occasionali occupanti.
L’ordine ha rappresentato – e a tutt’oggi rappresenta – il “veicolo” indispensabile della custodia “attiva” dell’immobile: ciò che è libero e disponibile in capo alla procedura viene più comodamente gestito e valorizzato, quindi più proficuamente proposto alla platea dei potenziali interessati.
Emerge un dato eloquente: la “doverosità” della liberazione del cespite pignorato, che è assurta ad obbligo, il cui adempimento è talvolta procrastinabile, salvo divenire – alla lunga – ineludibile. Ed è in tal senso che, secondo prassi diffusa, la liberazione dell’immobile viene disposta, peraltro, contestualmente alla pronuncia dell’ordinanza di delega di cui all’art. 569 c.p.c. per la delega delle operazioni di vendita.
La nuova connotazione self-executing dell’ordine di liberazione
Se la liberazione ha assunto la connotazione di passaggio doveroso dell’esecuzione forzata, anticipato rispetto all’emissione del decreto di trasferimento e – in misura crescente – all’aggiudicazione, l’ultima rimarchevole “scommessa” legislativa sta nella deformalizzazione della relativa fase. La liberazione può (finalmente) avvenire “senza l’osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti”.
Si coglie la portata formidabile della disposizione, sol che si consideri un pregresso dato notorio: il custode giudiziario, al fine di liberare il compendio pignorato, vuoi al momento dell’emanazione dell’ordinanza di delega delle operazioni di vendita, vuoi (al più tardi) al momento dell’aggiudicazione, era tenuto ad avviare fino a pochi mesi fa – per il tramite di un legale nominato dal giudice dietro sua richiesta – una autonoma procedura formale di rilascio, ai sensi degli artt. 605 e ss. c.p.c.. Egli era in tal senso onerato di notificare prima l’ordine quale titolo esecutivo, unitamente al precetto, poi il c.d. avviso di sloggio, quindi era costretto ad affidarsi all’attività di un soggetto altro da sé, nella persona dell’ufficiale giudiziario.
Il novellato art. 560, comma 4, c.p.c. consente adesso significativamente che l’ordine di liberazione, anziché mediante il ricorso al paradigma formale dell’esecuzione forzata per consegna e rilascio ex artt. 605 e ss. c.p.c., sia sic et simpliciter “attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare”.
Previsione più flessibile il legislatore non avrebbe potuto obiettivamente adottare: in tal guisa, sarà il giudice dell’esecuzione in corso a “dosare” gli strumenti della liberazione, se del caso, autorizzando il custode a far ricorso all’assistenza della forza pubblica o ad altri ausiliari per l’attuazione dell’ordine di liberazione.
Il principio che emerge dalla novella normativa è quello della realizzazione “non mediata”, ma “in presa diretta”, dell’ordinanza ex art. 560 c.p.c.. Ciascun giudice dell’esecuzione finalmente sovrintende all’attuazione efficace di uno degli obiettivi propri della procedura esecutiva della quale egli è titolare. L’esecuzione esogena cede il passo all’attuazione endogena del comando giudiziale, sicchè il magistrato è abilitato ad assicurare, secondo le specificità del caso, la realizzazione dentro il “proprio” processo di un fine (ormai) consustanziale a detto processo. Lo farà fornendo al custode, che quelle specificità conosce, gli strumenti e le indicazioni più adeguate.
Si tratta di uno schema non ignoto all’ordinamento processualcivilistico, nella misura in cui, per un verso evoca il sistema di attuazione delle misure cautelari ex art. 669-duodecies c.p.c., per altro verso, segna un recupero di efficienza del processo esecutivo correlato al riconoscimento, in capo al medesimo soggetto – il custode – incaricato per pubblica funzione della liberazione, dell’opportunità di vederne scanditi i tempi e calibrati i mezzi, non in separata sede, ma nel medesimo procedimento in corso.
Le modalità di attuazione non sono, perciò, prestabilite, dovendo essere, volta per volta, elasticamente declinate, “secondo le disposizioni del giudice immobiliare”.
Ed è proprio il raccordo “operativo” pieno fra custode e giudice, in ultima analisi, ad assicurare la rispondenza dell’attuazione dell’ordine all’imparzialità e alla terzietà che sono proprie tanto del giudice quanto del suo ausiliario, con il corredo fisiologico delle connesse garanzie, che non appaiono né obliterate, né ridimensionate.
L’opportunità di un “governo” endoesecutivo della fase di liberazione del bene, pur senza abdicazione alcuna alla protezione del diritto di difesa costituzionalmente scolpito (art. 24 Costituzione) serve a smarcare virtuosamente il processo dagli intralci e dai rallentamenti che non di rado derivavano dalla “esternalizzazione” dell’esecuzione dell’ordine ex art. 560 c.p.c., per di più attraverso le forme strutturate degli artt. 605 e ss. c.p.c.
L’“esonero” dalla primigenia necessità di intraprendere una formale azione di rilascio operato a vantaggio di una fase di liberazione “destrutturata” e “individualizzata” rappresenta ab imis una spinta ulteriore di efficienza e rapidità del processo, a garanzie per di più invariate.
E di estrema rilevanza, nel solco intrapreso, sono le disposizioni di dettaglio che a questo quadro si collegano, giovando a sancire coerenza e completezza del sistema.
In primo luogo, viene precisato che le spese sostenute dal custode per conseguire il rilascio restano, a carico della procedura, dal momento che l’art. 560, comma 3, c.p.c. opportunamente prevede oramai che la liberazione avvenga “senza oneri per l’aggiudicatario o l’assegnatario o l’acquirente”.
Inoltre, è specificato utilmente che, laddove – come sovente accade – all’interno dell’immobile vi siano beni o documenti dell’occupante, esige intimerà a costui di portarli via entro un termine di almeno 30 giorni, abbreviabile in caso di urgenza (si pensi al caso di beni di rapida deperibilità). Se l’occupante rimane sordo rispetto all’intimazione, egli ne avrà fatto una implicita derelictio: i beni saranno eliminati, sempre a cura del custode, salve diverse indicazioni del giudice dell’esecuzione.
Efficacia ed impugnabilità dell’ordine di liberazione
L’ordine di liberazione, ancorché diretto all’esecutato, esplica la propria efficacia nei riguardi di chiunque occupi l’immobile, allorché sia sprovvisto di un titolo di detenzione avente data certa antecedente al pignoramente e, se del caso, come tale, opponibile alla procedura.
Segnatamente, l’opponibilità o meno del contratto di godimento alla procedura è specificata dall’art. 2923 c.c.., dal che deriva che il rapporto con il terzo sarà opponibile al custode, come all’aggiudicatario, se contrassegnato da data certa anteriore al pignoramento (comma 1) ovvero allorché la detenzione dell’immobile, collegata ad un contratto di locazione, sia anteriore al pignoramento (comma 4). Del pari, i titolari di diritti reali di godimento, quali ad esempio gli usufruttuari, potranno opporre il titolo costitutivo dei rispettivi diritti, laddove l’abbiano trascritto anteriormente al pignoramento. La data certa anteriore deve ovviamente esser provata ai sensi dell’art. 2704 c.c.. La non impugnabilità dell’ordine di liberazione dell’immobile, prima prevista dal terzo comma dell’art. 560 c.p.c., è stata opportunamente rimossa dalla recente riforma del 2016. Rimane utilizzabile, pertanto, l’ordinario rimedio cognitivo di controllo dell’operato del giudice dell’esecuzione, vale a dire, dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., come già evidenziato negli approdi più recenti della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. VI, 17 dicembre 2010, n. 25654).